regala Libri Acquaviva

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venerdì 27 aprile 2012

DEREK RAYMOND

Mi chiedi quanto tempo serve a un romanzo?
Un romanzo non ha mai tempo, pivello.
Qui nel mercato di Londra
di tutte le anime a macerare
c'è sempre la solita pioggia notturna
che straripa
dallo stagno
delle giacchette dei prodi al tramonto.
Accenditi la sigaretta
sul marciapiede del crudo narrare,
e cadi pure con i tuoi pensieri
come cade la pioggia
e la notte.
GD ANGELILLO
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mercoledì 25 aprile 2012

LA VOCE DELLA NATURA

La voce della natura
che non ha macchine
nè televisioni
per comandare il suo amore
a ogni creatura.
Sul parabrezza dell'auto del sindaco
ci vorrebbe una luna caduta
per finalmente mandare in frantumi
questa follia
che ci fa cadere
pur rimanendo sempre in piedi
legati da chissà quali fili.
Marionette senza nome
ma pur sulle circonvallazioni
sempre in fila.
gd angelillo

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RESISTENZA

La Poesia ti porta un caffè al liquore
la mattina
così tu possa partire partigiano
del tuo cuore
a ogni ora buona,
e andare all'attacco leggero,
e scalare come un folle
la montagna scontrosa
del tuo giorno inerme.
Amico,
se non ti salvi da solo
chi mai potrà portare
il fardello della colpa?
E' una catena dell'essere
come tante.
GD ANGELILLO
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domenica 22 aprile 2012

Giuseppe D'Ambrosio Angelillo KILLING GENIUS BANG! romanzo ACQUAVIVA

IL PRESTITO racconto contadino

Una volta andarono a chiedere in prestito a Uovocaldo, un contadino di Acquaviva, il suo mulo.
"Se i prestiti fossero una cosa buona si presterebbero non solo i muli ma pure le mogli", disse Uovocaldo e chiuse la porta in faccia al questuante.
"Ma tu non hai moglie, hai solo un mulo spelacchiato", protestò quello.
Uovocaldo riaprì la porta e disse:
"Offendi il mulo e vuoi ancora un favore da lui? Devi essere ben babbeo se pretendi una cosa del genere".
In una maniera o nell'altra chi ha cattiva volontà ben se la sa dispiegare.
G. D'AMBROSIO ANGELILLO
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CATALOGO piccola casa editrice ACQUAVIVA






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NEVE DI NATALE poesia di gd angelillo

Natale era pieno di sacerdoti
che andavano in cattedrale,
a costruire una stalla
come quelle delle nostre case,
e poi se ne andavano in giro a benedire
ogni cosa che si muovesse o dondolasse.
In casa si bollivano le galline vecchie
e si aspettava la neve
che avrebbe portato una nuova nascita,
santa come tutte le luci nel buio.
Noi si andava per la campagna ancora
prima di sera,
per raccogliere qualche altro sacco di olive,
prima di correre a casa
e farci trovare pronti
per il piatto
e il segno della croce.
Che ci benedisse pure a noi
la candida neve
che finalmente veniva giù
 da quel cielo così oscuro.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO
Poesie di Natale
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Giuseppe D'Ambrosio Angelillo, foto di aprile 2011

