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lunedì 25 novembre 2013

LA STUFA DI NATALE



E' accesa a tutta forza la stufa.
Devo ringraziare il comune di Milano
e la mia casa costruita dai buoni uomini
che non ne esistono più così tanti.
Il chiasso ora è della mala gente
che spaccia ghiaccio
a ogni sorgente
e degli sprechi che il ricco
bastona sulla fronte del povero.
Comunque arriva la festa,
già venduta e comprata mille volte
dagli immortali falliti di turno.
Ma la città è ancora innocente,
e Gesù, seppure al buio,
dona a piene mani calore e amore
a tutti i cuori accesi di bene del mondo.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

I GATTI

    
    Sette vite e tutte da passare senza fare assolutamente niente. Troppo pigri per preoccuparsi di qualsiasi cosa. Si svegliano di botto solo se un uccelletto si avvicina troppo, ma se la luce del sole è abbagliante loro non si discostano dal fresco e così manco lo guardano.
    Un topo, o un gomitolo, o una scarpa, tutto va bene se vien loro voglia di giocare. Corrono in tondo e finiscono per mordersi la loro stessa coda, inizio incerto di un ignoto nemico mai incontrato.
    Servi di nessuno, padroni di niente. Pelliccia di seta, leccornie sopraffini. I gatti sono i veri maestri del dolce far niente. Hanno visto mille volte lo stesso mondo, ormai davvero non c'è più nulla che possa loro interessare.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

da "GATTI PAZZI", Acquaviva, 2013



IL GATTO NERO









       Un gatto nero ha dentro di sè tutta l'energia elettrica di una centrale a carbone nero come lui. E' una specie di diamante se va nel sole, brilla di mistero anche se sapete benissimo chi è. Ma se ci pensate con precisione, lui in verità non vi ha mai detto niente. E' come un essere enigmatico dei primi tempi universali, quando voi non c'eravate mica, e non immaginavate neanche molto lontanamente la vostra presenza su questo mondo. Di notte di un gatto nero non vedete che gli occhi, due schegge di sole ad autocombustione che vi accecano pure se li guardate fissi. Ma è un attimo, lui è già scappato via, più precisamente sparito. Va a caccia di uccelletti e di topolini, ma più per gioco che per necessità. Un gatto nero si ciba di pezzi di tenebra, della luce non ha bisogno perchè misteriosamente se la porta tutta dentro.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

da "GATTI PAZZI", Acquaviva, 2013 

LA RAGIONE DEL GATTO E LA RAGIONE DEL TOPO






       Capitò una volta che un gattone grosso e pesante catturò un topolino misero e meschino, si sarebbe tentati di dire quasi insignificante.
    Mosso a terrore di perdere la vita così malamente pericolante, con queste parole si rivolse il topolino al gattone, vecchio e tenebroso, perchè pure del tutto nero:
    "O gatto, fammi vivere. Non vedi quanto sono piccolo e leggero? Non soddisferai certo la tua fame, tu che sei così grosso e forte, con una inconsistente carcassa quale la mia miseranda. Se mi farai andare non ci perderai certo molto. E devo pure confessarti che sono pure molto povero e malaticcio, di salute assai cagionevole e parecchi debiti in saccoccia. Fammi andare, a ben considerare, la mia natura e la tua, si può pure dire che non ci perderai nulla. Sono un semplice stecchetto, mal indigesto e anche un pò maleodorante e sporco". 
    Il gattone, che lo aveva artigliato ben a dovere con la sua possente zampona, così gli disse allora:
    "O topo, penso proprio che tu abbia un gran concetto di noi gatti che non corrisponde affatto a verità. Devo convenire che hai parlato bene, con rigore di logica e di corollario. Devo convenire che tutto sommato hai pure ragione. Non soddisferai per nulla la fame di un grosso bestione come me, 
puzzi, e certo posso pure prendere una brutta malattia se sei infetto di qualche dannazione, se ti divoro. E certo forse tutto è contro i miei stessi interessi pure se ti mangiassi. E quindi il tuo ragionamento non fa proprio una grinza, e perfino il buon senso e la giustizia è dalla tua parte. Ma vero è pure che non ho mai sentito in vita mia che un gatto lasciasse andare via un topo, anche se tutti gli argomenti di questo mondo e l'altro gli stessero contro. E così ti dico che sono un gatto e, ahite, ragiono come un gatto e non come un topo, anche se avesse dalla sua parte tutta la ragione dell'universo".
    E così detto addentò sulla testa il povero topolino e se lo divorò in un baleno.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

da "GATTI PAZZI", Acquaviva, 2013 

IL GATTO DEL CONVENTO



    
   
