regala Libri Acquaviva

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martedì 13 settembre 2016

Giuseppe D'Ambrosio Angelillo STRACCIONI raccontino ACQUAVIVA

Giuseppe D'Ambrosio Angelillo
STRACCIONI
raccontino
ACQUAVIVA, 2016


   Facevo parte di una vera folla di straccioni che stazionava in una piazza enorme di querce davanti alla stazione ferroviaria di una grande città.
   Si mettevano delle grosse bottiglie di birra sopra i tetti dei numerosi chioschi delle edicole della piazza e poi a turno si andava a bere.
   C'erano anche delle gran tavole dove c'erano numerose scatole di fagioli lessati e anche lì si andava a mangiare.
   I nostri abiti erano lerci e laceri, si puzzava tutti un po' di odori nauseanti e insopportabili.
   Si parlava tutti del più e del meno offendendoci a vicenda il più pesantemente possibile.
   Si bighellonava per la piazza di qui e di là, non facendo assolutamente niente ma dandoci arie come se fossimo le persone più importanti della città.
   Molte volte ci atteggiavamo a rivoluzionari e gran ribelli internazionali, certe volte a laidi reazionari e retrogradi.
   Il più delle volte semplicemente non capivamo niente di tutte le questioni, visto il degrado assoluto di tutte le nostre condizioni esistenziali.
   C'erano nella stessa piazza parecchi sbirri che ci venivano a controllare caso mai tra noi si nascondeva un gran ladrone matricolato che usava l'espediente di vivere per strada per il semplice motivo di sfuggire alla giustizia.
   In verità vivevamo un po' tutti nei nostri cappottoni pesanti e luridi e lì menavamo la nostra esistenza nel luridume e nell'accattonaggio più becero. 
   Una volta venne da me uno di loro e mi disse:
   "Vai al tetto di quel chiosco, c'è una birretta di vetro bevuta a metà, prendila, fai finta di bere e lanciala in mezzo alla folla, cerca di prendere qualche testa e di spaccarla".
   Io feci quel che mi disse, non potevo far la figura del vigliacco, nessuno l'avrebbe tollerato e mi avrebbero emarginato di brutto, cosa che d'altronde facevano già, perché per oscuri motivi mi malsopportavano, pensando forse che non ero dei loro fino in fondo.
   Andai al tetto del chiosco e trovai la bottiglietta di birra mezza bevuta e con fare guardingo la presi. Feci finta di assaggiarne il contenuto, sapeva di gazzosa dolce vomitevole, e aspettai il momento buono di gettarla sulla testa della folla. Mi accorsi che due poliziotti mi osservavano da lontano, avendo intuito che stavo per commettere qualcosa di losco dal mio atteggiamento cialtronesco e circospetto.
   Tentennai nel mio gesto.
   Ma uno di loro si avvicinò e mi apostrofò:
   "Ehi bamba, e allora? La lanci o no la bottiglietta?"
   Era gente molto cattiva, se non avessi ubbidito me l'avrebbe fatta pagare atrocemente.
   Allora mi cercai un nascondiglio dietro una macchia di querce e quando fui sicuro che nessuno mi avrebbe visto nel mio gesto di teppista, lanciai la bottiglietta proprio dove ero sicuro che non avrei colpito nessuno della folla di passanti che senza posa attraversavano la piazza.
   La bottiglia s'infranse in uno spiazzo deserto e nessuno si accorse della mia furbizia.
   Solo un rockettaro decaduto e fallito mi venne a dire:
   "Ehi, fai il furbino eh?"
   Allora andai a sedermi davanti a una tavola di fagioli, piena di scatole aperte e mezze mangiate.
   Me ne stetti là per un lungo tempo, facendo finta di voler mangiare.
   Gli straccioni passeggiavano attorno a me in maniera indolente e stanca, continuando a offendersi a morte tra di loro. Andando avanti e indietro senza meta.
   Allora io presi una scatola con un fondo di fagioli che facevano schifo a vedersi, dopo un po', sempre con la scatola tra le mani, me ne andai tra di loro, che andavano tra i chioschi a comprarsi per pochi nichelini bottiglie di birra di tutte le dimensioni.
   Con fare indifferente andai via dalla piazza, prendendo i fagioli con le mani e buttandoli per strada.

