regala Libri Acquaviva

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lunedì 20 giugno 2011

LO STUDENTE DI FILOSOFIA di gd angelillo (raccontino con foto)

Una volta prestai a un mio amico all'università 1o.ooo lire.
Dopo tanto tempo capitando l'occasione gli dissi:
"Ma te non li restituisci mai i soldi che ti prestano?"
E lui mi rispose serafico:
"Ma non sono mica uno studente di filosofia io!"
E se ne andò via tranquillo e con la coscienza perfettamente a posto.
Lui studiava scienze dell'alimentazione.
gd angelillo
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(foto mia del maggio 2011, autoritratto nel mio bunker fatto di libri)
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venerdì 17 giugno 2011

UN ANGOLO DI NEW YORK di gd angelillo

Dostoevskij andò una volta a New York e ci trovò un fiume che chissà perchè gli ricordava la Terra Santa. Ci scrisse la seconda parte dei KARAMAZOV ma se la scordò in una bottega di giocattoli per bambini nella Quarantaduesima Strada. Gli piaceva tutto dell'America e specialmente i libri dove non si capiva niente, le luci elettriche, i quadri dei poeti poveri, le riviste culturali anche con un solo errore di sintassi e Giobbe.
Dostoevskij era ancora giovane, infatti per tutta la sua vita ebbe sempre 22 anni, anche quando era a New York, e nella Quarantatreesima Strada scrisse la terza parte dei KARAMAZOV e gliela regalò a un mendicante nero cieco che cantava un blues. Quello aveva freddo e la bruciò la notte stessa in un bidone per riscaldarsi un pò. 
In un angolo di New York c'è una scarpa abbandonata di Dostoevskij ma nessuno l'ha ancora scoperta. Tranne Re David.
GD ANGELILLO
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sogni di new york



giovedì 16 giugno 2011

LA VACCA racconto contadino di gd angelillo

Una volta un contadino, un certo Talione di Acquaviva, se ne andava in campagna portandosi dietro la sua vacca, una certa Nerina. Quando a un tratto vide pararsi davanti a sè tre volponi: uno era il sindaco, l'altro era l'assessore e l'altro ancora era il guardiano delle tasse.
"Ci devi dare un terzo della vacca perchè il paese è in forte debito e se non pagano tutti se ne va in fallimento", disse il sindaco, un certo Rubalardo.
"Io sono già fallito ma nessuno se ne preoccupa, specialmente quelli del mio paese", disse Talione.
"Lascia stare le storie dei balordi, mi devi dare un terzo della vacca perchè mi mancano i soldi per mettere la catrame alle strade", disse l'assessore, un certo Mangiapagnotte.
"E che mi serve la catrame sulla strada a me che ci vado a piedi nei campi?", disse il contadino.
"Non trovare scuse da buzzurro e da arretrato quale sei, mi devi dare l'altro terzo della vacca perchè i figli dei ricchi vogliono essere pagati l'università in America", disse il guardiano delle tasse, un certo Spelacentesimo.
"Ma i miei figli non hanno preso nemmeno la licenza elementare, che c'entro io?", disse il contadino.
"Non trovare scuse della malora, dacci la vacca e non ne parliamo più", dissero allora i tre volponi e si presero la corda che la vacca teneva legata al collo per portarsela via.
"Ehi!", disse allora Talione il contadino, un pò rassegnato.
"Che c'è?", chiesero quelli.
"Avanzano le corna, chi se le prende?", chiese il contadino.
"A te certo non ti servono", dissero i tre, alquanto stizziti.
"E certo che vi servono a voi che davvero tutti e tre siete dei gran cornuti", disse allora Taliano.
"Che vuoi dire, cafone?", dissero quelli e stavano per inalberarsi.
"Niente, che siete certo più decorati voi uomini del governo che non un povero contadino che non conta niente", disse Talione.
Quelli presero la vacca, la povera Nerina, e se la portarono via senza dire più niente, per divorasela loro da perfetti volponi quali erano e non certo per fare tutte le dannate cose che avevano detto.
Il povero contadino se ne rimase come un truzzo sulla strada che non sapeva più chi portare a pascolare sui campi, se la sua rabbia o la sua maledizione.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO
Contadini e squattrinati,
racconti
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martedì 14 giugno 2011

