regala Libri Acquaviva

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venerdì 16 luglio 2010

Cara Manu, siamo qui, è già qualcosa...

... scusami se ti rispondo con il blog, ma finchè cerco la tua e-mail, vado sulla mia casella postale e ti scrivo, con il rischio tutto reale di perdere alla fine la lettera perchè spingo il bottone sbagliato... ti scrivo da qui, RADIO SOLDATO ROCK, e buonanotte al secchio. Tanto non ci conosciamo che per rapporti di rete (web), chissà che possono pensare gli altri... e allora tutte le cose che ti posso scrivere penso che le possono leggere tutti... quei 4 gatti che vengono a curiosare da queste parti... ma comunque a me carissimi... come d'altronde tutti i gatti di mia conoscenza...
Comunque non si campa molto bene se si vive solo con romanzi e poesie, è la vita che possono fare i monaci zen, l'ho detto tante volte nei miei racconti... ma dopotutto come si fa a non dar retta a una vocazione che ti sale fin dalle fondamenta del tuo esistere al mondo?... lo fai perchè non puoi fare altro... è praticamente impossibile... ed è questo che differenzia secondo me gli scrittori professionisti da quelli domenicali, perchè al lunedì devono andare in banca a lavorare...
La scrittura è una scelta di vita, e a lei non puoi anteporre nulla, oltre la vita naturalmente, ma per quegli scrittori di cui parlo io non c'è assolutamente differenza tra scrittura e vita... ma queste son cose che nemmeno gli addetti ai lavori capiscono... figuriamoci gli altri... che sono ancora più all'oscuro di tutto...
Anche scrittori più in vista di me e naturalmente più famosi di me, molto più famosi di me, non è che se la passino meglio, se non hanno già del loro e che quindi ciò li possa far stare più tranquilli da questo versante... Ma tutti coloro che si mettono in testa di far gli scrittori e poi camparci sopra non sanno che li aspettano anni e anni di lavoro e magari la maledetta fortuna va a benedire qualcuno che ha scritto la prima cazzata che gli è passata per la mente e che tutto voleva fare nella vita tranne che di mettersi a fare lo scrittore... Tutto ciò è insondabile e allora la "mercede" lo scrittore deve essere capace di trovarsela da solo, perchè gli altri non è che stanno aspettando te come il novello Ezra Pound... anzi tutt'all'opposto...
Una volta un editore grande di Milano, ti parlo ormai di 30 anni fa, mi disse: "Anche se fossi Dostoevskij e ci portassi I FRATELLI KARAMAZOV noi non ti pubblicheremmo perchè il tuo nome non dice niente a nessuno":
Io pensai: "Per me è finita". Almeno come scrittore era davvero così, se poi tu pensi che per me la scrittura era ed è la stessa mia vita, puoi immaginare che colpo tremendo fu per me. Prima almeno mi leggevano, non mi pubblicavano ma almeno alimentavano la mia speranza. Ma in effetti mi mantenevano in cottura senza in effetti volerci fare nulla con le mie cose. Anche ora fanno così, ogni tanto si fanno vivi ma poi spariscono, come i fantasmi.
Loro forse pensano: "Non è che questo coglione diventa così forte che poi ci sputtana? Meglio tenerselo buono allora con qualche generico riconoscimento".
Ma io me ne fotto, che mi frega?
Al tempo frequentavo l'Università Statale, facoltà di Filosofia, gloriosa e potente una volta, ora non so, è da tanti anni che non ci metto più piede... e a un corso su Jean-Paul Sartre sentii questa frasetta: "Fare e facendo farsi": Dove naturalmente si parlava del fare della vita, non della droga. Ebbene quella fu la scintilla che mi accese la mia stessa anima.
"E' fatta, pensai. Grazie, caro Maestro Jean-Paul, sei davvero un grande".
Così mi dissi: "Se voglio davvero fare lo scrittore devo imparare allo stesso tempo a fare i libri". Perchè infatti aspettare che altri facciano le cose che tu stesso puoi fare senza chiedere il loro, a volte impossibile, beneplacito?
