GLI ANNI PAZZI Gli anni scandiscono le loro cantilene e poi vanno. Uno dopo l'altro, chi capisce capisce chi si ricorda si ricorda. Poi diventano fantasmi. Così come un pò noi con loro. L'anno di Pavese. L'anno di Novalis. L'anno di Platone. I quattro anni di Ernst Bloch. I sei anni di Dostoevskij. I dieci anni di Tubinga, la tedesca. I dieci anni di Giaffa, l'ebrea. I venti anni di Parigi, la fata. Gli anni alla chetichella tra Gogol e Bukowski. I 15 anni di Alda Merini. L'anno di Dario Fo, l'anno dei sogni di Federico Fellini. L'anno della Grecia l'anno della Germania l'anno dell'Inghilterra. Ne parlo sempre molto poco. Mi piace invece parlare della seconda guerra mondiale che continua ancora nei sottofondi della storia. Io che guardo gli Americani, gli Inglesi, i Russi, i Tedeschi, gli Italiani. La Storia se la gode. Gli anni fanno i pazzi, come al solito. Noi i fantasmi. GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO da "I PAZZI" 11 poesie, Acquaviva, 2014 libri di GDA on Google play http://goo.gl/1W3lic
SERATA NO PER PUTTANE E POESIA Una prostituta se ne stava a seno nudo questa sera sulle rive di via Ponte Vetero a Brera, stava affacciata al suo balcone di marciapiede e pesava la mortadella con la sua bilancia di scarsa precisione. Mi sono avvicinato e le ho detto: "Guadagni bene? La mortadella è buona? E il pane è fresco almeno?" Lei si è affacciata ancor più alla balaustra e ha detto: "Fa freddo. Forse è perché sono mezza nuda. Ma son troppi a riscaldarmi con le loro idiozie". Allora ha chiuso la sua bottega ha arrotolato la sua balaustra ha preso la mortadella e il pane fresco e se n'è andata senza dirmi più niente. Allora io ho preso la mia bancarella e l'ho montata proprio dove prima c'era la prostituta. Ho messo i miei libri sul panno verde e ho detto: "Ecco qui la mia poesia puttana, non è buona come la mortadella ed è vecchia come il cucco e ha pure un pò di muffa. Ma è sincera e è buona per l'occasione". Non si è fermato nessuno nessuno mi ha ascoltato e faceva più freddo di prima, di quando c'era la prostituta con il seno nudo. Allora ho detto: "Chi vuole mangiare mangia e chi non vuole mangiare non mangia. Qui c'è la poesia ma non se la vuole mangiare nessuno". Nessuno si è fermato, nessuno mi ha manco ascoltato. E faceva pure più freddo di quando se n'era andata la prostituta con il seno nudo. Allora ho arrotolato il panno verde, ho messo via la mia poesia e rinchiuso in un sacco la mia bancarella. Lì, sull'uscio di una trattoria toscana c'era un uomo grasso con la panza fuori, grassa da far spavento, che si fumava il suo sigaro come un farabutto. Forse era un mafioso, o un magnaccia o un riccone in trasferta. "Il mondo è troppo stupido, mi son detto, la poesia non lo scalfisce di un graffio, è sempre quello, sempre uguale a se stesso come un francobollo timbrato". E mi sono incamminato a piedi per casa, prendendo ancora tanto freddo io e i miei poveri libri. GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO da "I PAZZI" 11 poesie, Acquaviva, 2014 libri di GDA on www.books.google.com
I PAZZI Sono un pazzo di Dio, cammino sul soffitto come un ragno solitario, così non mi vede nessuno così non mi pensa nessuno. Mi ubriaco di campari rosso perché qui in India la birra non si trova. Sono un pazzo di Dio, posso pure farmi fuori. Un pazzo può questo e altro. L'aiuto non è contemplato. Le versioni son troppe, molteplici ma dicono tutti la stessa cosa. La precisione è precisione e la follia è follia. Non si possono confondere le cose, per esempio le città con le persone. Infatti una persona può essere tranquillamente pazza una città assolutamente no, anche se è composta da persone tutte pazze, nessuno escluso. E' come se avesse un lasciapassare del prefetto, che in queste cose è più potente di Dio. Io sono un pazzo mi ubriaco e me ne sto sul soffitto, appeso come una tela di ragno (il ragno è andato via). Comunque non sono precisamente un pazzo perchè non mi hanno mai caricato su un'autombulanza, ma me ne sto ubriaco sul soffitto. Qui in India la birra non si trova e vivo in una baracca, ma faccio l'amore esattamente come un riccone. Una giapponese si è innamorata di me e pure una svedese, ma la giapponese se n'è scappata in Giappone dal suo fidanzato e la svedese è sparita stamattina. Stasera la cercherò lungo il fiume, mi porterò del cibo da dar da mangiare ai cani randagi così non mi assaltino. GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO da "I PAZZI" 11 poesie, Acquaviva, 2014 altri libri di GDA on www.books.google.com