UN BICCHIERE DI VINO racconto contadino di gd angelillo

C'era una volta ad Acquaviva un vecchio contadino di nome Coppone. Aveva faticato tutta la vita nei campi e aveva dato alla fine tutto alle figlie. E in conclusione viveva da una di loro, la più arcigna e rausa. A ogni pasto il vecchio Coppone chiedeva :
"Figlia, un bicchiere di vino".
"Non ce n'è", diceva arrabbiata la figlia. "Figurati se consumo un bicchiere di vino per un vecchio zarro come te".
E Coppone sconsolato commentava:
"Ho faticato tutta la vita nei campi tra le vigne a fare vino e ora che son vecchio non son ritenuto degno nemmeno di un bicchiere di vino".
Nel pomeriggio il vecchio usciva e andava alla cantina e là chiedeva:
"Oste, un bicchiere di vino".
E l'oste, il vecchio Bellino, gli diceva:
"Coppone, un bicchiere di vino soltanto? Due, tre, tutti i bicchieri di vino che vuoi. Quando eri giovane mi hai portato tanto di quel vino che ora ti meriti tutti i bicchieri che vuoi".
E il vecchio Coppone beveva contento e poi diceva:
"Nella vita, se hai fatto del bene, ti vogliono più rispetto gli estranei che i parenti".
"Perchè dici questo?"
"Mia figlia, quella disgraziata, non mi ritiene degno nemmeno di un bicchiere di vino, dopo tutto il bene che le ho fatto. Per me con lei è come se avessi arato per tutta la vita in mezzo al mare".
"Figlie? E' meglio avere fiche sull'albero che figlie in casa per un contadino", gli disse Bellino.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO
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venerdì 10 giugno 2011

IL SOGNO DELL'AMORE di gd angelillo

l'amore che ama forse non ne sa nulla
che quel piccolo cane che si azzarda a scappare
è figlio dell'anima che se ne vuole restare sempre sola
perchè le piace tradire
e accontentarsi di un ipocrita giornale
dove dicono che lo spettacolo è regale
e invece non è altro che il misero modo di vivere
dei pazzi
che come ragni vogliono prede
e dell'amore non sanno proprio che farsene.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO
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lunedì 6 giugno 2011

