regala Libri Acquaviva

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venerdì 29 maggio 2009

giovedì 28 maggio 2009

CRISTO di Alda Merini

Quando ero ragazza amavo un dio bellissimo,
con l'anima furiosa
e il volto benedetto e santo.
Ero bellissima anch'io ad aspettarlo.
Ora con una sciarpa nera in testa
lo cerco ancora in qualche chiesa di periferia.

ALDA MERINI

mercoledì 27 maggio 2009

I POETI di Alda Merini

I poeti amano la loro interiore staticità e l'intima brevità del tempo e sono la solitudine eterna. Loro guardano sempre altrove dove tu mi senti e mi vedi. Nessun sentire è delle loro parole fino all'innamoramento della venuta e dell'urto che li conosce. Loro amano il sapere e le scoperte del loro sorgere.
I poeti hanno sempre cercato discepoli in tutto il loro mondo interiore che non ha mai discepoli. Hanno trovato il canto invece e come nume la menzogna degli altri. E la menzogna è entrata e entra nelle loro case come pura sconfitta e scrupoloso bene.
Ogni poeta è sconfitto, ogni poeta è bugiardo rispetto agli altri perchè mangia la mela aspra della menzogna. E la sua menzogna è il canto di un'ultima verità.

ALDA MERINI

LA FERROVIA racconto contadino di Giuseppe D'Ambrosio Angelillo

Nel 1878 entrò finalmente in funzione la linea ferroviaria
Bari-Taranto.
Si racconta che all'inaugurazione l'allora sindaco di Sannicandro incontrato il Capo della Ferrovia gli dicesse:
"Ma che minchia! Ma perchè diavolo l'avete costruita così lontana dal paese la stazione?"
Infatti la stazione di Sannicandro sarà lontana dal paese un 4-5
chilometri ancora oggi.
Il Capo della Ferrovia non si scompose e rispose:
"Beh! Per dir la verità ho pensato che tra la ferrovia e il paese
fosse molto meglio costruirla vicino alla ferrovia la stazione".
A tal proposito si racconta pure che lo stesso Capo della Ferrovia, il suo nome purtroppo non si ricorda, andasse prima della costruzione della linea dal sindaco di Cassano delle Murge
per chiedere se volevano che la ferrovia passasse anche di lì.
L'allora sindaco di Cassano indisse una assemblea popolare
in piazza per chiedere il consenso della popolazione.
E dal palco chiese:
"O popolo di Cassano, volete voi che la strada ferrata passi pure
da Cassano?"
Il popolo di Cassano rispose a una voce:
"La strada ferrata? Per carità, MAI e poi MAI!"
"Perchè?"
"I nostri muli a camminarci sopra ci scivolerebbero sempre,
spaccandosi le zampe in continuazione".
Cassano disse allora no e la ferrovia così la fecero passare da Acquaviva.

Giuseppe D'Ambrosio Angelillo

martedì 26 maggio 2009

QUANDO UN UOMO poesia di Alda Merini

Quando un uomo
non ti vuol più
quando chiami a gran voce la morte
perchè ti divori
quando si accoppia con un altro animale
che è sovranamente distinto
che non vede la tua riva fiorita
e non sa che tu vivi per lui.
Quando un uomo che vuole dimenticare
prende in prestito un'altra donna
per rimuovere il suo passato
allora il poeta muore
e non bastano le foglie d'alloro
che gli amici ti gettano ai piedi.

ALDA MERINI

sabato 23 maggio 2009

NARCISO poesia di Alda Merini

Gioca tranquillamente con l'acqua,
o Narciso che hai mille fonti
tra i tuoi capelli,
gioca e non cantare
le lacrime che sparge
una Aretusa ormai vecchia
e vecchia e folle e stanca
di imbandire cene
per un'accolita di Proci
che lasciano solo briciole per terra.

ALDA MERINI

venerdì 22 maggio 2009

SANGUINA, SANGUINA LA MIA VOCE poesia di Alda Merini

Sanguina, sanguina la mia voce
che gli altri credono immortale
e dicono che io fumo 2000 sigarette al giorno,
in realtà il pianto mi ha convertito la gola
in una fossa piena di leoni
e non vedono le continue lotte
dentro il mio corpo solo.