DI RITORNO DALL'ANABASI Nell'armata di Senofonte ora ero di retroguardia ora di avanguardia, di Persiani e loro schiavi ne abbiamo ucciso un subisso. Loro una volta, in un lurido tranello, tutti i nostri capi, ma ignoravano i barbari che ogni greco è un uomo libero. Tornammo a casa quasi tutti continuando a farne strage e loro incredibilmente continuando a non capire perché eravamo imbattibili. Finché sul Ponto non sentimmo nei pressi di Trapezunte il buon odore delle nostre frittelle, dei nostri suvlaki arrostiti. Intonammo alti i nostri inni e alzammo fieri le nostre armi, avevamo ritrovato la nostra Patria, la nostra bella Patria di tutte le nostre felicità, e piangemmo di gioia, perché avevamo attraversato da uomini liberi il mondo del sopruso e del tiranno, rimanendo quasi come numi in mezzo a tanti schiavi Greci. GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO da "I PAZZI" 11 poesie, Acquaviva, 2014 poems of GDA on www.books.google.com
L'UOMO DELLA STRADA Scambio con lui ogni tanto qualche parola. Non ci diciamo molto. "Dove vai?" "Cosa stai facendo?" "Che tempo farà domani?" "Come ti chiami?" "Quanto prendi al mese?" Poi ognuno se ne va, chi si affretta a prendere il tram, chi porta via il cane, chi accende una sigaretta. Ognuno volteggia sicuro nella sua oscura acrobazia. Chi è buono, chi è paziente. Ma mi accorgo molto bene che la maggior parte di loro sono cattivi. GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO da "I PAZZI" 11 poesie, Acquaviva 2014 poems of GDA on www.books.google.com
La vita è felice per un poeta squattrinato e pressocché sconosciuto. Vagabondo per la città come un campione da romanzi, frequento i perversi della poesia di tutte le salse e di tutte le misure, sfoglio il giornale del centro e poi mi abbasso per i fogliacci delle periferie, sono un oriundo di quel della Magna Grecia, quasi un greco antico travestito da italiano bamba, sempre letta "la Repubblica" di Platone e fatti i campeggi con quel cane di Diogene, cercando l'uomo e trovando sempre la carogna. Penso di essere Pinocchio quando il Gatto e la Volpe gli rubano i 4 soldi, il Naviglio Grande è la mia Pietroburgo, scarpe del tennis e biciclette rubate e comprate, comprate e rubate, anche da dietro la porta e 4 catenacci forti, giornalista di fonderia operaio di rivista, autista di notte, infanzia in campagna a portare sulla via le pietre dopo lo scasso per piantarci una vigna di vino viola tosto primitivo. F 104 sul cielo di Puglia e incrociatori da battaglia nel golfo di Taranto, una folla sterminata di santi e madonne al mio paese, cassette di colori rubate e portate indietro alla scuola elementare, panettiere di vie secondarie licenziato per andare a fare il bagno a Trieste, per piantare un alberello a Venezia, a dormire con le tedesche sulle scale di una pensione antichissima. Sbarcai una volta in Inghilterra e l'invasi da solo senza neanche la pistola, il traghetto era di Napoleone però. Normanni noi e gli Inglesi e nessuno ne sa niente, abitai da un filosofo indiano con una dea per figlia, e anche lì mangiai bistecche greche arrostite e rose di giardino appena sbocciate. Non leggo più niente, è una vita che ho divorato biblioteche, una dinamite in tasca e una caravella fiorentina nel cuore. Ho fatto il Risorgimento con Garibaldi e lo spernacchiatore in un teatro di Napoli, sono stato a Digione e a Guadalajara a dormire di notte sotto gli ulivi, senza temere le stelle e sperando di tornarci. Ho visto a Londra una processione di poveri lunga 3 kilometri, e un accattone a dormire su un altare quasi fosse il santo a Westminster Chatedral. Con tutta Milano allo stadio a