   Andai a finire davanti a una fila di studenti che facevano ressa davanti a una porta dell'Università ciarlando e facendo parecchio disordine.
   Facevano la fila per fare domanda di dottorato perché volevano diventare tutti professori emeriti nell'Ateneo.
   Io mi feci largo in mezzo a loro dicendo:
   "Devo consegnare la mia ricerca di dottorato! Si intitola: 'L'Occhio', aspetti filosofici e scientifici".
   Stranamente mi credettero nonostante il mio aspetto indecoroso e ladronesco.
   Entrai e mi intrufolai nell'Università.
   Notai subito della camera a forma di vasca, gigantesca, piena zeppa di libri, impilati a occupare tutto lo spazio possibile e immaginabile. Si potevano notare solo le copertine dei libri di superficie, poi dei libri sottostanti non si poteva notare null'altro.
   Una vasca enorme era tutta piena di libri di critica letteraria di letteratura inglese.
   Un tizio diceva:
   "Non vanno di moda sempre gli stessi libri. Ma un po' uno, un po' l'altro. A caso. Non si possono per niente fare previsioni. Ora va alla grande Tennyson, ora Boswell... Non si possono fare assolutamente previsioni... Tutto dipende dal caso e dal destino... Quindi tutto quello che posso fare è augurarvi buona fortuna a tutti voi..."
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

da "LA BOTTEGA DELLA FAME", racconti inediti

lunedì 24 gennaio 2011

DOSTOEVSKIJ di d'ambrosio angelillo

"Dostoevskij è l'uomo più buono del mondo perchè ha smascherato fino in fondo la più grande malvagità umana: colui che dicendoti di amarti ti ammazza proprio in nome di quell'amore omicida. Ma può un amore essere omicida? Sì, ne segue comunque come prima e più efferata conseguenza l'ammazzamento dell'amore vero, e quindi della stessa Bellezza.
L'umanità ne sarebbe sbaragliata se non ci fosse il coraggio della verità e della lotta."
Stavo facendo una conferenza su Dostoevskij e la gente mi ascoltava, non ero sicuro però che mi capisse del tutto.
Poi ho finito e son venuti tutti a congratularsi con me. Prima di tutti i miei traditori e i miei detrattori.
Poi a fianco della sala conferenze c'era una libreria immensa di libri vecchi, sembrava una libreria Libraccio, ma davvero molto grande. Così mi sono messo a curiosare tra i libri. Ce n'erano anche di nuovi e allora ne ho scelto uno.
L'ho preso e stranamente dentro c'erano due fogli di quaderno di miei vecchi appunti. Forse quello era un deposito di tutti i libri della mia vita, che io avevo perso durante i miei mille traslochi.
E su un foglietto dei due c'erano appunti per un romanzo e un disegno: una scogliera a strapiombo sul mare, ai piedi della quale io avevo una volta una piccola casetta.
E lì io avevo lavorato per tanti anni, in mezzo a terribili marosi.
Poi ho pensato:
"Comunque pericolosi ma in quegli anni ero davvero felice."
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Giuseppe D'Ambrosio Angelillo
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www.libriacquaviva.org
www.dambrosioangelillo.it
www.books.google.com

martedì 11 gennaio 2011

LE ELEZIONI DI UN EBREO racconto di D'Ambrosio Angelillo


Se ne erano venuti a Acquaviva due alti esponenti politici di Roma, uno era Fini e l'altro Gasparri, e c'era lì un ebreo che chiedeva loro di apparentarsi con la sua lista al loro schieramento. Ma quelli prima avevano nicchiato e poi gli avevano risposto nisba.
E così l'ebreo era rimasto con un palmo di naso, perchè nessuno lo voleva con la sua lista alle prossime elezioni comunali.
Così io mi sono avvicinato e gli ho detto:
"Se vuoi puoi apparentarti con la mia lista alle elezioni".
"E che lista è?", mi ha chiesto lui.
"La lista degli utopisti socialisti", ho detto io.
"E ci avete la falce e martello nel simbolo?", mi chiede lui.
"Sì, ma non è un problema, possiamo togliere quel simbolo e fare una lista civica, così forse funziona pure meglio", ho ragionato io.
L'ebreo non era tanto convinto, e si vedeva che non gli piaceva la soluzione.
"Ma scusa, te ne volevi andare con la destra. E' meglio che vieni con la sinistra. Dopotutto siete ebrei, che ci fareste voi con ex-fascisti?"
Lui non rispose, e ci pensava su.
Poi io gli ho chiesto:
"Ma in quanti siete voi ebrei a Acquaviva?"
Lui mi ha detto:
"Siamo in tre".
"Minchia!", ho detto io. "Se allora votate compatti prendete 3 voti!"
"Già".
"E vuoi fare una lista con così pochi voti?"
"Sì, ma noi siamo ebrei".
"E che significa questo?"
"Che noi siamo eletti per volontà di Dio mica per quella degli uomini".
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(questo racconto sembra una barzelletta
ma è una storia vera).
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Giuseppe D'Ambrosio Angelillo
(racconti dal ciclo "OGNI NOTTE UN SOGNO")
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IL LADRO ONESTO di D'Ambrosio Angelillo