Così ho cominciato a farmi da solo i miei stessi libri. Certo ho scelto la strada più lunga e più difficile, ma è la MIA strada, ed è il nocciolo della filosofia di Sartre. "Ognuno è condannato a essere libero". Ma per me la libertà non è una condanna, è una prova di forza con me stesso e con nessun'altro. E' comunque bello e esaltante, non conti niente ma sei un uomo libero che scrive in piena libertà, senza mai rendere conto a nessuno se non alla tua stessa coscienza e al tuo ridicolo demone interiore... Ridicolo perchè a me fa ridere molto...
Sono andato forse completamente fuori tema, ma credo di essermi conquistato con gli anni uno stuolo di lettori che con la loro fedeltà e la loro intelligenza garantiscono che uno scrittore underground e outsider come me, continui il suo lavoro più o meno decentemente... e con alquanta dignità...
Dopotutto dicevano gli antichi filosofi orientali che l'Arte è ZEN, cioè un dono... e chi vive per essa lo stesso Apollo in persona non permette che rimanga senza mezzi di sostentamento, dicevano quegli altri matti che erano gli antichi Greci...
Fuori tema dicevo... perchè ieri ho incontrato un mio vecchio caro amico, Celestino, con i capelli tutti bianchi, ma invecchiato per niente, ora fa, ormai da tantissimi anni, lo psicoanalista, e mi ha detto, davanti a due CERES, seduti a un tavolo di chiosco volante di Parco Sempione: "Caro Joseph, ma lo sai che ora anche se lo stesso Freud scrivesse uno dei suoi famosissimi resoconti di casi clinici, non glieli pubblicherebbero nemmeno se andasse armato di pistola?".
"Perchè?", gli ho chiesto io:
"Ora vogliono solo resoconti oggettivi, non è ammessa nessuna forma di carattere narrativo", mi ha detto lui.
"Mi sa che sono gli stessi che dirigono le case editrici, ma con l'aggravante che questi fessi vogliono solo resoconti di carattere economico, e se l'ODISSEA non vende son capaci di bocciare pure Omero", ho detto io.
Ci siamo fatti una bella risata, e lui mi ha offerto metà del suo panino con la salsiccia e i crauti. Prima non l'avevo voluto.
Poi, mi ha offerto anche un concerto all'Arena, una sua amica gliela aveva data buca, e siamo andati a sentirci qualche bel pezzo di Mark Knopfler, anche lui ormai con i capelli tutti bianchi. Poi il concerto mi ha fatto troppa tristezza, mi ricordavano quelle canzoni fatti e avventure di ben 30 anni fa e allora ho salutato il mio amico psicoanalista e me ne sono andato a passeggiare per i viali ormai oscuri di Parco Sempione. E non ci crederai: mi sono sentito grande e felice a camminare spensierato per il parco, il vento portava fino a me la musica, avendo come colonna sonora nientemeno che gli svisi e i ghirigori rock del grande chitarrista dei Dire Straits.
Mi son detto: "Che grande e strana città Milano, te ne vai per conto tuo al parco e suona per te il mitico Mark Knopfler".
Io, fosse per me, darei un gran bel calcio nel culo a chi sostiene che Milano è solo una città di merda. Gente da niente, che sputa pure nel piatto dove mangia. Per me non è che a Milano non ci sia merda, come d'altronde dappertutto nel mondo, ma Milano è anche una bellissima e forte città che permette pure a uno scalcagnato e povero autore come me di essere nientemeno scrittore di professione, senza avere nè santi in paradiso nè diavoli all'inferno che lo aiutino nemmeno per sbaglio...
E con questo credo, come al solito, di aver scritto troppo ma in compenso ho, in un certo qual modo, risposto al tuo messaggio sul mio blog.
Grazie di avermi scritto
e spero di non averti dato noia
con questa strampalata lettera alla blogger.
Tanti cari saluti
Giuseppe D'Ambrosio Angelillo

p.s. ah, dimenticavo: non scordarti di farmi un pò di pubblicità tra i tuoi amici dei miei libri Acquaviva, Acquaviva dal nome del mio paese natale di contadini, io campo infatti di caro potente passaparola.
CIAO! ALLA PROSSIMA!
Stai bene!
J.