battere le mani a Bob Marley. Torno sempre comunque al mio paese per mangiarci torte di cipolle forti, e ragù di asino per sentirmi in forma. Ho sognato Atene in India e in India di annegare nel Gange, mi salvò un corvo che poi mi rubò i pantaloni con il portafogli dentro. Ma io avevo la mia vita e me ne fregai alquanto, anzi scoppiai a ridere e me ne andai al ristorante a farmi offrire da mangiare da una bambina che poteva essere mia figlia. Sono sempre stato solo anche quando l'Italia vinceva il campionato del mondo e si metteva a vorticare intorno con le motociclette. Ho messo tenda a Milano un pò lontano dal miracolo del Duomo, praticamente è un esilio ma l'Italia è fatta così, era straniero in patria anche Garibaldi che l'ha fatta. Bukowski mi deve 30 dollari e anche Fedro 10 mine d'argento. Mia madre m'ha sempre detto che avrei dovuto fare il generale o in mancanza almeno il medico all'ospedale. Ho preferito la poesia per far lo spiantato squattrinato di professione. Vendo libri per strada nella babilonia milanese senza più risotti nè ossi buchi senza più Navigli nè chiesette nè osterie. La folla dei poveri l'han cacciata dalla città, e io resisto solo perché ho un permesso speciale di Don Chisciotte. Ho incontrato Federico Fellini, Dario Fo e Alda Merini, son stato loro amico con le mie scarpe rotte e i miei pantaloni sdruciti. Non tutti gli uccelli conoscono il grano e di certo anch'io sono uno di quelli. Faccio il campanaro notturno con la tuta del falegname, affitto sedie a sdraio all'inferno e vendo birre fresche in paradiso. Conosco centinaia di metropoli ma il mio treno si ferma solo a Milano, pianto libri come ulivi, poi faccio un olio antico che vendo per un caffè molto speciale, ho visto tanti monumenti di eroi e masnadieri ma il più bello era quello di Charlot a Leicester Square in quel della londinesa città. E la locomotiva caduta dal balcone della stazione penzolante nell'aria a Berlino e il travestito da donna che fa la rapina alla Banca d'Inghilterra lasciando tutti a bocca aperta, non l'hanno mai preso e mai hanno saputo chi diavolo era, se non proprio il diavolo. E gli Americani a cavallo là nella campagna di Norimberga che puntavano dritto al castello con la sigaretta in bocca e le tasche piene di cioccolata, ridendo come dei cartoni di pietra che mai saranno sconfitti dalla filosofia. E i comizi di Ezra Pound alla radio italiana che raccontava di liberarsi di tutti i liberatori per essere veramente liberi ma con il rischio di essere già schiavi, là con le capre di mio nonno Salvatore tra i campi d'erba di Acquaviva a saltare sui trulli e tornare a casa a mangiare pane con la ricotta ancora calda. E i cori serali di canzoni blues sui testi di san Paolo o di Giovanni l'Evangelista, quello dell'Apocalisse visionaria, con i missili sbaraccati dai nostri nuovi campetti di calcio e le casse di arance di Krusciov mandate per sbaglio a Aldo Moro che a Acquaviva fondò 50 scuole, piantò 100 alberi di pini neri e diede a me una bandiera italiana immacolata, che avevo appena 7 anni. E l'occhio di Dio che ci guardava dalla facciata della Cattedrale fiorentina e finalmente ci faceva trovare le voci di tutte le ragazze che ci piacevano dagli elenchi telefonici della cartoleria Tria, lì proprio a fianco del bar del Polacco, dove una volta il mediano Corazza affondò in un boccale di birra per aver vinto il campionato di calcio della regione Puglia Centrale. E tutti quei lavori a contare le foglie d'erba di Walt Whitman e le furie di William Faulkner, famoso fondatore di 1000 scuole di romanzi universali. Ecco: qui sono io, raramente sui giornali, con la mia faccia di Marx o di Dostoevskij all'occorrenza. Seguace fedele di Thoreau e di Ginsberg, di Toro Seduto e Cavallo Pazzo. Terzino di sfondamento gambe nella squadra di calcio del liceo, atterratore pure di arbitri sulla baleniera del capitano Acab. Col disegno nell'ascensore del Bassini con me che mi facevo da dietro la Resuscitata, fatto da chissà chi con una biro e calcato forte, mai mi fecero disegno così somigliante di me. E le manifestazioni del '77 in via