C'era una volta a Acquaviva un uomo che si chiamava La Pichescia, e era così onesto che faceva il ladro. Infatti c'è nel paese un modo di dire che va così: "onesto come La Pichescia", che significa: "onesto come un ladro".
Una volta andarono da La Pichescia e gli chiesero:
"Compare, ma ti conviene fare il ladro?"
E lui rispose:
"Certo che mi conviene: non lavoro, mi prendo la roba degli altri e comunque ci rimetto sempre perchè sono una persona molto onesta: non rubo per interesse".
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Giuseppe D'Ambrosio Angelillo
CONTADINI E SQUATTRINATI
racconti
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mercoledì 5 gennaio 2011

IL PUPAZZO DI NEVE di giuseppe d'ambrosio angelillo


C'era una volta un pupazzo di neve e era notte e faceva molto freddo, era notte ma tutto risplendeva nell'oscuro perchè la neve sempre risplende anche nella tenebra più nera. E il pupazzo non aveva paura ma aveva tanto freddo.
Passa di lì un volpone e lo vede tutto freddoloso.
"Amico, che fai? Tremi?", gli chiese.
"Sì, per la miseria, fà un freddo da fine del mondo", disse il pupazzo.
"Che strano, sei fatto di neve, non dovresti sentir freddo", disse il volpone.
"Oh, se mi portassi in una casetta, vicino al camino, come ti ringrazierei", disse il pupazzo, sconfortato.
"Hai moneta?", chiese allora il volpone.
"Sì, due dobloni d'oro".
"Allora presto fatto. Te lo porto direttamente qui il fuocherello acceso".
Detto fatto, il volpone si introduce di soppiatto in una casetta e ruba un fuocherello acceso, portandoselo dietro su una carriola.
"Ecco qui il fuoco. Tira fuori il dovuto ora", disse il volpone.
"Prendi pure, i dobloni d'oro sono nella mia tasca destra", disse il pupazzo.
Il volpone mette una zampa nella tasca del pupazzo e tira fuori due pezzi di neve.
"E questi cosa sarebbero?", chiede.
"I dobloni d'oro", dice il pupazzo.
"Ma che? Mi prendi in giro? Questi sono due pezzi di neve".
"Sì, sono due dobloni d'oro fatti di neve, come me", disse il pupazzo.
"Maledetto, mi hai imbrogliato", disse il volpone.
Intanto il fuoco acceso stava sciogliendo il pupazzo, e dopo un pò scomparve del tutto. Rimasero solo una carota che era il suo naso e due bottoni rotti, e infine un cappellaccio di spaventapasseri.
"Che maledetto, non solo mi ha imbrogliato, ma se n'è pure scappato via", disse mestamente il volpone.
Il fuocherello s'era spento, il pupazzo era sparito, la campagna era tutta bianca e splendente, e il volpone se restava là tutto scornato.
Comunque anche i pupazzi di neve sentono freddo, solo che non possono dirlo in giro altrimenti passano un sacco di guai. Ma anche mettersi a ascoltare un pupazzo di neve porta un sacco di fastidi.
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giuseppe d'ambrosio angelillo
CONTADINI E SQUATTRINATI,
racconti
ACQUAVIVA

