Dopo l'esperienza della deportazione e della prigionia in Siberia, dove ovviamente era stato a contatto con la crema della delinquenza russa, ma allo stesso tempo, paradossalmente, dati i tempi, con personaggi straordinari e incredibili, pure di altissimo livello intellettuale e morale (qui infatti incontrò il tenente Karmazinov, la cui storia gli darà l'idea fondante addirittura del romanzo "I FRATELLI KARAMAZOV", altro che tentativo di parricidio come erroneamente sostiene Freud), Dostoevskij a chi in quel periodo storico di sommovimenti spirituali e sociali lo incitava a andare verso il popolo, lui non senza fierezza e alquanto orgoglio rispondeva: "Io non ho bisogno di andare verso il popolo, perchè io stesso sono il popolo".
E questo non solo perchè lui era attento a tutte le questioni che riguardavano il popolo, ma perchè egli viveva a stretto contatto di gomito con il popolo e ne soffriva la stessa condizione esistenziale e sociale. Non scordiamoci che Dostoevskij non era un nobile nè tantomeno un ricco borghese, come la quasi totalità dei suoi colleghi scrittori russi a lui contemporanei. Era un uomo povero che viveva esclusivamente del suo lavoro di scrittore, e nei momenti critici dell'aiuto di suoi amici di alto rango suoi ammiratori e di certi suoi zii moscoviti. Dostoevskij solo negli ultimi anni della sua vita visse con una certa tranquillità economica grazie a sua moglie Anna, che prese in mano la vendita stessa dei romanzi di Fedor. I suoi vari editori lo sfruttarono sempre fino a ridurlo in uno stato di necessità cronico.
Ecco, una volta Dostoevskij lesse in un articolo di cronaca di Pietroburgo sulla violenza sessuale a una ragazzina minorenne da parte di un bruto, consumata nientemeno che in un cesso pubblico. La ragazzina non aveva retto alla vergogna e all'abuso criminale e si era impiccata il giorno dopo. La lettura di quest'articolo letteralmente sconvolse Dostoevskij. Non dormì per parecchi giorni e divenne quasi una sua ossessione. Non riusciva a capacitarsi di come un uomo possa arrivare a certi orrori, a raggiungere e superare i fondi abissali di certe situazioni già di per se stesse infernali, e di come si possa anche solo pensare di far del male a una ragazzina così piccola. Divenne un sua fissa tanto vero che si recò addirittura a visitare questo cesso pubblico, semplicemente per osservare il luogo dove si era perpetrata una così orrenda e funesta violenza.
Dostoevskij si portò dentro il ricordo di questa notizia letta sul giornale per anni e anni. All'epoca della stesura del romanzo "I DEMONI", nel racconto e nella descrizione di quel personaggio di nichilismo estremo che era Stavroghin, gli tornò in mente quella storia allucinante, se la ricordò e la scrisse.
Ora ci sono persone, per non dire scrittori, che in tutta la loro vita non riescono a uscire nemmeno di mezzo passo dal perimetro perfetto del loro IO grassone e ipertrofico, e allora usano la loro ridicola misura anche per tutti gli altri, ivi compresi i genii riconosciuti dell'umanità, e credono, sbagliando oserei dire in maniera vergognosa, per non dire di peggio, che tutto il mondo sia alla loro portata, e che se loro non riescono minimamente a uscire, manco per errore, dal loro ridicolo cortile di casa e quindi dalla loro insulsa quanto meschina AUTOBIOGRAFIA CONTINUA E ASFITTICA, credono, dicevo, che tutti siano come loro. Ma per fortuna o per sfortuna non so, il mondo è molto grande e molto vario, e tutti siamo diversi l'uno dall'altro. E allora quello che io credo è semplicemente e solo ciò che credo io, non la VERITA' ASSOLUTA. Antiche questioni sempre irrisolte nel campo della conoscenza umana.
Allora che successe? Che gli scribi e i farisei vari gridarono allo scandalo e insinuarono neanche in maniera tanto larvata che era stato Dostoevskij stesso che aveva compiuto quella infame violenza, tanto vero che l'aveva addirittura scritta nero su bianco in un suo allucinato romanzo. E primi fra tutti i suoi falsi amici traditori, e naturalmente, per non farsi mancare niente, i suoi giurati nemici. (Ancora ai nostri tempi ogni tanto c'è qualcuno che tira fuori questa assurda storiaccia per diffamare Dostoevskij, non potendo fare altro).
Un'altra volta Dostoevskij lesse sul giornale in un articolo di cronaca che una giovane donna si era suicidata lanciandosi da una finestra con un'icona della Madonna stretta al petto. Anche questa volta Dostoevskij fu colpito profondamente dal fatto.
"Ma come? Una donna pensa a uccidersi ma pure allo stesso tempo si stringe al petto l'icona della Madonna? Ma che significa questo? Che voleva salvarsi, pensava a una possibile salvezza. Eppure si è uccisa."
La storia se la portò dietro per molto tempo, poi la tirò fuori dai suoi ricordi e scrisse "LA MITE". Ebbene se voi leggete i resoconti critici di quell'opera vi raccontano che lì Dostoevskij narra della morte della sua prima moglie Maria Issaeva.
Idem con patate su quanto detto prima.
Maria Issaeva tutto era tranne che una mite, anzi tutto il contrario, e la sua storia con Dostoevskij era stato un abuso unico e l'aguzzino non era certo Fedor...
Molte volte a Dostoevskij gli correggevano i testi in tipografia, tipo sgrammaticature, errori di sintassi, lui così rispose una volta a un grafico: "Caro redattore, tu credi che i miei personaggi parlino il mio linguaggio, ma ti sbagli grandemente. I miei personaggi parlano il "loro" linguaggio, e se un personaggio parla sgrammaticato e con certi vezzi linguistici, io scrivo proprio come parla lui, io di certi personaggi ti posso dare anche l'indirizzo e il numero di casa, così potrai verificare da te stesso se quelle sgrammaticature e quei giochi di parole sono reali e non invece inventati da me".
Dostoevskij si è sempre autodefinito uno scrittore "al massimo del realismo possibile", un realismo vero e umano, non cialtronescamente ideologico.
Dostoevskij sosteneva anche che tutto ciò di cui scriveva non era assolutamente autobiografico, ma che l'autobiografico gli serviva nella misura di non oltre il 5% ed esclusivamente per cucire insieme il romanzo.
Caratteri di tecnica di scrittura di un Maestro che in un periodo di assoluto autobiografismo becero come il nostro passano del tutto inosservati e quasi incomprensibili ai più.
D'Ambrosio Angelillo
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