Orefici e che mai ci fecero entrare in Piazza Duomo per pregare la Madonnina che ci facesse cadere a faccia a terra Godzilla, famoso traditore dei suoi stessi amici. E gli scontri che ci furono, tutti sbagliati, e quelli che non ci furono perché poi tutti i nostri capi si impiegarono in banca o in televisione o in carica ai giornali migliori della vituperata (a parole) borghesia. E l'arruolamento conseguente nelle armate del sud di Milano dei sottocani, che i posti dei sottouomini erano già tutti occupati a leggere i flussi di coscienza del dottor James Joyce e non cavarci mai una bottiglia della centrale del latte della città ormai in disuso. Per le stradine di Parigi ho letto 100 gialli metropolitani con macchine piene di assassini con buste piene di donnine rovinate, ho fatto il lattaio ambulante in servizio per me stesso, che pacchia a Londra per un italiano amante del latte buono, operaio di pizzerie polacche nell'East End e portiere d'albergo nel libero stato di Brera di notte, quando i pittori si vendono i palazzi e si comprano due colori originali per dipingere un vagabondo in stato di estasi a comiziare su maghe di medioevo e dittatori di piantagioni bananiere, domande da cento pistole risposte da un milione di dollari, mai visti senza un fucile mai fatti senza un inganno, nascosto o palese tanto è lo stesso. Scrittura automatica e felicità a buon mercato, quasi gratis, tanto la natura non si accorge mai di niente ma in compenso sa sempre tutto. Russia, poesia, follia con un passaporto di un poeta fallito nei parchi di tutta Europa con mille lire al mese per assoluta fantasia. Son diventato quel che sono perché già ero quel che poi son diventato, migliaia di progetti per il passato da rifare, per il futuro già sparito, per il presente sempre latitante. 3 lire per oggi 3 lire per domani, 3 lire spese anche l'altro ieri. Incassi incerti dal negozio di Speranze là nel vicolo dei Lavandai, a piantare racconti e a raccogliere pomodori. Son bravo, buono e forte come il gattone nero che mi accompagna nei libri fin da quando ero ragazzo. "Quell'uomo è un mistero", diceva di me sempre Franz, "E' una finestra aperta", diceva sempre invece il vecchio Charles. I miei errori mi son sempre piaciuti e non ho mai vinto a lotto proprio per questo. Mi specchio nell'acqua della vita e vedo solo un idiota molto ridicolo che pensa di essere un genio e è invece solo molto ubriaco. Vivo in un casino senza punteggiatura, sedie rotte a tutto spiano letti a terra dove dormono le bambine. Sono un matto sotto al sole su una collina piena di cicogne, sogno come Chagall che mi vuole bene come a un suo piccolo fratello, mi firma sempre i miei libri all'ultima pagina per farmi coraggio. Il linguaggio è la mia coscienza e dico parolacce perché sono un uomo libero, chi parla con la sintassi in mano è uno sgrammaticato dell'anima che non sa per nulla la sua stessa lingua. Bob Dylan suona l'armonica tutti i giorni per me, sbuca fuori dalle nebbie di New York e passa tutta l'estate sotto la pioggia come fosse in India a raccogliere filosofie d'amore dimenticate e perse. Céline suona il piano in incognito per me, l'han fregato perché era il più forte, mi dice sempre: "Sta' nascosto, pirla, sennò ti spaccano la testa pure a te". E io nascosto sto, se viene un giornalista gli dico bugie, come poi lui le dice su di me. Mi copiano in parecchi, anche i tassisti, e poi dicono che sono io che copio loro, fossero almeno belli ma sono brutti come il debito o il demonio. Non ho mai visto Gesù nè Marx nè Tutankhamon, ma come un folle perfetto sento le loro voci e rischio un corto circuito in casa con i leoni a far la siesta giù nel cortile. Afrodite invece l'ho vista come pure Ares e Zeus nel pieno delle sue forze, mentre si mangia i serpenti che gli mise nella culla suo padre. Vado al mare a San Francisco, a bere birra a Tubinga, mi piace molto la Francia perché è venuta a piantare l'Albero della Libertà fin nel mio paese di buzzurri, laggiù in SudItalia dove vengono pure gli Inglesi a dar da mangiare alle volpi pane e mortadella tutte quelle poche volte che