mercoledì 14 luglio 2010

Giordano Bruno GLI EROICI FURORI Piccola Casa Editrice ACQUAVIVA


"Il mio principale, ultimo e finale intento
fu ed è d'apportare contemplazione divina,
e mettere avanti a gli occhi ed orecchie altrui
furori non de volgari, ma eroici amori."
GIORDANO BRUNO
.
Gli Eroici Furori esaltano in versi e prose
l'Amore del Cuore per quell'altissima Meta
che è la Verità, in una delle più potenti
opere filosofiche italiane.

domenica 11 luglio 2010

DOSTOEVSKIJ, LUPO SOLITARIO METROPOLITANO di D'Ambrosio Angelillo

Dostoevskij era una persona molto socievole ma rigorosa rispetto ai suoi stessi principii. Da qui la sua propensione, in certi periodi della sua vita, a isolarsi completamente.
In gioventù, subito dopo il suo successo fulmineo, dovuto alla pubblicazione del suo primo romanzo "POVERA GENTE", apprezzato in maniera pubblica dal famoso critico Belinskij, i suoi tanti amici malsopportarono questa sua fama improvvisa.
Alcuni di loro, tra i più facinorosi e attaccabrighe, e precisamente Turghenev e Anneskij gli tirarono un brutto scherzo. Lo invitarono a una festa tra artisti e contemporaneamente istruirono una bellissima ragazza di Pietroburgo, dicono le cronache la più bella di tutta la città, di fingere di aver letto il romanzo di Fedor e di lusingarlo più che poteva circa il suo talento letterario, con il preciso intento di farsi alle spalle di Fedor le più grasse risate. Infatti questa ragazza era bella ma era pure risaputo che di letteratura se ne infischiava altamente.
C'è da dire che all'epoca Dostoevskij era timidissimo con le donne, e infatti bisogna aspettare fino all'uscita dalla galera in Siberia, quando incontrerà Maria Issaeva, la sua prima moglie, per avere la sua prima storia d'amore concreta e portata a buon fine, anche se tanto buono il fine non fu.
Ebbene Dostoevskij arriva alla festa e quale non fu la sua sorpresa che subito questa bellissima ragazza gli s'avvicinò e cominciò:
"Ho letto il suo romanzo, caro Fedor. E le devo subito dire che è un capolavoro. Lei è il più grande scrittore della Russia, caro, e io sono onorata e lusingata di avere la fortuna di poter incontrare un simile genio".
Beh, ragazzi, voi non ci crederete ma l'emozione e la felicità furono così forti, che lui non resse alla contentezza e allo stupore e cadde svenuto per il fortissimo trasalimento.
A quella scena tutti scoppiarono a ridere e a divertirsi forse come non s'erano mai divertiti nella loro vita, in special modo i due mascalzoni, Turghenev e Anneskij.
Ora c'è da dire che questi due figuri, all'apparenza e a parole avevano osannato e lusingato Dostoevskij, ma in privato avevano disprezzato il romanzo come "troppo piagnucoloso e ridicolo", ora avevano dato la stura alla loro invidia e al loro rancore e mettevano alla berlina il loro amico (sic!) in maniera così atroce.
Rinvenuto, Dostoevskij si trovò davanti alla scena del divertimento generale e capì tutto, anche perchè la ragazza si pentì di ciò che aveva fatto e andò a scusarsi con Fedor, confessando che non sapeva nemmeno chi era lui e che il romanzo non sapeva nemmeno come si intitolava e che comunque non ne leggeva mai.
Dostoevskij abbandonò immediatamente la festa e se ne rimase da solo per moltissimo tempo, tranne la fedele compagnia del suo amico Grigorovich e Nekrassov.
Comunque Dostoevskij amava molto anche la conoscenza occasionale dei suoi simili, e frequentava con piacere taverne e caffè di infimo ordine, dove imparò molto presto a apprezzare la sincerità e la verità delle storie dei loro frequentatori, rispetto agli intellettuali e ai ricconi.
Così naque la leggenda della solitudine di Dostoevskij e della sua ritrosia a frequentare l'intellighenzia pietroburghese.
Ma Dostoevskij aveva un alto senso dell'umorismo e comunque non si vendicò mai di questi scherzi di pessimo gusto di cui fu vittima proprio agli albori del suo salire alla ribalta delle lettere russe.
Dostoevskij era un buontempone e amava tantissimo scherzare, ma non di quegli scherzi micidiali che arrivano a calpestare i sentimenti più profondi e le cose più care che una persona può provare e coltivare.
Ultimamente ho letto: "Memorie del Sottosuolo: storia di una nevrosi". Naturalmente si sottintende che il nevrotico è lo stesso Autore, eppure Dostoevskij l'ha scritto in una nota proprio all'inizio dell'opera: "non sono io il protagonista di questo racconto", "ma a chi la conti questa balla?", sembrano aggiungere gli epigoni di quei mascalzoni di Turghenev e Anneskij, "osi forse insinuare che questo dannato nevrotico siamo proprio noi?".
Ecco, come si fa a non diventare lupi solitari metropolitani con tutti questi loschi farabutti in giro?
"C'è gente così cattiva in giro che perfino assassini di 4 o 5 persone non sono così feroci come loro", dice infatti Dostoevskij in un suo romanzo.