ALDA MERINI

giovedì 21 maggio 2009

L'ANALISTA poesia di Alda Merini

Dammi in mano la tua anima
che io non amerò mai
e io ne farò la putredine della mia intelligenza.
Non posso amarti e non voglio
ma ho bisogno,
ho maledettamente bisogno
di orpelli per il mio genio.
La tua figura mi piace
e mi dà leggermente sui nervi.
Sei prigionera di una strana salute
che io chiamo follia.
E se non la chiamassi follia
crollerebbe il mio impero.
Noi siamo religiosi,
da anni abbiamo un credo
che non è di nessuno.
Avevamo notato tutti
che la follia è una strana nebbia di dolore
ma che non è dolore vero.
E` un dolore acquisito:
è il morbo dell'abbandono.
Io non ti prometto niente
perchè se no sfrutterei il mio credo,
e ti do ragione.
Questo è il mio punto di attacco:
il cliente ha sempre ragione,
come dice il barista.
E dal momento che ti do ragione,
tu sei mia.
Ti colorerò in tutti i modi a mio piacere
anche perchè sempre
nel momento stesso
che tu sei sull'orlo della verità
io ti congedo
perchè scatta l'orario della visita.
Tu sei sempre sul punto di capire qualcosa
ma non lo capirai mai
perchè non l'ho capito nemmeno io.
E a questo punto ti lascio, cara.
Ci vediamo giovedì venturo,
dopo la Pasqua,
tempo permettendo.

ALDA MERINI

martedì 19 maggio 2009

CI SONO DRAGHI CON LA PELLE D'ANGELO poesia di Alda Merini

Ci sono draghi con la pelle d'angelo
che tu sogni di notte
e non distingui il colore delle parole.
Ci sono venti che ti entrano
dalla bocca
e non ti fanno cantare.
Ci sono concerti funebri
che vengono da lontano
e che raccontano di gente
che ha taciuto per sempre.
Questi cortei di morti
che arrivano fin sulla porta di casa
per bussare in silenzio
e venirmi a guardare
ancora una volta.
Ma dicono le cose di sempre:
che l'uomo vive
nell'inferno di questa terra
e la legge umana
non lo può proteggere.
Anche la Morte
ha il sale della tortura
sulla sua bocca.
Ah, se tu potessi almeno sapere
come si trasforma la morte
in un piatto freddo
per non buttare un altro giorno
nel lordume della spazzatura.
Ah, se tu potessi almeno sapere
che puoi fare indigestione di orrori
a guardare sempre
lo stesso angelo nero
di notte, di giorno
sotto forma di ricordi
che ti conducono
alla medesima dannazione.
Non puoi parlare
se la donna ti ha abbandonato
alla sedia bruciata
della tua solitudine,
se al tuo fianco c'è solo il ladrone
che muore con te sulla croce.
Non puoi parlare
se il grido ti occlude la gola
e ti ferma il cuore.
Mentre la rapina è una cosa diversa
che ti mangia la carne
e se ne ciba.
Ci sono rondini
che non sono più in questa casa.
Da che tu sei partita, figlia mia,
c'è una sola rondine sui rami
e non ti sei accorta che alcuni rami
di questa casa
erano fili spinati
messi lì per non farti più tornare
e così sei caduta a trascinarti via
e stai morendo.
E stai bruciando
vicino a un pane di pietra
mentre correvi da me nuda
e metti il tuo cibo
sulla bocca di un bacio mai dato,
mentre ancora l'amore ti meraviglia
per tutta la sua nera follia.


ALDA MERINI

lunedì 18 maggio 2009

IL CARPENTIERE poesia di Alda Merini

Il tuo volto era piena di lacrime
quando venivi qui
a rivoltare le pietre.
Nessuno ti salutava.
Per i Cognei, i padroni di casa,
eri un qualunque operaio.
Poi un giorno t'ho chiamato
e ho pianto d'amore per te.
Eri un uomo bellissimo,
che non credeva in me.
Poi ci siamo amati
e nessuno ha creduto.
E' entrato il Casiraghi
a dire che gli piacevi,
t'ha portato via.
Io domando,
al mio carpentiere,
che poi era laureato,
come mai gli uomini
si lasciano portare via,
come pecore,
anche se sono robusti?
Quando ti vidi
mi sembravi un angelo
e consegnai il Magnificat
tra le mie e le tue mani.
Come annunciazione improvvisa
di una grande catasrofe
di questa casa.
Ma tu non mi dicesti mai,
esperto carpentiere,
chi fu Ponzio Pilato
che si lavò le mani.

