regala Libri Acquaviva

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giovedì 7 gennaio 2016

BON ANNE'

OMM DE MILAN


omm de Milan, de Lisboa e di Andebaran
tira un pacco al suo fratei,
chiama a voce cala la sua mama,
s'impippa un po' di tutto e di tutti i guai,

omm de Milan, de Bisboi e di Palalai,
sa tutto e non si prende mai l'ombrello
va sempre a spasso e pensa sempre ai suoi zebedei,
si scala dalla ciurma e s'alza con la bassa marea

omm de Milan, de Bisgrugia e di Balabà
s'assetta comodo semper in Piazza del Domm
frigge le sue quattro uova
e poi s'accomoda al cinema a pensar alla favola sua,
pellaccia dura, occhi di Santa Zibida,
bamba, poppi, e zadarei
omm de Milan

se ne impippa del nuovo del vecchio del mezz e mezz,
omm de Milan, di Zibibbo e di Sbadalan.
Bon Annè
a tutti i mettenghell della trivusa.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

venerdì 17 aprile 2015



sardine, piatti vuoti,
lo studio di pittura pieno di quadri invenduti,
gli amici che si facevano vedere sempre così poco,
il cervello imbottito di cazzate grosse 
come mercantili d'alto mare,
mentre noi con i sogni trafitti da mille atroci realtà
ce ne andavamo alla rinfusa
a raccattare qualche ciotola avanzata al supermercato
degli affaristi,
con il nostro testone malridotto,
col muso storto, 
a raccattare gatti randagi
per curare in estremo la nostra carnivora solitudine,
l'uomo,
che strana bestia è a volte a pensarci bene,
ma noi pensavamo già male
e così giocavamo d'anticipo
sulle malie fantasmagoriche del nostro destino buontempone
che per prenderci a cottimo per i suoi oscuri intenti
ci mollava in una stalla,
quattro briciole lasciate nel piatto.
la lisca della sardina
che ci poteva venir ancora bene per un altro quadro.
la cavezza dell'asino che più furbo di noi
se n'era già scappato da un pezzo.

giuseppe d'ambrosio angelillo

venerdì 10 aprile 2015

PENSIERI DI UN UOMO RIDICOLO
come sono belli quegli amici
che chiedi loro aiuto e non si fanno trovare in casa,
sono occupati, sono andati a Toronto, 
stanno visitando la loro stessa cantina,
quand'è stato hai dato loro l'anima,
il sale e la tovaglia.
ora invece son passate via le cose del bene,
ora è di moda il "penso solo a me" (che è già troppo
nel senso dello sforzo del pensare),
se hai bisogno rivolgiti alla carità di Dio (se ci credi,
altrimenti fa' come facevano gli antichi, andrà come andrà).
l'avessi saputo avrei pensato altrimenti sul fare della vita...
ma no! il bene seminato produce altro bene nel mondo,
il male moltiplica il male,
immetti bene nel sistema del mondo
che il bene girando la ruota del destino ti arriverà...
ma quasi mai dalle stesse persone,
da altre invece che manco forse conosci.
ma dov'è che ho sbagliato allora? ma in nulla...
le persone pensano a modo loro:
ricevere bene fà piacere
ma ridonarlo dà alquanto fastidio...
quanti libri, quante idee, quanto tempo, quante energie...
avessi pensato solo a me stesso avrei certo più soldi
ma non sarei quel che sono: me stesso.
il male peggiore comunque è riporre il bene nei soldi
e non nell'amicizia e nell'amore
(da dove tutti una volta siamo nati)
ma chi mai nasce dai soldi a questo mondo?
la follia, la protervia, l'assassinio...
auguri e figli maschi, amici miei belli
che non vi fate trovare più così facilmente,
io non ho sbagliato a fare a voi del bene
siete voi a sbagliare ad esservelo dimenticato,
pagherete un pasticcino di più alla vostra amante traditora
darete un vizio in più a vostro figlio scialacquone
invece che aiutare un vostro antico amico in difficoltà:
sarete di certo molto felici per tutto questo...
io continuo testardo a pensare che il bene non è mai uno sbaglio
e che manco la vera amicizia lo sia.
sbaglia sempre, qualunque cosa faccia, il male
e la falsità dell'anima del pusillanime.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO


da "CARTOLINE DI MILANO", Acquaviva, 2015

giovedì 9 aprile 2015

chi cerca lavoro impara e impara e non sa mai niente


IL CESTINO DI PIAZZA DEL DUOMO

     Me ne ero andato a sedere al gradino sotto un lampione in piazza del Duomo, al sole, proprio di fronte al miracolo, tutto bianco e candido sotto la forte luce del giorno primaverile. Ero lì ad aspettare che arrivassero le due del pomeriggio e potessi andare a fare i permessi per andarmene in giro per Milano con la mia bancarella di libri.
   Me ne stavo lì rilassato, a godermi quel grandioso spettacolo che è la folla che vortica attorno a uno dei più bei monumenti d'Italia. Fotografi abusivi, venditori di cianfrusaglie, turisti, lestofanti...
poi guardavo di nuovo il Duomo e dicevo a me stesso: "E' un miracolo. E' davvero un miracolo..." Ed ero felice di poterlo vedere tutte le volte che mi garbava.
   A un tratto mi accorgo di un ragazzo male in arnese, con un cappuccio in testa, tutto sporco, nero di polvere di marciapiede, un cespuglio di capelli ricci in testa, una lunghissima barba rossa, gli occhi spiritati. Vedo che va dritto al cestino dell'immondizia del comune, proprio più in là di dove sono io. Ravana all'interno, col chiaro proposito di trovare qualcosa da mangiare. Rovista a lungo, con calma, con dovizia di attenzioni.
    Io penso:"Ma che minchia di schifo potrà mai trovare in quella spazzatura?"
    Ma quello imperterrito continua a raspare nel luridume. Con somma mia sorpresa qualcosa trova: un cartoccio quasi intero di gelato privo di contenuto ma ancora gocciolante di un liquido rossastro. Lo addenta con voluttà, se lo sgranocchia quasi golosamente. E soddisfatto del frutto della sua ricerca, se ne va via. Tutto sbrindellato, coi vestiti sfilacciati e strappati. Col cappuccio lurido se ne va, a perdersi nella folla là intorno. Lo osservo meglio, è proprio un ragazzo molto giovane e bello, se non fosse per la lordura che lo impregna tutto.  E' un bel pezzo che noto che i mendicanti giovani sono aumentati di moltissimo in città. Quasi normali a prima vista, ma poverissimi e laceri.
   Ritorno lento ai miei pensieri. Mi metto a guardare una gru colossale che poggia lastre di marmo passando fin sopra le guglie del Duomo, con grave pericolo di scassarne qualcuna. Ma anche se fosse? Che ci vuole a ripararla? Così balordi come sono diventati ultimamente gli italiani? Ma non ci sono gli ascensori? No, no, con una gru venuta apposta dalla Germania si fa più in fretta, più preciso. 
   Sul sagrato altri operai scassano la pavimentazione e ne mettono un'altra nuova, più ordinaria, più madornale. Fanno una polvere della miseria. Si spicciano: l'Expò è a un tiro di schioppo.
    Ma ecco che vedo qualcuno armeggiare di nuovo attorno al cestino del comune della spazzatura. E' una spazzina. Piccola, minuta, carina. La guardo meglio, è truccata sapientemente con rossetto di marca e ombretto, rimmel e fondotinta. Sembra davvero una pin-up, solo un pò in miniatura. Alza il coperchio del cestino, prende il sacchetto nero dei rifiuti e l'accartoccia, l'annoda, ne mette dentro uno nuovo e vuoto, adagia quello pieno accanto al cestino, abbassa il coperchio. Con la sua bicicletta fatta apposta se ne va via. Ha una pettinatura appena rifatta da un parrucchiere sapiente. Solo il vestito la fa ricadere tra noi comuni mortali, altrimenti davvero può essere scambiata per una attricetta di Cinecittà, o una figurante di qualche spettacolo televisivo. "Cazzo, quella se ne va in giro a raccattare la spazzatura come se se ne andasse a un appuntamento galante!", mi dico.
    Fa caldo, un poliziotto con il giubbotto antiproiettile suda vistosamente, mi osserva con attenzione da lontano un pò più avanti del suo numeroso drappello di colleghi. "Ma che cazzo ci fa quello lì senza far niente da così tanto tempo?", sembra chiedersi. Non sa il mister che uno scrittore lavora anche quando sembra che non faccia niente, anzi soprattutto allora. Tiro fuori dalla mia borsa nera i miei quaderni e lui cambia mira di attenzione. Accanto a me un grasso turista tedesco, due turisti indiani che si stanno facendo taroccare le foto in piazza da un loro compaesano.
   La gru ancora si avventura con i suoi carichi pericolosi tra le guglie così fragili. Un vecchio abbraccia una ragazza carina magra e con lunghissimi capelli rossi. Fanno un lungo giro della piazza e poi tornano vicino a me. Poco più in là un piccione maschio striscia la sua ruota di penne a terra e fa "gru gru" alla sua piccioncina, che fa le viste di fregarsene altamente.
    Son le due, è meglio che non mi faccia aspettare a chiedere i permessi nell'ufficio. Mi faranno certo penare. La vita in strada per un artista è una guerra. Nessuno ci pensa mai. Ma l'arte a volte è proprio un mestiere di merda. Ma qualcuno lo deve pur fare, come dicono sempre quei tre taroccati lì.
   Mi alzo e mi avvio come un cammello stralunato dietro l'Arengario.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