D'Ambrosio Angelillo

sabato 10 luglio 2010

APPUNTO SU ALCUNI CARATTERI DELLA TECNICA DI SCRITTURA DI DOSTOEVSKIJ di D'Ambrosio Angelillo

Dostoevskij leggeva ogni giorno due o tre giornali russi quotidiani, e in special modo gli articoli di cronaca da dove naturalmente veniva fuori la vita concreta e reale del popolo russo. Non erano letture amene e di puro passatempo per lui, ma avevano direttamente a che fare con il suo lavoro di scrittore.
Dopo l'esperienza della deportazione e della prigionia in Siberia, dove ovviamente era stato a contatto con la crema della delinquenza russa, ma allo stesso tempo, paradossalmente, dati i tempi, con personaggi straordinari e incredibili, pure di altissimo livello intellettuale e morale (qui infatti incontrò il tenente Karmazinov, la cui storia gli darà l'idea fondante addirittura del romanzo "I FRATELLI KARAMAZOV", altro che tentativo di parricidio come erroneamente sostiene Freud), Dostoevskij a chi in quel periodo storico di sommovimenti spirituali e sociali lo incitava a andare verso il popolo, lui non senza fierezza e alquanto orgoglio rispondeva: "Io non ho bisogno di andare verso il popolo, perchè io stesso sono il popolo".
E questo non solo perchè lui era attento a tutte le questioni che riguardavano il popolo, ma perchè egli viveva a stretto contatto di gomito con il popolo e ne soffriva la stessa condizione esistenziale e sociale. Non scordiamoci che Dostoevskij non era un nobile nè tantomeno un ricco borghese, come la quasi totalità dei suoi colleghi scrittori russi a lui contemporanei. Era un uomo povero che viveva esclusivamente del suo lavoro di scrittore, e nei momenti critici dell'aiuto di suoi amici di alto rango suoi ammiratori e di certi suoi zii moscoviti. Dostoevskij solo negli ultimi anni della sua vita visse con una certa tranquillità economica grazie a sua moglie Anna, che prese in mano la vendita stessa dei romanzi di Fedor. I suoi vari editori lo sfruttarono sempre fino a ridurlo in uno stato di necessità cronico.
Ecco, una volta Dostoevskij lesse in un articolo di cronaca di Pietroburgo sulla violenza sessuale a una ragazzina minorenne da parte di un bruto, consumata nientemeno che in un cesso pubblico. La ragazzina non aveva retto alla vergogna e all'abuso criminale e si era impiccata il giorno dopo. La lettura di quest'articolo letteralmente sconvolse Dostoevskij. Non dormì per parecchi giorni e divenne quasi una sua ossessione. Non riusciva a capacitarsi di come un uomo possa arrivare a certi orrori, a raggiungere e superare i fondi abissali di certe situazioni già di per se stesse infernali, e di come si possa anche solo pensare di far del male a una ragazzina così piccola. Divenne un sua fissa tanto vero che si recò addirittura a visitare questo cesso pubblico, semplicemente per osservare il luogo dove si era perpetrata una così orrenda e funesta violenza.
Dostoevskij si portò dentro il ricordo di questa notizia letta sul giornale per anni e anni. All'epoca della stesura del romanzo "I DEMONI", nel racconto e nella descrizione di quel personaggio di nichilismo estremo che era Stavroghin, gli tornò in mente quella storia allucinante, se la ricordò e la scrisse.