PICCOLE EDIZIONI ACQUAVIVA

Milano - Le piccole edizioni Acquaviva continuano a sfornare titoli 'underground' interessantissimi. L'attenzione questa volta è per la produzione dell'editore-autore Giuseppe d'Ambrosio Angelillo, 'radicale' 'scrittore, poligrafo e filo-filosofo. Gli ultimi titoli capitati sottomano si dividono in raccolte di poesie, raccolte di racconti, romanzi. Facciamo due passi tra i testi.
“Rivoluzione” vuole narrare il 1977: più di trent'anni dopo, si razionalizza un'esperienza. O meglio: lo fa D'Ambrosio, protagonista dei cortei eppure marxista troppo ortodosso per essere massa. Biografismo e disillusione si fondono: eravamo poveri, belli, ma anche un po' cazzoni e comunque non compatti. Hanno vinto gli altri? Forse, ma qualcuno ci prova a non accettare i compromessi, almeno personalmente. Sembra più che altro un inno alla giovinezza e alle sue possibilità - in Italia spesso castrate.
“Il mediano nella birra” parla di un ragazzo universitario che cerca un posto nella vita – o è la vita che cerca un posto nel ragazzo? Speranze e delusioni, amare riflessioni autoironiche e Milano, sempre al centro del testo, più che sullo sfondo.
“La pagnotta dei sogni” è un altro dolceamaro a mio avviso particolarmente riuscito: lungo non molto, pieno di narrazioni che ad Angelillo vengono bene: focus sulla città delle osterie, della campagna che si fonde con i palazzoni, la capitale degli animali strambi e notturni si fa dipinto colorato di vino e salame. Il linguaggio è sempre riconoscibile, e questo è un merito.
Milano è anche la città di “Bullazze e Marmittoni”, raccolta di racconti ironici che presentano le vicende dell'umanità varia-avariata che pascola territori diversi, da Ticinese al Duomo, fino alle periferie.
Poi ci sono le poesie. Metropolitane quelle di “Amanti come tempeste”, dolci inni alla solidarietà e all'umiltà quelle de “il cavaliere del secchio”, libro con copertina bellissima.
La strada è tracciata, le tematiche sono ricorrenti: la metropoli, l'amore, la delusione, il lavoro, la poesia, la filosofia, la notte, la giovinezza, gli ingranaggi di una vita che troppo spesso si rifà a schemi prevedibili e castranti, e che quindi non soddisfa. L'alba dopo la notte foriera d'incontri.
V.V.
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FOTO DI FEBBRAIO


giuseppe d'ambrosio. autoscatto di febbraio 2012
La poesia più bella è la vita
nei suoi tenui colori
venati di spavento
e di avventura,
mentre il romanzo si rassetta
in preghiere silenti
che trovano sempre le stesse cose
nei loro posti fissi.
E le gracili pareti del destino
le sostengono come al solito
gli dèi notturni
di tutti i nostri libri
sempre così fieri
delle loro potenti primavere.
G. D'AMBROSIO ANGELILLO
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UN CAFFE'

Lu vuè nu cafè?
             Ce? M' vid a dorm?
None, p' fè qualch' e cos.
P' ste meggh' ind a la ches.
P' pensè a lu sugh du casin.
A fè u sugh nan s' 'mper me...
              Na pis da perd.
              Mò, damm stu cafè...
Aspitt ca mo iess...
gd angelillo

IL POETA

Il Poeta,
come se fosse straniero in Patria
se ne va nella sua Parigi sognata,
portata sempre dietro
e posata comunque su ogni comodino.
Ladro con scassi di silenzio
aiuta la fantasia
a cospirare con l'ombra,
la stanza è troppo stretta
il libro troppo lungo
l'anima troppo larga...
Il leone anche stasera non mangia
ma anche con un solo caffè
è ancora a caccia nella notte...
GD ANGELILLO
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ISTINTO AL ROMANZO

E' di traverso che arriva il ricordo
che origina il romanzo,
la matassa poi si dipana
come un'ombra furtiva
che ammassa vuoti nella nostra anima
per tirarci fuori infine dèi minimi.
La verità è che vogliamo sempre
il letto pieno
e la mente ubriaca,
per fingere ancora una volta
quando davvero eravamo noi stessi:
con la pagina bianca davanti a noi
e tutto il tempo da spendere.
Ora ci scusiamo pure con il nostro specchio
quando inavvertitamente ci pariamo davanti
e ci riconosciamo a malapena
con questo nostro sguardo torbido
e queste lacrime
che ci asciugiamo furtivamente
per non farci accorgere
da questa nostra ombra pazza
che vuole ancora scrivere,
che vuole ancora sognare il velo di traverso
di tutto il nostro romanzo...
GD ANGELILLO
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venerdì 20 aprile 2012