da "CARTOLINE DI MILANO", Acquaviva, 2015 


LA NATURA FA TUTTE LE COSE
ma che si dice se fa tutto la natura?
è così.
per l'uomo le parole fanno ridere e nevicare,
è la voce che tiene su tutta la baracca,
stessimo ai fatti nudi e crudi
faremmo come i diavoli
che vanno a trovare i loro parenti poveri
solo quando crolla la stagione.
ci conosciamo tra di noi solo per sentito dire,
altre parole che si accatastano a altre parole
per farne a primavera un gran falò di tristi discorsi,
ma Milano parla solo con un verso: lavoro,
e così si viaggia per l'orizzonte dei ladri
cantando per un mondo migliore,
la natura fa le sue solite cose
e solo allora comincia la vera musica dell'amore.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

martedì 31 marzo 2015


UTOPIA MILANESE

mi sono adottato di mia spontanea volontà
        a questa città di nome Milano
che una volta 
                        si chiamava
          "che me ne importa a me?".
c'erano una volta
                    le chiavi nella toppa
          di un oscuro manicomio.
             i pioppi e navigli scuri
che mai si stancavano di scorrere
come la nostalgia nell'anima.
                 i reggimenti dei soldati
             che sparavano al popolo
austriaci o piemontesi
        che
                                     fossero
i riposi di pomeriggio
                  perchè la notte
si passava tutta
                                            in piedi
a cammalare in cerca
       di chissà 
                                    che.
duellanti nella nebbia
                  che mai nessuno
     che una volta 
                                            avesse
mai
                        conosciuto l'altro.
fosse per una donna
                                    un soldo
                      un diavolo
mai s'è saputo veramente.
                       andiamo, lampioni,
è l'ora dell'ubriaco,
quell'uomo pazzo
                       che sempre è innamorato
di voi
                                  chissà
              perchè.
l'utopia generosa
                            i fratelli che ti aiutano
e che ti accompagnano alla metrò
             con te
che te ne vuoi partire
             per sempre
                                              per l'India
per la Buona Novella
                                            per l'Isola che non c'è.
Ridi,
                     narri,
         ricordi.
ti becchi nella crapa tante di quelle mazzate
                              ancora.
non cambia 
                     mai
Alessandro
         che sbarca 
e compra confetti
                               in Siria.
la bottega dei miracoli
                  dove vennero a sparare
alla saracinesca
                e ai libri di Dostoevskij.
dimmi, nino,
               chi morì in fondo al vicolo?
nei cortili delle case popolari
        muore sempre qualcuno ammazzato,
              una moglie
       una madre di 3 figli,
                      un drogato
un balordo
                                    un demente
uno che non ce la fa proprio più
                    un cane
un gatto che attraversa la notte.
spari,
                      macchine a fuoco,
autombulanze di matti.
io dopotutto sono uno straniero,
mai capita a fondo questa città
senza paradisi
                                con tutti gli inferni
disponibili
                              sul mercato.
sono uguale 
                                     a me stesso.
son fatto di cemento.
                    mi affeziono
son fedele
                                             come un monumento.
                                son qui
Milano
                      è
il
                     mio
             gran
                                                             teatro.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