Ora ci sono persone, per non dire scrittori, che in tutta la loro vita non riescono a uscire nemmeno di mezzo passo dal perimetro perfetto del loro IO grassone e ipertrofico, e allora usano la loro ridicola misura anche per tutti gli altri, ivi compresi i genii riconosciuti dell'umanità, e credono, sbagliando oserei dire in maniera vergognosa, per non dire di peggio, che tutto il mondo sia alla loro portata, e che se loro non riescono minimamente a uscire, manco per errore, dal loro ridicolo cortile di casa e quindi dalla loro insulsa quanto meschina AUTOBIOGRAFIA CONTINUA E ASFITTICA, credono, dicevo, che tutti siano come loro. Ma per fortuna o per sfortuna non so, il mondo è molto grande e molto vario, e tutti siamo diversi l'uno dall'altro. E allora quello che io credo è semplicemente e solo ciò che credo io, non la VERITA' ASSOLUTA. Antiche questioni sempre irrisolte nel campo della conoscenza umana.
Allora che successe? Che gli scribi e i farisei vari gridarono allo scandalo e insinuarono neanche in maniera tanto larvata che era stato Dostoevskij stesso che aveva compiuto quella infame violenza, tanto vero che l'aveva addirittura scritta nero su bianco in un suo allucinato romanzo. E primi fra tutti i suoi falsi amici traditori, e naturalmente, per non farsi mancare niente, i suoi giurati nemici. (Ancora ai nostri tempi ogni tanto c'è qualcuno che tira fuori questa assurda storiaccia per diffamare Dostoevskij, non potendo fare altro).
Un'altra volta Dostoevskij lesse sul giornale in un articolo di cronaca che una giovane donna si era suicidata lanciandosi da una finestra con un'icona della Madonna stretta al petto. Anche questa volta Dostoevskij fu colpito profondamente dal fatto.
"Ma come? Una donna pensa a uccidersi ma pure allo stesso tempo si stringe al petto l'icona della Madonna? Ma che significa questo? Che voleva salvarsi, pensava a una possibile salvezza. Eppure si è uccisa."
La storia se la portò dietro per molto tempo, poi la tirò fuori dai suoi ricordi e scrisse "LA MITE". Ebbene se voi leggete i resoconti critici di quell'opera vi raccontano che lì Dostoevskij narra della morte della sua prima moglie Maria Issaeva.
Idem con patate su quanto detto prima.
Maria Issaeva tutto era tranne che una mite, anzi tutto il contrario, e la sua storia con Dostoevskij era stato un abuso unico e l'aguzzino non era certo Fedor...
Molte volte a Dostoevskij gli correggevano i testi in tipografia, tipo sgrammaticature, errori di sintassi, lui così rispose una volta a un grafico: "Caro redattore, tu credi che i miei personaggi parlino il mio linguaggio, ma ti sbagli grandemente. I miei personaggi parlano il "loro" linguaggio, e se un personaggio parla sgrammaticato e con certi vezzi linguistici, io scrivo proprio come parla lui, io di certi personaggi ti posso dare anche l'indirizzo e il numero di casa, così potrai verificare da te stesso se quelle sgrammaticature e quei giochi di parole sono reali e non invece inventati da me".
Dostoevskij si è sempre autodefinito uno scrittore "al massimo del realismo possibile", un realismo vero e umano, non cialtronescamente ideologico.
Dostoevskij sosteneva anche che tutto ciò di cui scriveva non era assolutamente autobiografico, ma che l'autobiografico gli serviva nella misura di non oltre il 5% ed esclusivamente per cucire insieme il romanzo.
Caratteri di tecnica di scrittura di un Maestro che in un periodo di assoluto autobiografismo becero come il nostro passano del tutto inosservati e quasi incomprensibili ai più.