ALDA MERINI

IL COGNATO racconto contadino di Giuseppe D'Ambrosio Angelillo

Una volta Sabino il mendicante si fece ricevere da don Vito, il parroco di Sant'Agostino facendosi annunciare come il cognato di Cristo.
Quando don Vito se lo vide davanti trasecolò, gli crollarono le braccia e disse:
- Ma dai, Sabino. Cos'è? Ti metti persino a bestemmiare adesso? Cos'è la faccenda del cognato di nostro Signore?
Sabino, con la faccia innocente gli rispose:
- Don Vito, che bestemmia? Mia sorella s'è fatta monaca dieci anni fa e è andata in sposa a Cristo. E allora io chi sono se non suo cognato?
Don Vito lo cacciò a calci, e quella volta Sabino se ne andò senza obolo.

GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

sabato 16 maggio 2009

IL POETA poesia di Alda Merini

(ad Angelo Capovilla)

Non chiuderò, Angelo,
il libro dei miei orrori
senza ricordare la tua faccia gelida
che muore in manicomio.
Avevi appena vent'anni
e volevi sposarmi
e tua madre t'aveva messo lì,
senza mai venirti a vedere.
Andavi a lavorare per me,
mi pagavi persino il telefono.
Tu invocavi tua madre,
che ti aveva disconosciuto.
Poi, un giorno,
allungasti la mano,
verso me e verso Manuel,
perchè ti regalassimo un pane
invece ti portarono in galera
per sempre.
Da bambino mi avevi conosciuto
e quando mi ritrovasti dopo
ti eri innamorato.
Ti derisero tutti
ma non possono chiudere
il mio libro
senza condannare tua madre
che ti ha diseredato
persino del tuo nome.
Un giorno ti dissi la verità,
ti feci scoprire il nome di tuo padre,
ti dissi chi era e come era morto
e finalmente trovasti il coraggio
di farla finita.

ALDA MERINI

DONNE DI CITTA' racconto contadino di Giuseppe D'Ambrosio Angelillo

Una volta Andrea Carretta finalmente fece un viaggio a Roma, e lì andò a trovare un suo parente bottegaio che si chiamava Zuccherino.
Zuccherino allora fece fare un giro nella capitale a Andrea Carretta, che mai aveva lasciato il suo paese di contadini, Acquaviva.
E lì, sul corso, bellissime donne, tutte profumate e elegantissime passeggiavano avanti e indietro.
E curiosamente a ogni bella donna che incontrava Andrea Carretta si dava uno schiaffo bello forte sulla sua stessa guancia, ora a destra ora a sinistra, ora a sinistra ora a destra.
- Andrea, ma che minchia fai? - gli disse il parente, - perchè ti sciaffeggi?
- Ma con tutte queste belle donne che esistono al mondo io proprio la più strega e la più brutta del mio paese mi dovevo prendere in moglie?
Infatti sua moglie si chiamava per il suo terribile aspetto, Sabbetta la Morte.

GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

venerdì 15 maggio 2009

MI DICESSE QUALCOSA LA POESIA poesia di Alda Merini

Mi dicesse qualcosa la poesia
ora che mi dà
questo vomito tremendo
che da signora
è diventata baldracca.
Tutti l'hanno pigiata sotto i piedi
e tutti rappresentano un dolore
di una donna
già morta nell'infamia.
Potessi amarla la ma poesia.
Me l'ha toccata il nuovo editore
che l'altro è morto.
Lui ha cambiato pelle
come una biscia l'ho trovato fuori,
fuori dalla porta
e mi ha fatto cadere.
E adesso il grande dell'ipotenusa
ha rinnovato la veste:
è l'imperatore di tutte le sconfitte
che ho subito.

ALDA MERINI

IL CONSIGLIO racconto contadino di Giuseppe D'Ambrosio Angelillo

Una volta Sabino il mendicante andò a trovare il Barone sulla via di Bari. Si fece ricevere dicendo che era il gran consigliere del presidente della repubblica.
Il Barone naturalmente lo ricevette e quando si vide davanti a sè Sabino Domanipiove, detto così perchè prevedeva sempre pioggia per l'indomani ben sapendo che ciò faceva piacere ai contadini, così gli davano l'obolo più volentieri.
- Ma dannazione! Come t'è saltato in testa di sparare questa fanfaluca che tu sei nientemeno il gran consigliere del presidente della repubblica? Ti faccio cacciare a calci ora! Nemmeno il consigliere del tuo cane sei tu, per quanto sei pezzente.
- Calma. Calma, Barone. Fammi spiegare. - disse Sabino.
- E spiega! - fece Barone.
- Io i consigli li do agli altri e non a me stesso.
- E allora?
- Dammi una lira e te ne darò uno sopraffino.
A sorpresa il Barone tirò fuori una lira e gliela diede al mendicante.
- Tieni, maledetto. E non farti vedere mai più. Non posso soffrire mendicanti attorno a me.
Sabino, marpione, incassò l'obolo e disse:
- Barone, se davvero non vuoi vedere mendicanti attorno a te, e questo è il mio gran consiglio come se tu fossi davvero il presidente della repubblica, spartisci la pagnotta con il tuo fratello, e poi vedresti che nemmeno esisterebbero più i pezzenti, se tutti i ricconi pari tuoi facessero come te.

GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

giovedì 14 maggio 2009

L'INNAMORATO poesia di Alda Merini

Cosa ne fai del tuo tempo
invece di conquistare
la donna che ami?
Che getti ai piedi di 1000 fanciulli
come fossi uno sciocco mendicante?
E` la tua posa abituale questa
di amare chi non ti vuole.
Ma tu sei del nostro momento:
gli uomini che cercano l'impossibile.
Quando io ero in rianimazione
ero in pace con il mondo intero,
non ti avessi mai conosciuto:
invece di rianimarmi mi hai ucciso.
Io non so dove vai
io non so che fai
io non so che strade percorri.
Intanto piango
perchè tu non sei un buon amatore
ma uno che fa conquiste.

ALDA MERINI

LA VITA NEI CAMPI racconto contadino di Giuseppe D'Ambrosio Angelillo

Una volta Tatasigno e suo figlio Tracco se ne andavano in campagna a lavorare di buon mattino con il loro traino, mula e cavallo.
- Che bella la vita nei campi. - disse Tatasigno al figlio.
- Beh! Mica tanto, padre. Si fatica e si fatica e prendono tutto i mediatori e chissà chi altri là in quelle babilonie di città. - disse Fracco.
- No. No... - stava dicendo Tatasigno, quando a un tratto passò sulle loro teste una cornacchia e scaricò una schifezza proprio sul cuzzetto del vecchio.
- Hai visto, padre? Anche una cornacchia caca in testa al contadino e la fa franca. - disse il figlio, sorridendo.
- Sì, Sì... -disse Tatasigno. - Una cornacchia, ma non era mica un uomo di città.
- Già. - disse Fracco. - Gli uomini di città non hanno bisogno nemmeno di volare per cacare in testa al contadino.

GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

mercoledì 13 maggio 2009

PLUTO poesia di Alda Merini

Pluto,
cane fedele degli psichiatri,
come fai a trovare buono un gelato
che è pieno di veleno?
Come fai a leccare l'inferno
che ti brucia le dita?
Come fai a dire che l'ombra
è piena di luce?
Ma loro come amano la follia
così vogliono capire di te
ogni mattone del pavimento,
loro vogliono capire
come fai a illuminare la lampadina del tuo pensiero.
E così sei felice di non essere visto
e così sei contento
di essere perfetto come un angelo
che non è mai compreso.
Intanto mi hai rubato l'ultimo gelato,
mi hai rubato anche la cena,
perchè sei un insaziabile guaritore.
Mi hai baciato persino mia figlia
poi non hai ringraziato nessuno
perchè il sapere della tua intelligenza
è così potente
che gli altri non sanno
che dovevano ringraziare te.
Perchè il miracolo della follia
è di trovare dolce
ogni veleno.

ALDA MERINI

INGEGNERIA DELL'ESPERIENZA racconto contadino di Giuseppe D'Ambrosio Angelillo

Velino e Roccia misero su una ditta di benzina. Una cosa in grande: tre pompe e vendita a dettaglio di olio di macchina.
E così Mangialardo una volta incontrando Roccia, tutto contento, lo sguardo sicuro, il petto fiero, non si trattenne dal chiedergli:
- O Roccia, che hai fatto? Hai per caso firmato un contratto con Dio?
- L'hai detta giusta. Ci sei cascato in mezzo proprio con tutt'e due i piedi.
- E allora?
- Mi son messo in società con Velino, il gran proprietario di soldi.
- Lo so, lui è ricco sfondato, ma tu?
- Ecco... io capisco l'importanza della benzina per il futuro dei contadini e lui ha la pila delle monete d'oro. L'anno che viene i contadini avranno la benzina e io avrò la pila delle monete d'oro in comune con il gran proprietario di denaro Velino.

Giuseppe D'Ambrosio Angelillo

martedì 12 maggio 2009

PIGMEI poesia di Alda Merini

Ci deve essere un demone tranquillo
che visita le mie mani oggi
un pulviscolo d'oro
un sentimento
e intanto vanno su tutti
che il grande editore
ha scritto alla sua sposa.
Era una gentile libera signora,
era una secchia vista da lontano.
Han rapito la secchia o la secchiona
non si sa quale strano monumento.
Gli hanno messo all'ingresso
una pagoda
fatta di piccolissimi cinesi
che mi cuciono tracce sulle spalle.