BASHO

   BASHO è il più grande poeta giapponese di Haiku. Nacque a Ueno nel 1643. Suo padre era un samurai non di alto rango. Rimasto orfano in giovanissima età fu preso come servo di un rampollo di una famiglia aristocratica della sua città. Ma in virtù della comune passione per la poesia divenne grande amico del suo padrone, che però morì a soli 25 anni. Basho allora si licenziò dal servizio e si dedicò completamente allo studio della filosofia Zen. Nel 1675 si trasferì a Edo (l'attuale Tokio) e lì cominciò a esercitare la professione di maestro di poesia. Come Autore divenne famoso e elevò lo stile Haiku alle altezze della profonda e popolare saggezza Zen.
   Dopo alcuni anni si trasferì nella campagna dei dintorni di Tokio e si diede a una vita di meditazione e di voluta povertà. Qui, in segno di affetto e di devozione, un allievo gli regalò una musa (pianta ornamentale simile all'albero di banano), "basho" in lingua giapponese, che piantata nel suo giardino crebbe rigogliosa, lui lo prese come segno di un destino benevolo e si fece chiamare da quel tempo Basho (il suo vero nome era Matsuo Munefusa).
   Nel 1683 un grande incendio devastò la città di Tokio e i suoi dintorni, in questa catastrofe andò distrutta anche la casa del Poeta. Da questo frangente inizia per Basho un'esistenza pressocchè perennemente in viaggio. Il viaggiare diventò un vero e proprio stile di vita e di poesia. Il viaggio è elevato a simbolo di una ricerca spirituale interiore e di occasione costante di contatto con la natura e il popolo. E così egli divenne anche autore di diari di viaggio, diventati poi molto famosi, tra i quali il più bello è certo LO STRETTO SENTIERO PER OKU del 1689.
   E in uno di questi viaggi, fatti quasi sempre in condizioni estreme di indigenza e precarietà, il Poeta si ammala e muore a Osaka nel 1694, a 51 anni.
   Basho ci insegna sempre in grande umiltà e sincerità a saper vedere la Bellezza e il Sublime anche e soprattutto nelle banali e comuni scene della nostra apparentemente vuota e scialba esistenza.

Milano, autunno 2003
         G. D'AMBROSIO ANGELILLO
Basho POESIE Acquaviva
prima edizione autunno 2003
seconda edizione primavera 2007
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PASSAPAROLA
  

giovedì 19 aprile 2012

L'ODIO E LA SUA STRANA FILOSOFIA

L' odio è un gigante di ferro che come cammina lascia impronte mostruose su qualunque anima attraversi.
   Ogni uomo debole ha un odio ben riposto nel suo taschino interiore. Se lo beve come un caffè avvelenato a ogni mattina.
   Io per conto mio sono molto immodesto e per conto mio non mi riconosco nessun odio in pagamento, ma so che sotto la mia tavola ci sono molte briciole moleste che vorrebbero essere spazzate via, e io per pigrizia o per ricordo le lascio stare lì.
   L'odio è la somma algebrica di molti amori andati all'ammasso, o di offese così grosse che mai nessuno spazzino è riuscito a sgabellare via. I parenti che non ci vengono più a trovare ne sanno qualcosina. L'arte che pure dovrebbe renderci fratelli molte volte è scaturigine di odii così violenti che è meglio sempre togliersi dai paraggi, infatti di solito volano mobili e pure parolacce della peggior specie.
   L'odio è l'irrazionalità del buffone che cerca la sua logica di vittoria. Comunque l'odio come l'amore non sa mai quello che fa.
   L'odio è più potente dell'amore perchè l'amore ha talvolta la sua pace, l'odio al contrario non ha mai requie, nemmeno quando s'è vendicato.
   Lo scrittore è l'uomo che odia più di tutti, perchè non ha mai una lira, si lava poco, manda all'inferno chiunque gli capiti a tiro. La società sta diventando più debosciata di lui e questo gli dà enormemente fastidio. Lui teme che goda perfino più di lui, ma non è vero. Lo scrittore è un inguaribile ipocondriaco e così pensa per astratto che tutti lo odino, ma non è vero, è soltanto lui che in definitiva odia se stesso. Il motivo? Non ancora pervenuto.
   In definitiva l'odio è un'invenzione dell'uomo, perchè in natura semplicemente non esiste. Infatti avete mai visto un cielo stellato che odi qualcuno? O un albero? O una rondine? O perfino una tigre? Io no.
   Se non amate nessuno odiate almeno qualcuno, specialmente voi stessi per essere così cretini. Io francamente lo faccio e mi trovo molto bene.
    L'odio è un gigante di ferro così pesante che se qualcuno per miracolo lo fa cadere poi davvero non riesce più a rialzarsi.
G. D'AMBROSIO ANGELILLO
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PASSAPAROLA