D'Ambrosio Angelillo

domenica 4 luglio 2010

QUANTO VALE DOSTOEVSKIJ? TOLSTOJ NON RISPOSE NIENTE. alcune note di Giuseppe D'Ambrosio Angelillo





a quanto mi ricordo io, da tutti i miei studi, Dostoevskij e Tolstoj si incontrarono solo una volta nella loro vita. a un ricevimento di letterati e artisti a Pietroburgo. Dostoevskij appena si accorse della presenza di Tolstoj immediatamente si mosse verso di lui per salutarlo e complimentarsi con lui. ma inspiegabilmente Tolstoj gli volse le spalle e ostentatamente fece capire che non aveva intenzione nemmeno di rivolgergli la parola, Dostoevskij ci rimase così male che abbandonò di lì a poco il ricevimento. Tolstoj fece lo stesso poco dopo.
c'è da dire che Dostoevskij lesse già al periodo della deportazione in Siberia un libro dal titolo "INFANZIA E ADOLESCENZA" a firma L.T., quando cominciò Tolstoj si firmava così, e Dostoevskij scrisse a suo fratello Michail chiedendo informazioni su quell'autore L.T., dicendo che sicuramente si trattava di un giovane scrittore che avrebbe fatto parlare molto di sè in futuro. poi invariabilmente Dostoevskij seguiva con molto interesse l'opera di Tolstoj e aveva una viva e sincera ammirazione per lui. d'altro canto Tolstoj fu impressionato dalla lettura delle "MEMORIE DA UNA CASA DI MORTI". ma captava dentro di sè l'estrema potenza di scrittura di colui che lui sentiva, senza avere tanti torti, e viveva come il suo più grande rivale nelle lettere russe. la prendeva male ogni volta che usciva un romanzo di Dostoevskij, e quando uscirono "I FRATELLI KARAMAZOV", lui la prese malissimo e segretamente cominciò a odiare Dostoevskij (per meglio dire aumentò l'odio che già covava).
perchè?
il motivo per me è semplicissimo: Tolstoj, da grande autore quale era, sentiva dentro di sè che con Dostoevskij non l'avrebbe mai spuntata, era troppo superiore a lui, e questo lui non lo poteva accettare, quindi cominciò, come fecero in tanti in Russia e anche altrove, ancora adesso accade, a disprezzarlo ferocemente.
Io so questo: morto da parecchi anni Dostoevskij, c'era un suo amico (sic!) che stava scrivendo una biografia su di lui, con l'assenso e il beneplacito perfino della vedova Anna Dostoevskaja, al quale aveva perfino aperto la porta di casa e aveva dato libero accesso alle carte di Fedor. ebbene questo amico giuda a nome, se non ricordo male, ma preferirei non ricordarmelo affatto, Stercov, fu chiamato da Tolstoj e interrogato sui presunti affari segreti di Dostoevskij. Stercov l'accontentò, essendo diventato nel frattempo Tolstoj il nume tutelare delle lettere russe. Ebbene a domanda precisa, si trattava delle allusioni neanche tanto vaghe sulla violenza sessuale a una bambina nel romanzo "I DEMONI" (plurale di "demone" e non di "demonio") da parte di Stravoghin.
Tolstoj chiese se a quanto sapeva lui Dostoevskij si fosse mai macchiato di un simile crimine nella sua vita. Stercov, mentendo spudoratamente per piaggeria e leccaggine ,
disse che Dostoevskij gliel'aveva confessato a viva voce lui stesso che una volta in gioventù aveva abusato sessualmente di una ragazzina piccola che poi si era data la morte per la vergogna, e che questo era il suo vizio segreto inconfessato. (Nel Novecento anche Elsa Morante tirò fuori questa assurda e falsa storiaccia per diffamare Dostoevskij).