     
    In un convento di monaci pazzi vivevano una volta un gatto e un topo. Erano entrambi creature molto abili e astute. Con una certa qual sapienza che la natura aveva donato loro per volere di dei sconosciuti ma nondimeno molto potenti, il dio dei topi e il dio dei gatti.
    Il gatto era davvero molto grosso e forzuto, e non aveva praticamente paura di nulla. Di giorno si cercava uno spazio tranquillo al sole e si acciambellava sicuro al caldo e al tepore del giorno. Il gatto sembrava davvero benedetto da uno spirito superiore, e la sua sapienza era davvero fuori questione anche solo a dargli una semplice occhiata. Era capace, quando era sveglio e bello vispo, di acchiapparsi di tutto per sfamarsi secondo i suoi più segreti desideri. Uccelletti e animaletti di campagna là intorno non ne mancavano di certo.
    Il topo invece era molto magro e parecchio gracile. E si spaventava anche al minimo frusciare di un qualsiasi venticello. Di giorno non si faceva mai vedere a percorrere i meandri oscuri dei sotterranei infiniti del convento. Ma anche lui era benedetto da uno spirito che la sapeva lunga, e la sua abilità la mostrava a scansare perennemente il gattone, che doveva essere bene un orribile mostro ai suoi occhi. Di notte se ne andava sempre a ravanare negli stretti corridoi del convento alla ricerca di qualche misera briciola caduta dalle tovaglie dei deschi frugali già di loro dei frati, ma volendo anche questo il potente dio dei topi, si sfamava alla meglio anche lui. Trucioli e pezzettini di cianfrusaglie erano ben capaci di diventare un suo lauto pranzo ai suoi stretti e molto angusti bisogni di topo.
    Il Dio degli uomini se ne infischiava a quanto pareva sia del gatto che del topo, ma comunque così come andavano le cose, sia al gatto che al topo, questo non faceva nè caldo nè freddo. Al contrario forse di come andavano le cose a tanti altri animali del creato...
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

da "GATTI PAZZI", Acquaviva, 2013

I GATTI DELLA CAMPAGNA DI PRIMOCIELO A ACQUAVIVA



    Sulle colline piene di pecore e di capre, lì, dalle parti di Primocielo, nelle campagne di Acquaviva, c'era sempre un sole forte. Da lì, all'orizzonte  si vedeva sempre il mare blu di Bari, di Monopoli. Era lì nell'antichità un avamposto della potente città greca di Taranto, un avamposto per guardarsi da un attacco alle spalle di città nemiche, che a quei tempi non mancavano certo, come pure ai giorni nostri.
    Lì c'erano i topi di campagna a frotte pure. E i contadini non facevano mancare allora i gatti, gattoni grossi di campagna che facevano paura solo a vederli, perchè sempre cresciuti mezzi selvaggi. Ai topi bastava stare alla larga dalle masserie e i gatti allora si facevano i fatti loro. Era più facile e divertente cacciare gli uccelletti del bosco per loro. Il mondo della campagna è troppo antico per essere compreso approfonditamente dagli uomini. Lì l'orizzonte era davvero troppo vasto sia per i topi che per i gatti per farsi la guerra all'ultimo sangue. Boschi, campi, fattorie, trulli a non finire. Troppo gigantesco lo stupore della vita per combattersi a ogni momento.  Più facilmente i topi e i gatti si ignoravano bellamente.
    Son cose che gli uomini non capiranno mai.
    Se si poteva vivere in pace, stando semplicemente lontani gli uni dagli altri, perchè farsi prendere dall'odio puzzolente che non porta mai niente di buono?
    Su quelle colline c'era sicuramente il grande occhio di Dio, che vegliava sui topi e sui gatti, e pure sui contadini. E quando erano un pò cresciuti anche sugli uccelletti che non cadevano più dai nidi nel bosco.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

da "GATTI PAZZI", Acquaviva, 2013
    

LA DONNA DEI GATTI




    C'era una donna in via Cassoni che vicino all'asilo si metteva sempre a cantare ai gatti, che a sentirla accorrevano tutti. Lei portava pezzi di pane, maccheroni scotti, avanzi di cucina di un ristorante spagnolo là vicino. Portava sempre anche un pò di latte per i micini. Lì nel cortile dell'asilo ce n'erano una caterva di gatti randagi, che non si facevano vedere mai da nessuno, tranne che da lei, la donna dei gatti. Le si strofinavano subito addosso sui vestiti, appena arrivava, prima di toccare cibo volevano prima di tutto dimostrare il loro affetto, poi a valanga si buttavano sui poveri mangiarini. Lei li lasciava fare, e quando aveva finito di distribuire le vettovaglie, li accarezzava a sua volta. Era una donna anziana, con molte rughe, certe volte portava un fazzoletto in testa alla maniera delle contadine di montagna, da dove probabilmente arrivava. Aveva un alloggio popolare piccolino dalle parti di via Barrili, son sicuro che se avesse avuto una casa più grande si sarebbe portato tutti i gatti a casa sua. I gatti dopo aver soddisfatto la loro fame, rimanevano ancora a lungo accanto a lei, a strusciarsile addosso miagolando sommessamente.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

da "GATTI PAZZI", Acquaviva, 2013