LA VITA NON FALLISCE MAI, TEODORO

Fallito come apicultore ho aperto un negozio di filosofie dove il pensiero più cliccato è un piatto di spaghetti alla bolognese. Nessuno ha mai tempo di raccogliere poesie dalla propria stessa vita e allora si affida al commercialista per evitare le tasse dello psichiatra che ha in cura tutti gli incontentabili. Ma il vocabolario delle moderne angosce è in vorticoso aggiornamento e non si sa più dove affittare il magazzino per intravare tutti i possibili timori di ulteriori fallimenti.
    Il mascalzone vuole essere pure felice ma gli manca la cultura del tribunale di Zeus e così tanto per non sbagliare chiede perdono al suo padrone che intanto ha pure lui i suoi bravi guai con la giustizia.
   Io per conto mio non cerco più di dare un senso a questa babilonia, perchè tanto: mondo è stato e mondo sarà. Ma un'allegria priva di significato io la preferisco sempre a un'orazione funebre senza capo nè coda.
    Questa è la vita e finchè si campa come si fa a fallire? Se uno ci pensa bene: siamo nati tutti senza una lira in tasca. Forse la verità è che all'uomo tecnologico contemporaneo gli piace troppo frignare e poco ringraziare rispettosamente chi di dovere.  Ma il grande Zeus prende appunti e al momento debito non si scorderà della minima offesa gratuita di tutti questi incontentabili ma molto intimoriti di cosa lo sanno solo loro.
G. D'AMBROSIO ANGELILLO
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domenica 15 aprile 2012

LA SCIALBA GIORNATA DI UN VENDITORE DI ALMANACCHI

Vado in piazza e dispongo i miei 4 libri sulla mia bancarella. Qui nel mio manicomio metropolitano si serve la sbobba che ci ritroviamo. La mia scuola l'hanno chiusa e io mi arrangio come posso. Cucino spaghetti scotti e friggo 4 uova di papera. I miei libri sono tutti pieni di energia, vanno dove vogliono e sanno guardare molto lontano, anche se  ignoro completamente dove.
Una volta ero contadino così mi sono portato un campo dietro, il campo incerto di tutti i miei errori.
C'è un folle in piazza che passa e ripassa davanti a me senza comprarmi mai niente, è lui invece che mi vuole vendere il suo chitarrone scordato e logorroico, ma io non so che farmene e poi ho già le mie notti insonni da piazzare. Vorrei chiedergli da quanto non va a donne perchè mi sembra che proprio quello sia il suo vero problema, ma poi ci rinuncio perchè è ancora un bambino e son sicuro che non mi capirebbe nemmeno.
Il matto ha gli occhi spenti ma il cuore acceso, è calvo e forse una volta è pure stato un biondino. Adesso ha perso pure il suo manicomio ma non sa di essere a Milano così la sua follia per fortuna è salva.
Lo guardo soltanto perchè di natura son curioso come un gatto ma lui crede che lo chiami e così mi ritorna sempre vicino, ma in verità vorrei che andasse via perchè mi voglio finalmente mettere a vendere libri e non a perder tempo a fissare la follia degli altri, perchè mi basta e avanza la mia.
Tze! Scrittore, con questi chiari di luna e tutte queste illecite concorrenze. Dove voglio mai andare? Da nessuna parte, proprio qui dove mi trovo. Mi accontento di poco io, solo se vendessi qualche libro in più non mi guasterebbe eccessivamente la giornata.
Viene un medico e mi azzarda una diagnosi, ma mi invidia il fosco castello di carte e pensa così solo a curare se steso. Non sa che il mio castello non esiste nemmeno, che io abito proprio come lui nello stesso manicomio. Solo che lui si crede un medico e io uno scrittore, qualche volta pure un gatto. Saremmo tutt'e due da rinchiudere se non fosse che ci hanno già pensato i ricconi e gli economisti a chiuderci a tripla mandata nella oscura galera del soldo traditore.
Il matto è ancora in giro e i suoi occhi sembra che piangano, proprio come i miei. Il governo forse non ci paga a tutt'e due. Ma non fa niente, tanto mangerò le solite patate bollite anche stasera. Solo se vendessi qualche libro in più avrei da fare pensieri migliori. Ma comunque i sogni mi vengono ancora relativamente bene. Così come al solito non mi lamento ancora eccessivamente.
Solo che se vendessi qualche libro in più ci starei meglio in tutto questo maledetto manicomio perennemente senza soldi.
G. D'AMBROSIO ANGELILLO
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CONTADINI