lunedì 27 dicembre 2010

.LA PAROLA PIU' GRANDE DEL MONDO. raccontino di d'ambrosio angelillo


C'era una volta una Nazione così grande che conteneva in sè tutte le altre nazioni del mondo. Quella nazione forse era l'America. E in questa nazione c'era una metropoli così grande che forse conteneva in sè tutte le altre metropoli del mondo, e questa metropoli forse era New York. E in questa metropoli c'era un quartiere così ricco e grande che forse conteneva in sè tutti gli altri quartieri ricchi e grandi del mondo, e questo quartiere era forse Little Italy. E in questo quartiere c'era un palazzo così ricco e grande che conteneva in sè tutti i palazzi ricchi e grandi del mondo, e questo palazzo era forse il Palazzo dei Poveri dello Stadera di Milano. E in questo palazzo c'era una stanza così piena di libri che forse conteneva in sè tutti i libri del mondo, e questa stanza è forse la mia stanza dove io faccio i miei libri Acquaviva. E in questa stanza piena di libri c'era un libro così grande che conteneva in sè tutti i libri del mondo, e in questo libro c'era solo un pupazzo e sulla sua fronte c'era solo una scritta, e questa scritta diceva solo una parola: IO.
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E questa è la parola più grande di tutte e contiene in sè tutti gli uomini e tutti i libri del mondo, e pure tutte le stanze, tutti i palazzi, tutti i quartieri, tutte le metropoli e tutte le nazioni del mondo. E io credo pure, con una certa qual sicurezza, che contenga dentro sè anche tutto il mondo. Almeno tutto il mondo che si dice sia degli uomini. E delle loro parole.
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giuseppe d'ambrosio angelillo


passaparola

martedì 21 dicembre 2010

NATALE ALLA STAZIONE CENTRALE DI MILANO racconto di d'ambrosio angelillo


Giuseppe se ne stava lì a guardare i locomotori a riscaldare i motori elettrici e pensare ai soldi che non aveva per comprare i biglietti. Era la sera di Natale e ognuno partiva per casa sua con il caldo incontrollabile della voglia di tornare. La gente si accalcava e si spintonava da tutte le parti, verso tutte le direzioni, e le luminarie di tanti alberi decorati e i miliardi di luci e lucine degli addobbi. Arrivati già da un giorno alla Stazione Centrale di Milano, se ne stavano lì a perdere tempo tra le sale d'attesa, i ricoveri degli accattoni e i caffè sempre affollati. E i treni arrivavano e partivano a miriadi per tutte le città d'Italia e d'Europa. Nessuno se ne stava lì a pensare a loro. A dir loro una parola buona o a portare un bicchiere di bevanda calda. Di uomini buoni non se ne vedeva nemmeno l'ombra là intorno, almeno in quei frangenti. Solo treni e treni che con fiati di mostri sputavano sibili e sbuffi da tutti i binari e da tutte le banchine. Tutti se ne correvano in giro con gran fretta e furia. Loro seduti in un angolo oscuro e freddo della stazione se ne stavano fermi e muti per ore e ore. Che ci faceva una donna incinta così bella alla stazione a tutte le ore nessuno se lo chiedeva. I poliziotti severi controllavano a caso documenti e facce di balordi e malviventi ma, caso strano, a loro non andavano nemmeno a dare un'occhiata, caso mai avessero bisogno di qualcosa. I ferrovieri si affaticavano a più non posso tra corridoi e spianate di piazza nella stazione, a parlare di orari, prenotazioni e biglietti. Nessuno si curava nè si occupava di una ragazza bellissima che lì nell'angolo aspettava di dare alla luce il suo bambino. Anche i preti non s'accorgevano di nulla e passavano a testa bassa pensando ai passi di un oscuro vangelo, facendo pure mostra di saperlo a memoria. I treni sferragliavano come titani meccanici, e il bambino aspettava ancora di venire al mondo. Le arcate metalliche della stazione erano gelate e oltre, verso le aperture gigantesche del fondo, turbinava furiosa una tempesta di neve che intirizziva pure le postazioni degli ambulanti che vendevano panini caldi e caffè bollenti. E la notte avanzava, la città si raccoglieva serena nella dolcezza della venuta santa del Natale. E sconosciuti si scontravano con sconosciuti nella corsa a prendere ormai gli ultimi treni in partenza. E lassù tra gli archi e la neve già arrivavano gli angeli e i pastori e i contadini e le pecore e i Re Magi.
Giuseppe prepara il giaciglio di paglia, maglie di lana e vecchi cappotti sistemati come un nido, il bue e l'asinello già sono là che soffiano i loro fiati caldi.
Maria finalmente dà alla luce il suo Santo Bambino, e i poveri e gli umili, come in un presepe, sorridono, danno quel che hanno, molto poco in verità, ma si chinano e offrono i loro doni, felici, e pregano che tutto vada per il meglio. Là, in un angolo oscuro e appartato della Stazione Centrale di Milano. I treni arrivano e partono come se niente fosse. Corrono sempre i ferrovieri alle loro incombenze, s'affrettano i passeggeri ai loro convogli, scrutano severi i sospetti i poliziotti. Passa perfino un prete con un vangelo aperto sotto il naso, leggendo, senza badare a niente.
E' nato Gesù Bambino quest'anno alla Stazione Centrale di MIlano, ma chi se n'è accorto?
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Giuseppe D'Ambrosio Angelillo
Natale 1979
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giovedì 16 dicembre 2010