mercoledì 25 marzo 2015



sono venuto qui a milano
per cercare la mia utopia in una bailamme di forse.
mi son sparato centomila mattini
di pieno febbraio
per veder tornare quell'antica festa
che fa ottusi i furbi
e profeti tutti i poeti,
a questo gioco di dolore
ho puntato un cannone di risate,
miliardi di sguardi perduti
per non vedere niente,
scoccare frecce di allegria su tutta quanta la folla.
un giorno forse
forse forte di miliardi di sogni
vedrò più bella di questa
sulla parola
la mia grande milano...
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

lunedì 9 marzo 2015


L'ENCICLOPEDIA DI MILANO

l'enciclopedia di milano che ti spiega il corso della vita. che ti sciorina il volume del senso del correre. che ti ricorda il rigore della germania, il sorriso mistico dello scetticismo antico, la mutanda strappata di eva nel paradiso terrestre, la banda scalcagnata dei musicanti di brema, il battaglione dei lombardi sul fronte del marsala, la tipografia dei falsari delle 4 lire messe in croce, la prigione dei sassi e delle botte, la nave morta di taranto che naviga in mezzo al tempo degli spartani, lo sbaglio metafisico dei francesi, la verità sguercia dei cavalieri di malta, l'almanacco storto dei monaci metropolitani, i mendicanti che dormono sempre dietro al palazzo dei vescovi, le palle vendute e comprate in tutte le televisioni, il nulla di tutte le pagine dei giornali invenduti, i biglietti della lotteria nazionale taroccati dai bottegai in piazza del duomo, le antiche muraglie cinesi dell'abitudine e dell'usanza, la casa mai trovata, la casa mai cercata, la casa mai abitata, la caduta nel naviglio seppellito, la presenza di Dio, la presenza del demonio, la presenza del sorriso della gioconda, la presenza dell'amore perduto, l'assenza dell'amore ritrovato. gli ignoranti, i pedanti, i preti in fuga. l'avanzata inquietante di tutti gli ignoti. l'antica musica della nostra gioventù, la nuova strombazzata della loro spietatezza.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO
SCHIERE DI MILANO
Milano che si batte contro i nemici di ponente,
e schiera pure le sue truppe a est,
contro gli eserciti di un giorno non troppo promettente,
con disciplina inventa nuovi quadri futuristi,
solitari vini mistici
che con prosa nuova rinnovino l'antica cattedrale,
il gramelot, la matematica di un parco dedicato
alla luna di Leopardi,
alla filosofia di Leonardo,
con le orde dei barbari di ronda
per fare penombra in periferia,
nel cortile dei matti,
mentre le autombulanze corrono verso il deserto,
per soccorrere la memoria che si svapora al sole perfido.
l'acqua,
i libri,
in piazza diaz vendono ancora ricordi.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO



venerdì 6 marzo 2015


LA CASA DEI MORTI
la casa dei morti. al secondo piano. seconda porta a sinistra. il padrone, un architetto proprietario di 7 palazzi a milano, murava le porte della gente che sfrattava. la casa pian piano si trasformò in un grande agglomerato di loculi di cimitero. così io la chiamai alla fine: la casa dei morti, con implicito e surrettizio riferimento al mio Dostoevskij. che proprio in quegli anni andavo forsennatamente e mattamente assimilando. che mi fregava? quando a sera tarda tornavo a casa, con le lampadine dei corridoi sempre spente o fulminate, mi sembrava di essere Raskolnikov che tornava al suo infame tugurio. 
ci salvano sempre cose scritte secoli prima, i contemporanei quasi sempre non hanno invece nessuna pietà. l'inferno sono gli altri, e te ne accorgi quando li incontri nei loro tremendi labirinti dove si sono irrimediabilmente persi e che invece di addolcirsi continuano a tramare alle tue spalle le peggiori nefandezze. quella casa era piena di gente pazza, di prostitute di infimo prezzo, ex-galeotti, ubriaconi, vecchie e vecchi abbandonati da tutti, soprattutto dai loro parenti, figli o fratelli che fossero. ogni porta aveva un Gesù appeso dietro la porta, i più facinorosi avevano un ritratto di Marx appiccicato con la colla alle fracide pareti. qualcuno persino Siddharta o Toro Seduto. quando veniva sera una tempesta di polvere prendeva a bersaglio l'anima di tutti. io scrivevo a mano i miei romanzi, come sempre. i verbi tirati da sotto al pozzo del cortile, dai mucchi della spazzatura, dove sostavano in permanenza i gattoni randagi del caseggiato. che risse furibonde per gli avanzi dei pezzenti! vinceva sempre un gattaccio guercio che io chiamavo il Brigante. era furibondo per le ciccie d'avanzo, prima doveva sbafare lui e dopo almeno un dieci minuti tutti gli altri, dopo che avesse finito pure le sue lunghissime pulizie di lavate di faccia e di muso e di zampe.
il fato ti sbatte sempre dove meglio gli garba a lui. l'infinito se ne fotte assai di quel che capita a tutta questa massa di fuori di testa che sono gli uomini. tutta gente che prende persino il denaro come acqua santa per benedirsi le incessanti malefatte di cui è ben capace. poi si autoassolve come fedele seguace delle sue stesse assurde cazzate.
solo l'arte salva gli uomini ogni tanto. e il puro cioccolato nero dell'Ecuador.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

Cartoline di Milano, 2015

giovedì 5 marzo 2015


GLI ARTISTI DI MILANO

di notte Milano non dorme mai. è una consuetudine abbastanza affermata tra gli artisti scalcagnati della città. chi non ci ha un cazzo da fare trotta a tutte le ore del giorno e della notte a suo piacimento. la musa di ognuno è una perfetta pazza e non ci si potrebbe aspettare nient'altro che gesti senza capo né coda. la poesia è sempre sveglia, altrimenti come potrebbe mai arrivare alla bellezza? dormendo non si va manco in prigione a Milano. dopotutto l'alba e il tramonto sono la stessa cosa a una mente perfettamente allenata. essere qualcuno o nessuno è parimenti la stessissima cosa a un'anima perfettamente equilibrata. un mondo di giorni è solo un mucchio di cose da fare, ma gli artisti di Milano lavorano anche guardando semplicemente la pioggia fuori dalla finestra e questo non tutti son capaci di farlo. la conquista della fama eterna a una coscienza affinata dal nirvana non dura che un solo attimo. cosa sono le stelle infatti se non esseri superiori di nessuna parola e di nessun gesto? a questo pochi ci arrivano, ma gli artisti di Milano non fanno un cazzo solo all'apparenza. infatti quasi tutti sono dei maestri di strada e non li vedrete in tv manco se vi mettete a piangere in greco antico.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