I contadini in Puglia scrivono libri di pietra molto particolari poi ci vanno dentro e ci vivono.
Mio nonno era un maestro parietaio, cioè costruttore di muri di pietre a secco e quindi anche di trulli. Diceva sempre: "Ogni pietra serve al parietaio per costruire il suo trullo". Ad Acquaviva, in campagna, ci sono dei trulli molto particolari: sono massicci, imponenti, imponderabili. I contadini ci riponevano i loro attrezzi, nelle loro epoche di pochissimi ladri e di moltissima povertà, si riparavano dalla pioggia, e di notte ci dormivano se il lavoro non era ancora finito per quel giorno e tornare al paese a piedi era una cosa lunga e faticosa. Si cucinava pure là dentro con pochi sterpi messi in croce. Un piatto di fave, un pezzo di baccalà rinsecchito, un peperone raccolto là vicino. Nelle loro epoche di gran lavoratori.
Son secoli che in Italia i contadini scrivono in silenzio la loro saggia civiltà, noi ormai non ci ricordiamo di loro nemmeno quando andiamo a comprare il pane o quando andiamo a comprare il vino, per tacere di tutto il resto. Ma una volta l'abbiamo visto con i nostri occhi i nostri padri che andavano al mulino a macinare il loro grano, e noi stessi, ragazzini, abbiamo pigiato tine su tine di quintali di grappoli d'uva, ruvidi e rasposi, con i nostri stessi piedi nudi (eravamo piccoli e quindi leggeri, e le tine così ci potevano reggere nel nostro lieve peso).
I contadini sono secoli che scrivono i loro libri della vita, così concreti e categorici. Carezzevoli e poetici, ci danno da mangiare a tutti a noi cittadini di tutte le città, e nemmeno ci curiamo di sapere chi sono questi strani autori, questi stravaganti amatori di nostra Madre Terra, che a tutti ci nutre e ci sostiene, a noi tutti che ci cibiamo dei frutti dei vasti campi di questo mondo.
Siamo tutti lettori accaniti di molti scrittori contadini, amanti e spasimanti delle loro verdure e dei loro saporiti animali, ma il loro genio non ci interessa per niente. Preferiamo tutti, chissà perchè, le assurde chiacchere di autori fasulli che non ci offriranno mai in tutta la loro vita nemmeno una ciliegia.
G. D'AMBROSIO ANGELILLO
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L'ABBACEDARIO PERDUTO

Imparare a leggere è un compito infinito.
Imparare a scrivere è un compito impossibile.
Imparare a amare non è nemmeno un compito ma la necessità di una vita.
Imparare a parlare lo abbiamo già fatto da bambini anche se non ci abbiamo capito niente.
Imparare a Sperare non l'abbiamo mai nemmeno congetturato, visti i fallimenti di tutti i maghi illusionisti a cui abbiamo fermamente creduto nell'arco di tutta la nostra vita.
Imparare a essere bambini è un'arte che Dylan Thomas non ha insegnato a nessuno, perchè gli adulti ne approfitterebbero per essere più spietati ancora con tutti i poeti.
Si racconta che la vita di un uomo si stravolge e si rinnova ogni 7 anni, perfino ogni cellula di ognuno di noi parte e arriva in continuazione. Così per forza di cose dobbiamo continuamante imparare a imparare sempre. Ma l'ABC chi se lo ricorda ancora?
In fatto di sentimenti comunque non abbiamo mai imparato nulla, nemmeno che 1+1=infinito.
In che giorno siamo nati?
Quando hanno scritto per la prima volta il nostro nome e noi chissà perchè non abbiamo ancora imparato a scriverlo sulle pagine sacre della nostra stessa vita...
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO
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O CARI, LA VITA E' UNA CONTINUA POSSENTE LETTERATURA

Ho fondato la scuola dei facitori di libri in tempi non sospetti. Per me era come piantare alberi parlanti, di remota radice contadina mi son sempre ripromesso di ricordare quel che era da ricordare e di allevare canti ricercatori. Mi è sempre piaciuto salvare tutti i libri abbandonati che il caso mi faceva ritrovare.
Nelle mie aule silenziose mi faceva sempre compagnia Archiloco il prode, di quando diceva: "io che sono il prediletto delle Muse e mi appoggio bevendo sempre alla mia lancia".
Anch'io ho venduto le mie vacche, che avevo portato una volta a pascolare in campagna, per una lira, e mi salvai a stento dalle botte che mio padre mi voleva dare.
Da allora racconto quel che mi piace e mi preme, i fatti e le loro più intime utopie.
O cari, la vita è una possente continua letteratura che ci associa in una forte indissolubile concreta comunità col nome alquanto bislacco di umanità.
Fraternità è la parola che mi viene da scrivere ora, e quasi mi vengono le lacrime agli occhi per quanto ho sofferto e penato per questo, ma pure sorrido come un pazzo perfetto perchè pure ho gioito e son stato felice per gli stessi identici motivi.
La Gioventù è un bene di tutti che non dovremmo mai lasciar perdere. Mah, comunque ognuno è legato a una sua particolare saggezza che a me molte volte mi lascia di stucco...  A me il nulla, il nichelino e la fasulleria non mi hanno mai detto molto...
I vecchi s'aggrappano a quel che possono, contenti loro...
Ahimè, quanti libri da fare per mettere insieme un solo "ti voglio bene"...
Anche te, mio caro Archiloco, hai combattuto sempre per gli altri per necessità e una volta che combattesti per la tua Patria ti ammazzarono...
Eppure le tue amate Muse ancora non ti abbandonano...
G. D'AMBROSIO ANGELILLO
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L'ARTE