L'ASINA VERDE racconto contadino di D'Ambrosio Angelillo



In groppa a un asino di cartone se ne andava un giorno Avram Lisciaebussa, un vecchio contadino galiota e imbroglione di Acquaviva, pure famoso sensale di gente da poco, e che fa? non ti incontra un altro asino come lui e così su due piedi subito gli fa:
"O caro asino mio bello".
"Fermo là! Che già so quello che mi dirai", gli dice l'asino.
"E che ti dirò?"
"Che hai bella pronta un'asina piùcchè sciccosa tutta apposta per me".
"E che ? Te ne dispiace?", fa Avram.
"No. Per dirti la verità no", dice l'asino, che di nome faceva Colummo e aveva fama di essere alquanto irascibile e violento.
"E allora! Ho un'asina davvero bella che fa al caso tuo, tutta verde e con un sacco di granaglie per dote".
"No. No. Non fa per me", disse Colummo, tutto scettico.
"Poco male. Ne ho un'altra sottomano tutta apposta per te. E' nera come la pece, ma ha perfino un sacco di grano in dote", disse Avram, furbo come 50 volpi di pelo fino.
"No. No. Non fa per me", disse anche questa volta l'asino.
"Allora la vuoi un'asina tutta d'oro con una catena di brillanti al collo?", disse Avram.
"No. No. Perdi tempo con me".
"E che asina allora vuoi?", disse Avram, tutto paziente come i migliori imbroglioni sulla piazza.
"Una che mi voglia bene", disse l'asino.
"Ah! Presto fatto! Ne ho una di cartavelina proprio in tasca", disse Avram.
"E' verde anche questa? E sei sicuro che mi amerà fino alla fine dei miei giorni?", chiese l'asino, tutto dubbioso.
"E' tutta verde e ti amerà fino alla fine di tutti i tuoi giorni, nessuno escluso", confermò Avram, con aria arcisicura.
"Bene. Questa la prendo", disse felice l'asino. "Quanto ti devo dare allora?"
"Dammi i due sacchi di sale che porti in groppa e l'affare è fatto".
"Bene", disse Colummo.
Ma fatto sta che il padrone di Colummo, un certo Tatasigna, gli aveva detto al suo asino prima di partire: "Colummo mio, se qualcuno ti vuole prendere i due sacchi di sale tu prima dagli un calcione forte nel didietro e poi chiedigli di che male di pancia patisce".
E Colummo così fece, tirò un calcio a tiro dritto a Avram e alla sua asina verde di cartone, e lo fece volare dritto dritto in un fiume, a lui e alla sua asina di cartapesta compresa.
"Maledetto asino! Cosa hai fatto?", urlò Avram ormai in mezzo ai flutti.
"Ma scusami un pò, brutto imbroglione, ma come fa un'asina di cartavelina a volermi bene se è appunto fatta di carta? E poi, come vedi, non sa nemmeno nuotare e aiutare nel pericolo neanche il suo padrone, al quale pure dovrebbe essere molto affezionato", disse Colummo.
Avram ce la mise tutta per salvarsi, ma l'asina verde di cartone si rovinò tutta e non potè più portarlo in groppa.
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GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO
storie contadine

martedì 22 luglio 2008

Un Atto d'Amore


"Per avere un qualche successo

al mondo bisogna strozzare il proprio istinto."


O.Henry



Una storia delicata e inaspettata

nella giungla in guerra di una metropoli a labirinto

come New York.