Cartoline di Milano, 2015

TEMPI POETICI DI MILANO
dormivo sempre fino a tardi. poi verso l'una mi svegliavo. aprivo la porta finestra sull'orto del retro e mi godevo il gran sole che a quell'ora si faceva trovare proprio davanti a me. mi ricordavo subito di Dostoevskij e mi prendevo in mano qualcuno dei suoi grossi romanzi, ne leggevo qualche decina di pagine e mi sentivo subito sazio. era quella la mia succulenta colazione che non mi invidiava proprio nessuno. la prosa del maestro russo mi riempiva di forza appena alzato. mi portava lontano e mi faceva anche un pò dimenticare la mia misera condizione di quei tempi di studente un pò fallito e un pò sognatore professionista. poi era la volta dei greci, uno qualsiasi. Protagora, Platone, Diogene. i greci mi facevano ridere a quei tempi come pure ora. sostenere che tutto era acqua o fuoco o terra o aria a me sembrava una ciclopica barzelletta. io la pensavo esattamente come loro, la vita era una tragedia e proprio per questo bisognava bersi di prima mattina un buon bicchiere di vino forte per avere il coraggio di mandare al diavolo il primo dio che aveva l'ardire di presentarsi davanti. in quella casa dove abitavo, sul naviglio grande, era piena di matti e proprio uno di loro mi si presentava davanti. "che ora è?", mi chiedeva. oppure: "mi dai mille lire?". come fare a non mettersi a ridere davanti a simili domande metafisiche?
poi mi mettevo a pensare alla mia innamorata, un'altra matta forsennata che sempre mi lasciava per poi ritornare infallibilmente dopo sei mesi. ero arrapato abbastanza dopo tale periodo per non mandarla mai indietro. non so se fosse innamorato di lei il mio corpo o la mia anima, ma dopo tutto non me ne fregava niente di saperlo precisamente. 
di notte mi veniva la luna alla finestra e la credevo una delle mie più grandi ricchezze, che mai nessun gaglioffo sarebbe mai riuscito a sgraffignarmi. per geografia studiavo il mappamondo e new york, dove un giorno mi sarebbe piaciuto molto andare a fare il poeta. gli americani mi sono sempre sembrati gente più seria degli italiani, e così nella mia fantasia ho sempre creduto che facessero campare più civilmente i loro poeti, magari pagandogli ogni tanto almeno un caffè, cosa che gli italiani si scordano  sistematicamente di fare.
    me ne fregavo di tutto in definitiva e questo mi tranquillizzava almeno un pò. con la fantasia poi scrivevo e riscrivevo a piacimento la mia squallida vita. per questo son diventato romanziere. per essere un re anche se sono nella realtà il più squallido pezzente. in questo Milano mi aiuta molto, qui nessuno mai conosce nessuno e così ognuno può essere tutto quello che vuole, anche il mahatma Gandhi. 
facevo sempre le stesse cose. e così  le giornate erano sempre uguali, mi dava questo una certa aura kantiana. mi è sempre piaciuto avere a che fare in una maniera o nell'altra con i filosofi. mi sono pure laureato in filosofia in 7 settimane e mezzo, poi come mi diceva malinconicamente mio padre: ho appesa la laurea al muro di casa e non ne ho fatto più niente. ma l'arcano è proprio qui con la filosofia: non ci puoi fare proprio niente perchè l'autentica libertà molto stranamente consiste proprio in ciò. che fa il gatto? niente, eppure campa e non esiste filosofo più dritto di lui. 
il tempo poi serve per la Speranza. si aspetta e si aspettano appunto le cose migliori, che arrivino o non arrivino è secondario. l'importante è aspettarle.
il profumo della vita è più potente di qualsiasi filosofia, e bisogna quindi agire di conseguenza. amare (tutto quello che si può), mangiare (il minimo), dormire (finché non ci si svegli automaticamente).
dubitare di tutto poi ti salva dal fanatismo, e quindi dalla relativa morte morale. la metafisica del dubbio consiste in pratica nell'essere artista. la vita è un esperimento artistico che è già perfetto in sè (qualsiasi cosa succeda). (Spinoza e gli artisti italiani del Rinascimento).
fare e facendo farsi. (Jean Paul Sartre).
in tasca ho il vino e la vigna.
Milano non è Atene, ma per me ci somiglia molto.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