ALDA MERINI

IL CIMMORUTO racconto contadino di Giuseppe D'Ambrosio Angelillo

C'era una volta a Acquaviva un vecchio contadino che le pesanti fatiche nei campi gli avevano fatto venire una grossa gobba sulle spalle e per questo poi gli dicevano il Cimmoruto, u Cimmrut, cioè: il Gobbo.
In tarda età la gobba s'ingrandì e s'incurvò ancor più, e ecco allora le cattiverie e le burle di tutti, specialmente dei ragazzini, aumentarono in gran vertigine.
Tutti dietro a dire:
"Che sgorbio di uomo".
"Che persona informe".
"Che vecchio disgraziato".
E così il Cimmoruto imparò a rispondere a chi gli andava a riferire i gran pettegolezzi e le gran malignità che gli appioppavano sul suo conto per il suo così appariscente difetto fisico.
"Quanto pare brutto quel vecchio".
"Ma che se ne va in giro a fare? Non s'accorge quanto fa impressione?"
Queste le solite voci quando lui passava per andare a prendersi l'ultimo sole nei giardini d' in mezzo al largo di Piazza Garibaldi.
Una volta un suo amico gli disse:
"Quante te ne dicono alle spalle, compare mio. Ma davvero tante e di cattivissime".
"E che vuoi che faccia, amico mio? Mi metto tutto sul ciummo e vado avanti", rispondeva sempre così ormai il Cimmoruto, senza nemmeno un velo di malinconia, perchè forse ben sapeva come erano fatti gli uomini e di come erano composti.

Giuseppe D'Ambrosio Angelillo, Contadini e squattrinati, racconti


n.b. ciummo significa gobba

www.dambrosioangelillo.it

domenica 10 maggio 2009

LA SCRITTURA di Alda Merini

La scrittura è un segno che nasce dall'interno delle nostre vite.
Per vita s'intende un luogo, uno sfogo,
un inceneritore ideale che bruci il superfluo delle parole.
La parola quindi diventa il vaticinio,
la sfera di cristallo ove l'anima va combusta,
dove s'infiammano le segrete malinconie che creano il vuoto
e sono la spia dell'ingegno.
Coloro che vivono in assemblaggio
pieni di lacrime degli altri,
dei sonni caotici della confessione,
non scrivono mai.
Scrivere vuol dire piacere di meditare sempre.
Il Poeta è un sacerdote del silenzio di un'anima
che di lontano e assolutamente solo
piange il segreto della sua eternità.

ALDA MERINI

venerdì 1 maggio 2009

CURTO MARTINO poesia di giuseppe d'ambrosio angelillo

a Vito Abrusci

Quando di domenica hai mangiato
e di pomeriggio non hai niente da fare,
prendi la macchina e fatti un giro a Curto Martino,
in compagnia di un vecchio amico o con i tuoi soli sogni,
il cielo è altissimo su quelle colline
e ti vien voglia di volare su un aereo di terra che non ha motori
e là comunque ci sono di guardia possenti trulli
forti come castelli secolari,
c'è pure un'entrata da quelle parti
che noi ragazzini una volta chiamavamo la Grotta del Lupo.
A strapiombo crollano tutti gli orizzonti
e ti inoltri nel segreto del sottosuolo
che confina con il cuore puro della vita dei campi arati: l'acqua.
L'acqua bella e cara di Acquaviva.
Acquaviva delle Fonti, l'acqua che se ficchi un dito nel terreno
sgorga fuori come un miracolo.
Capisco da quassù,
sul capo di roccia del vero ceppo dell'esistere,
perchè in molti al nord mi invidiano
il fatto di essere nato in questo paese.
Da lontano i litorali baresi lucidati come manici di padelle,
e i mandorli in fiore
come fanti di legno in parata
a profumare verso il mare ogni parola detta
non detta, soltanto pensata.
Come si fa a leggere a fondo questo paesaggio della nostra stessa anima?
Qui ogni fondamento e ogni vanità si fermano
e fanno punto.
Acqua, terra, cielo. Passato, presente, futuro.
E il fuoco lento della nostra immobilità
che ci brucia tutti fin nella nostra più minuscola malinconia.
Una specie di divenire naturale e metafisico allo stesso tempo.


Giuseppe D'Ambrosio Angelillo


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