L'Arte è una lettera d'Amore spedita a tutti. E' una chiamata ad esistere e a non lasciarsi andare nel mare senza senso dei fatti e dei giorni.
Eppure il brogliaccio della commedia che stiamo almanaccando ci porta a un castello di carte che sempre se ne cadono le une sulle altre... come se fossimo in un racconto onirico di Kafka senza capo nè coda...
C'è una grammatica della vita e una sintassi del sognare?
Probabilmente sì. Solo che l'Arte è un volo e stando a terra è un pò difficile capire cosa possa mai essere se non immaginandola.
L'Arte è una corrente calda nella glaciazione del nostro economicismo contemporaneo.
L'Arte è un appuntamento con una donna bellissima lasciato perdere per concludere un affare molto importante nella banca spietata del nostro fallimento interiore.
Un Artista al governo sarebbe l'Utopia in questo mondo di morti viventi aggrappati a tutte le poltrone disponibili per non cadere nella polvere del loro stesso inferno...
G. D'AMBROSIO ANGELILLO
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SOGNARE

Tutte le notti, da anni e anni, sprofondo durante il sonno in un mare di sogni che mi dà la dimensione giusta del giusto vivere. Il sogno è la più vera concretezza della vita e del mondo. L'universo stesso, a ben pensarci, non è altro che un sogno.
Nel sogno siamo veramente noi stessi. E solo in questa dimensione raggiungiamo la nostra vera realtà e soprattutto la nostra più grande felicità. E a maggior ragione quando per caso ci ritroviamo svegli e per miracolo continuiamo a sognare quello che davvero vogliamo per noi stessi e per gli altri...
L'Utopia, anche se con i suoi soliti strascichi di impossibilità e di misteri, così come deve essere...
Ma comunque ci sono misteri che per incanto il sogno ci scioglie e ci libera come belle bandiere al vento, le bandiere fiere del nostro certo combattere a questo mondo per il nostro sogno individuale, così particolare e così caro...
La capacità di rimanere ragazzi perchè il sogno è rimasto lo stesso, e rendersi conto che la felicità molte volte risiede soltanto in questa nostra facoltà di rimanere fedeli a noi stessi, già... e a chi altri se no? Il sogno è fedele a noi stessi ma noi a lui?...
Sognare è la condizione fondamentale dell'esistere, là dentro c'è l'Amore e pure la più grande Arte, letteratura e filosofia compresa...
E soprattutto tutto quello che per davvero vale di noi stessi. E' bello sognare, lì non ci sono delinquenti che ci minacciano o ladri che ci derubano, nè disonesti che ci vogliono infamare. I sogni sono la nostra televisione privata più vera e più bella. Viviamo come in un film del grande maestro Fellini e noi siamo gli attori, la pellicola e pure il cinema dove il tutto viene proiettato: il grandioso schermo del nostro stesso Io.
Da sveglio io mi ricordo sempre i miei sogni e poi non mi scordo mai di viverli.
G. D'AMBROSIO ANGELILLO
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mercoledì 4 aprile 2012

L'ARTISTA E' FONDAMENTALMENTE UN FOLLE (a Giuseppe Giacobino)

L'Artista è fondamentalmente un folle.
Crede di capire tutto il cosmo e poi di regalare la formula a tutti. E tutto questo perdipiù nell'arco di tempo di un secondo. Ditemi voi, ragazzi, se non è un pazzo un individuo così combinato chi può mai esserlo?
Ma si dà il fatto pure che siamo tutti artisti, in un modo o nell'altro. E allora, così stando le cose, non c'è proprio salvezza. Nè dall'arte, nè dagli artisti, nè dalla follia.
GD ANGELILLO
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