Ecco, perchè Tolstoj s'interessa su eventuali vizi e crimini segreti di Dostevskij? Comunque sia questo non gli fa assolutamente onore, ferma restando la sua grandezza letteraria.
Per me Tolstoj sapeva che Dostoevskij lo superava di parecchie lunghezze in molte cose, e questo lui non l'accettava assolutamente e allora, come umanamente capita nelle umane troppo umane cose, voleva a ogni costo la prova tangibile della sua pochezza umana e morale, prova che quel miserabile di presunto amico di Dostoevskij gli diede.
Lenin diceva che Tolstoj era il rivoluzionario e Dostoevskij il reazionario. Niente di più sbagliato, infatti Tolstoj era un conte , Dostoevskij un proletario, che sempre ha vissuto esclusivamente del suo lavoro di scrittore, vivendo poveramente, e finendo pure per debiti in galera, anche se solo per tre giorni.
Dostoevskij è uno scrittore metropolitano calato nel magma delle contraddizioni del suo tempo e aperta la sua ricerca sul futuro, che lui individuava umanisticamente nei RAGAZZI.
Tolstoj è uno scrittore di provincia rivolto in prevalenza al passato e staccato dalle contraddizioni sociali e ideali del suo tempo (non è un suo personaggio nientemeno che Napoleone?).
Qui c'è la grande differenza, a mio parere a tutto vantaggio di Dostoevskij, tra il conte e il proletario della letteratura russa.
Se poi aggiungiamo la grande potenza del pensiero, di cui Dostoevskij, a onta di tanti suoi detrattori, aveva piena e sicura consapevolezza fino addirittura a definirlo: PANUMANESIMO, cioè umanesimo onnilaterale, in una curiosa coincidenza di definizione del proprio pensiero addirittura con Marx, che infatti così definisce la sua filosofia: umanesimo totale, onnilaterale. Altro che reazionario.
Dostoevskij non aveva ideologie ma un ben preciso pensiero: la sua idea di letteratura che coincideva nella ricerca del meglio per tutta l'umanità, nessuno escluso. E la sua critica ai rivoluzionari sanguinari era tutta umanistica e mai reazionaria, per tacere della sua originalissima comprensione, anch'essa potentemente umanistica, dell'essenza stessa del cristianesimo vivo e concreto della vita quotidiana, e per non parlare della piena sapienza da lui posseduta della completa totalità dell'anima del popolo russo. Questo lo sapevano molto bene le spie zariste che per tutta la vita lo hanno controllato, scrivendo in uno dei tanti rapporti, dopo l'uscita proprio de "I DEMONI", quindi in età avanzata di Fedor, "Questo Dostoevskij non cambierà mai, resterà sempre un pericoloso sovversivo", comprendendo la reale portata di quel romanzo molto più dei cosiddetti progressisti e parolai vari (di tutti i tempi).
Dostoevskij come scrittore è un direttore d'orchestra che non solo dirige ma che allo stesso tempo suona ciascuno strumento che dirige,e come ogni buon direttore d'orchestra egli stesso rimane allo stesso tempo zitto, fa suonare gli altri, lui dirige solamente. La sua complessità e la sua profondità rimangono ancora adesso inarrivabili, figuriamoci per Tolstoj due secoli fa, nonostante la sua indiscussa grandezza.
Così quando qualcuno gli chiese: "Quanto vale Dostoevskij?" Lui non rispose niente, perchè non poteva rispondere niente.
Perchè il suo ego non poteva assolutamente permettergli di rispondere: "Tutto".

Giuseppe D'Ambrosio Angelillo

G. D'Ambrosio Angelillo "DOSTOEVSKIJ" 9 volumi, on
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