nevica, che son guai pure per i merli e le cornacchie. Faccio una vita felice perché son poeta e non combino mai nulla, gioco con le parole e sono un'autentica schiappa a far soldi con i miei piatti di maccheroni arrostiti, ho letto Sartre e non ci ho capito niente ho letto Bloch e spero senza fine, perché l'autentica sapienza è proprio quel che speri e hai la fortuna di mai dimenticare. Son fanatico e fesso, odio la chiacchiera e l'oblio anche se in fondo vivo anch'io sia di chiacchiere che di oblii. Son quel che sono e non me ne pento, non ho un soldo ma milioni di libri, son ricco anch'io ma non m'invidia nessuno, i miei vicini di casa non la guardano nemmeno quest'isola del tesoro dove accumulo tutti i miei quaderni di appunti e poesie. Sono un poeta pazzo, come forse ce sono tanti, ma abito nel mio quartiere di matti più in alto di tutti, e mai nessuno che sappia chi veramente io sia. Sono un cuore vivo che è pure parecchio felice. (E ora che lo dico per pura scaramanzia mi tocco le balle e così sia.) GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO (da "I PAZZI" 11 poesie, Acquaviva, 2014) i libri di GDA sono on Google play: http://goo.gl/cRqtvl
chi lo può vantare il diritto alla verità se non il sognatore? chi si può impadronire della nostalgia se non un occhio malato? chi può brillare di luce propria se non chi cerca la felicità? la vita magari è squallida ma chi sogna bazzica sempre sornione dalle parti del paradiso. GD ANGELILLO
che te devo dì? è stata vita, là sulla pellicola, là dietro il portale del letto, là in mezzo al mucchio dei libri. che te devo dì? ci avevamo la chiave e ci hanno pure aperto, ci siamo amati, come due tazze fragili della stessa casa, l'uno nello sguardo dell'altra, lì accanto come una cucina che si vanta di stare sempre a cucinare, il fuoco sempre acceso sotto a tutte le pentole, gli occhi sempre brillanti di malinconia, à Federì, non ho avuto occhi che per te il tuo mondo, il tuo nome grande come un nume, io poi dietro la porta socchiusa, che te devo dì? la corrente stessa della mia vita sei sempre stato tu. GD ANGELILLO
Federico, il mondo l'hai fatto come una ciliegia dolce, il cuore come la scorza di una mandorla amara molto dura per reggere in groppa un'intera città, la rosa invece te la sei messa in tasca, la sciarpa invece era la coda del tuo gatto più arrabbiato il campo un universo di sogni fuori moda e fuori portata, il cappello il tuo sigillo di pensiero perennemente in dubbio. GD ANGELILLO
"eccola lì, Federì, la grande fabbricona mangiamondo in cielo, eccola tutta lì, uffa!" "OOOOOOOOH!" "Cche disi? è sola una mongolfiera quella, non vedi che anche noi siamo sospesi in aria con niente?" "Federì, Federì, quella ti piace, di' la verità!" "noooo, cche disi? è solo un mio film!" "lasse perde, Federì, la fai sempre così grossa, di' pure che te la volevi sposare". "me fà impazzì, è vero, ma è solo una fantasia". "beh! anche tu lo sei,ù bona fortuna alora!" GD ANGELILLO
tempo di sabbia, il castello del sistema resiste incerto in caduta libera pure, si canta per dormire, i pesci nel fossato son così contenti di tutte le nostre voci nell'unico paravento del coro all'unisono. G. D'AMBROSIO ANGELILLO
Io sono stata affamata tutti gli anni, il mio mezzogiorno era arrivato per pranzare. Io, tremante, mi accostai vicino al tavolo e toccai il vino curioso. Questo avevo veduto sui tavoli quando voltandomi, affamata e sola, io guardavo nelle finestre per la ricchezza che io non potevo sperare di possedere. Io non conoscevo l'ampio pane, era così diverso dalla briciola che gli uccelli e io avevamo spesso divisa nella sala da pranzo della Natura. Quell'abbondanza mi ferì, era così nuova, e io stessa mi sentii malata e strana, come una bacca di siepe di montagna trapiantata in una strada. E non avevo più fame, e allora scoprii che la fame era una via delle persone fuori delle finestre che l'entrare porta via. EMILY DICKINSON (da "PORTATEMI IL TRAMONTO IN UNA TAZZA", Acquaviva, 2004 traduzione di Giuseppe D'Ambrosio Angelillo) on Google play: http://goo.gl/M4qdBL on www.books.google.com