CHARLOT di gd angelillo

Quando ero a Londra andavo sempre a sedermi nei momenti liberi sotto la statua di Charlie Chaplin in Leicester Square. Era una piazza piccolina e anche la statua era minuta così come credo fosse stato lui anche in vita. Andavo là e sedevo sotto di lui. Questo semplice gesto mi faceva sentire meno solo, in una città così maestosamente sterminata come Londra. C'erano lì in quella piazza quasi sempre degli irlandesi, i polacchi, e solo raramente qualche italiano. Venivano lì quasi tutti per lo stesso mio motivo, per sentirsi meno soli a Londra in compagnia di Charlot, l'omino delle comiche.
Questo mi fece pensare qualche volta che Charlot non fosse stato solo un comico nella sua prolifica vita, ma che tra le altre cose fosse stato anche un pò filosofo. La sua capacità di far ridere anche con la sua infinita malinconia io l'ho trovata sempre fonte di una sua grande intima sapienza delle cose, sapienza che si manifestava semplicemente con la sua mimica inarrivabile, senza bisogno di nessuna parola, per questo io lo consideravo un pensatore superiore, cosa che tra l'altro non ho confessato mai a nessuno, per tema di essere preso, oltre quel che già mi considerano, per un pazzo in vena di castronerie come tante altre, così ho sempre taciuto su questo sottile e complicato argomento.
Lì una volta me ne stavo con una mia borsona piena di libri, libri usati e di poco conto che avevo acquistato con poche sterline nelle miriadi di librerie piccole e grandi della vicina Charing Cross Road.
Gli uccelletti svolazzavano intorno alle briciole del mio panino ungherese comprato da un chiosco vicino e io me ne stavo lì tranquillo a pensare dove mai avrei potuto nascondere quella borsa per me così preziosa nella casa occupata di Observatory Gardens dove abitavo in compagnia di spacciatori slavi, ubriaconi rumeni e impiegate australiane, di giorno così compite e di notte così sballone. Poco male, l'avrei seppellita sotto i mucchi di immondizia che si accumulavano a pian terreno, in un salone enorme, con un tanfo terribile. Lì non andava a ravanare nessuno per rubare al prossimo le sue povere cose. La spazzatura si accumulava in quel posto, perchè tutti si era così pigri e fuori di testa di ritenere fin troppo pesante andare fino ai cassoni comunali in fondo alla strada per buttare i propri lerci rifiuti, e poichè tutti facevano così ognuno era autorizzato a comportarsi allo stesso modo, cioè peggio che un porco. Ma si era a Londra, nessuno era inglese (in quella casa occupata) e ognuno faceva quel che gli pareva, senza mai dover render conto a nessuno. Così mentre ero immerso nei miei più o meno foschi pensieri ecco che sento dire in un inglese rabberciato e stralunato, più o meno come era il mio:
"Sto per tornare in Polonia".
Mi giro e ce l'aveva proprio con me. Un polacco male in arnese, vestito alla meglio, le occhiaie infossate, il fiato puzzolente degli alcolizzati cronici.
"Beh, prima o poi ce ne dobbiamo tornare tutti a casuccia, mamma Inghilterra non è che sprizzi tanta gioia a vederci tutti qui", gli avevo risposto allora io.
"Già, d'altronde il vino fà schifo da dare al vomito, sembra piuttosto una coca-cola rancida e sciroppata", mi dice lui con una smorfia di chi sapeva quel che diceva perchè da molti anni nel ramo.
"Infatti, in Inghilterra puoi bere birra ma mai e poi mai vino", avevo confermato io.
"E tu dove te ne vai quando mamma Inghilterra si sarà stufata pure di te?"
"In Italia".
"Ah!"
"Che c'è? Non sai dov'è?"
La sua faccia già poco simpatica si era rabbuiata di brutto, e questo  non è che giovasse eccessivamente alla sua già precaria e traballante estetica.
"No, è per il fatto che lì siete pieni di fascisti".
"Una volta era così, ma è un bel pò che le cose sono notevolmente migliorate".
"Dici? Io non mi fido mica".
E vedo che mi squadra da cima a fondo, come se cercasse da qualche mio particolare, vestito o lineamento, una prova che io fossi o no un fascista. Avevo indosso un maglioncino nero e questo lo mise parecchio in allarme.
"Sei un fascista o un antifascista?", mi chiese allora con un profondo e turbato sospiro.
"Mussolini è già mezzo secolo che è morto", gli dissi io lapidario.
Questo non è che lo confortò più di tanto.
"E lo voglio ben credere, cazzo!", esclamò lui agitandosi tutto.
"Fascismo, antifascismo, non è che sia una situazione molto allegra anche questa", dissi io in maniera, ammetto, anche un pò enigmatica.