Cartoline di Milano, 2015


giovedì 16 ottobre 2014





i bambini devono pur mangiare, 
mister presidente

il bottiglione del viso pieno di risate
tristezza
giochi perduti a livello universale.
la vita che si diverte come un pallone a rotolare
dove vuole lei
come vuole lei
e la corte dietro che piange
e si asciuga le lacrime con la carta da parati,
com'è il toro?
con le corna,
si fa i fatti suoi e gode se combatte.
il poeta pesca in riva alla piazza il suo lettore distratto,
deve innaffiare i suoi alberi secolari
e il comune non gli fa più credito ai suoi putti volanti.
ma la poesia è sacra
è santa
salva la vita per ancora mezz'ora.
una mollica di sogni
un naviglio di utopie
una sponda di risate
e l'antica Atene può portare le sue armate
lungo le catene di supermercati
dove si perdono pure le sante icone,
ma il pane
le nuvole
i vivi
sguazzano nei giorni privi di speranze
che passano correndo,
si diventa pazzi un pò tutti
nel delirio palese di questo aeroporto di capitali fuggenti.
rombi,
sparatorie
la libertà è una lotta quotidiana
che non si vince mai una volta per tutte.
marciano le ombre
gli spettri
i fantasmi,
a piombo calano i conti sui popoli,
il pensiero è un vile vassallo,
dietro la porta parla l'amico,
e forse è un traditore.
giuseppe d'ambrosio angelillo

venerdì 26 ottobre 2012

IN QUESTO CORSO DI NAVIGLIO DI MILANO (appunto autobiografico)

    in questo corso di naviglio di Milano un giorno piantai la tenda dei miei trucchi di giocoliere di parole, quasi un nascondiglio per me, dalla parte del muro nebbioso, dove i malandrini venivano giù dalle montagne degli orsi, e pesci ce n'erano sempre a darsi tra le urla dei litigi ai ladri di tutte le specie.
    qui, in case sempre con le porte aperte per troppa povertà mi son ripreso la mia parte nella vita, sempre però in un freddo boia, a tremare con la coperta addosso, con una tosse che non mi abbandonava mai, il forno a gas sempre acceso che manco la stufa avevo, e mi riscaldavo a mio rischio e pericolo. queste case sempre riscaldate a caffè forte e a vino da quattro soldi, dietro tende di cartone, con le nuvole di pioggia appiccicate proprio dietro la porta, a pensare alla terra dei sogni, appena intravista dalle parti del Duomo a furia di guardare in su alla Madonnina, che ci proteggesse anche a noi terroni, caso mai gli uomini non ne volevano proprio sapere.
    perchè anche Milano è fondata sull'acqua come Venezia e il mio paese, e non c'è nessuno che fa il padrone delle rotte di noi navi alla deriva in questo porto di anime sempre senza cappotto. gente povera che ci siamo sempre aiutati tra di noi per poter alla fine della fiera ridere più forte di questi cummenda e ricconi che non capiscono mai una mazza di cosa sia veramente l'orgoglio e l'onore di essere a questo mondo.
    pantaloni stinti, maglie nere con buchi bianchi, e il sentimento appeso al soffitto per fare un pò di luce, e così si alzava la mano e anche al buio più ghiacciato si trovava a tastoni la lampadina dell'amore e così si faceva un pò di calore anche per noi, nati sfortunati di soldi ma ricchi di vita...
giuseppe d'ambrosio angelillo
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