Era questa la vera faccenda per cui a me andava sempre poco di parlare con gli altri, devi sempre spiegare la rava e la fava, e se non prendi la questione da quando Adamo ed Eva si mangiarono la mela del peccato c'è ben poco da farsi capire, o anche solo sperarlo. Tanti discorsi sottintesi che è impossibile affrontare in una sola botta e ecco allora il rischio tutto vero di prendere lucciole per lanterne, fischi per fiaschi e poi fascisti per antifascisti, come in questo caso. Per me la questione l'aveva risolta una volta per tutte Curzio Malaparte una volta dicendo: "Mussolini è morto, e il fascismo è morto con lui, d'ora in avanti chi  vorrà fare il fascista o l'antifascista se ne starà per tutto il tempo abbracciato o a lottare con un cadavere", anche per me era così, ma vai a spiegare tutti i 300.000 studi e pensieri che hai fatto tu in tanti anni in una mezz'ora di discorso fatto per forza di cose alla buona.
"C'è davvero molto poco da stare allegri con una guerra mondiale persa da voi italiani ma praticamente vinta perchè ora ve state con gli inglesi, e invece vinta da noi polacchi e praticamente persa perchè siamo rimasti soli come dei cani, abbandonati anche dai nostri cari alleati inglesi", disse lui amaramente.
"In guerra come in pace ci vuole sempre una bella dose di fortuna", dissi io capendo molto bene il suo punto di vista.
"Una grande fortuna", rettificò lui con alquanta mestizia.
"Comunque se il fascismo ha perso, ciò significa che hanno vinto anche gli italiani", dissi io
Il polacco strabuzzò gli occhi:
"COSA CAZZO DICI?!", urlò nel suo inglese pietoso.
Io sospirai, e rinunciai a chiarire il mio modo di vedere. Discorsi troppo lunghi, treni e treni di parole da mettere in fila con logica e decoro, ma chi è quel matto che si mette in testa di farsi capire per filo e per segno dal suo prossimo? Io ci avevo rinunciato da tempo ormai, molto tempo prima di incontrare il polacco che avevo seduto accanto a me. E così pensai che davvero Charlot era un grande pensatore se riusciva senza dire mai niente a farsi capire così bene da milioni e milioni di persone, facendole ridere a crepapelle per giunta.
Così raccattai la mia borsa piena di libri di poco conto e mi alzai.
"Vieni che ti offro un bicchiere di buon vino italiano a quella pizzeria all'angolo", gli dissi e indicai con lo sguardo un locale dove servivano davvero tutte cose che arrivavano direttamente dall'Italia.
"Quando perderete la prossima guerra mondiale, ma questa volta per davvero", disse con una punta di disprezzo il polacco.
"Rifiutare un dono di Dioniso non ti porterà bene", gli dissi allora io.
Ma quello non capì niente, e vallo a spiegare chi è e cosa fa Dioniso e perchè non si può offenderlo (il Dio non me naturalmente) e via discorrendo, a un alcolizzato poi, certo che se rinunciava a un buon bicchiere di vino aveva non pochi motivi di astio nei confronti degli italiani, vattelappesca quali, forse molto semplicemente li avevamo battuti da poco a pallone, ma io certo non me lo ricordavo, lui evidentemente molto bene ancora.
E così mi avviai a piedi verso Observatory Gardens con i miei pensieri come al solito più o meno foschi, e il bello era che a casa mi aspettavano una folla di spacciatori serbi, malviventi greci, ballerine neozelandesi sballate sia di giorno che di notte. E poi quel gran salone a piano terra pieno di spazzatura puzzolente e di un mare di giornalacci pornografici inglesi pieni zeppi di annunci erotici tutti rigorosamente sadomaso.
Grande nobilissimo Charlot, che non parlava mai ma che riusciva lo stesso a farci tutti così allegri con il suo sguardo così profondamente sapiente e umano.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO,
PAINTING LONDON WITH YELLOW COLOURS
romanzo
(capitolo 7)
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GLI AMANTI di gd angelillo

gli amanti,
due persone note anche alle gazzette dei folli,
pericolose anche a guardarsi,
due menti affette da una strana malattia
con pochissimi rimedi, anzi nessuno,
due cuori strampalati
che invece di correre a produrre salami
stan lì a strusciarsi senza far niente,
due bocche che invece di parlare del sodo
cioè di soldi di affarucci e faccenduole meritevoli varie
stan lì cucite l'una sull'altra
a succhiarsi vicendevoli mieli,
due amanti
due granellini di polvere pazza
che potrebbero perfino bloccare
il motore del mondo
e rifarlo da capo a piedi più bello e migliore
se solo se ne rendessero conto,
e mandassero tutto il resto degli stupidi vacui saltimbanchi
al loro legittimo paese del nulla,
che non ne vuole sapere neanche per scherzo dell'amore
con la ridicola scusa che non rende in borsa,
se per sfortuna è solo vero amore.
GD ANGELILLO
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