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mercoledì 30 luglio 2014

IL TRENO DI PINOCCHIO




IL TRENO DI PINOCCHIO


   C’era un treno che girava attorno a un grandissimo parco. Aveva piovuto e tutto intorno la campagna era piena di fango e di mota. Ma il trenino continuava a girare allegro, intorno era tutto pieno di marionette e pupazzi e ogni tanto il treno si fermava e noi si scendeva e ci si metteva tutti a ballare con le marionette. Il capo di tutti noi era Pinocchio e lui guidava il treno e ci comandava tutti. Eravamo tutti felici di essere marionette e di passare tutta la vita a giocare nel fango e a ballare spensierati.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

da "KAFKA" storielle minime, Acquaviva 2014

POTENZA DELLA LETTERATURA







POTENZA DELLA LETTERATURA

   C’era un avvocato con la barbetta bianca e un’aria tranquilla e placida. Metteva sul tavolo delle riviste geografiche e diceva alle belle donne che lì gironzolavano:
   “Vi piacciono?”
   “Sì”, dice una supergnocca e si prende una rivista che riguarda la Lombardia.
   E per questa semplice rivista l’avvocato barbogio si fa la signorinella.
   Io penso: “Ma è possibile che per una rivista una bellezza simile si dia a un vecchiaccio?”
   Effettivamente è così.
   Altre donne di malaffare gironzolano là intorno con fare interessato, qualcuna mi guarda con intenzione pure.

   Ma io non ho nemmeno un mezzo foglietto stracciato da offrir loro.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

da "KAFKA" storielle minime, Acquaviva 2014

L'EPOCA DEL NARCISISMO





L’EPOCA DEL NARCISISMO

   Stavo in una stanza d’albergo e stavo raccattando le mie cose per andar via, quando vengono due signorine dall’aria molto professionale e mi dicono:
   “Se puoi aspettare un po’ prima di andare, avremmo delle domande da farti”.
   “E io delle risposte da darvi”, dico io e sorrido.
   Vanno via.
   Io continuo a raccattare le mie cose, la mia sveglia, i miei quaderni, le mie penne, i miei foglietti con gli schizzi.
   Poi le due signorine tornano e mi chiedono delle mie opere filosofiche io rispondo:
   “Certamente quella più forte è il mio “Dostoevskij” ci ho messo 4 anni per scriverla, ed è un libro in 9 volumi in 5000 pagine, la più grande ricerca mai fatta sul grande maestro russo. Importante per capirne il pensiero soprattutto”.
   Ma vedo che le due non ascoltano affatto le mie risposte, ma si mettono a parlare delle loro esperienze di scuola, dei loro progetti, delle loro idee.
   Mi fanno delle domande ma trascurano del tutto tutto quello che io dico, sono tutte concentrate su loro stesse e sulle loro aspettative.
   “È proprio l’epoca del narcisismo”, dico io.
   Ma quelle non mi ascoltano neanche.
   La mia sveglia chissà perché si mette a suonare, e contemporaneamente si mette a suonare il mio telefonino, è la mia fidanzata che è un bel pezzo che è giù ad aspettarmi.
   Ma io non rispondo.
   Quelle due continuano a farmi domande e a non ascoltarmi.
   “Ma siete due giornaliste o due studiose?” chiedo allora io.
   “Due giornaliste”, dicono loro.

   “Ah”, dico io, “anche se foste state due studiose sarebbe stato lo stesso”.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

da "KAFKA" storielle minime, Acquaviva 2014

POESIA






POESIA

   C’era un gruppo di amici che voleva andare a far visita ad Alda, fra cui Chiara la Cremasca, la battitrice di testi.
   Io non ne avevo voglia ma poi ho acconsentito a malincuore.
   Così li ho portati a casa di Alda. Ma lì, proprio all’entrata c’era una specie di sua amica portinaia che ci ha bloccati tutti.
   “Non si può andare, Alda sta poco bene”, ha detto e così ci ha bloccati tutti.
   Allora io ho detto:
   “Entro solo per salutarla”, e così mi ha fatto passare.
   Sono entrato dentro e Alda appena mi ha visto è stata contenta.
   “Entra, entra, Giuseppe. Vieni qui, siediti davanti a me”.
   C’era un tavolo quadrato molto grande e là mi ha fatto sedere.
   Poi ha preso una miriade di scatole di farmaci piccoli e grandi ed è andata a buttarle in un cassetto di una madia lì accanto.
   “Questi li mettiamo qui”, ha detto, “e non dite niente a nessuno sennò mi sgridano”, e poi si è messa a ridere di gusto.
   Poi ha preso un suo libro di poesie e ha cominciato a recitare delle poesie.
   “La poesia è il miglior farmaco per l’anima dell’uomo”, ha detto e poi si è messa a ridere di gusto un’altra volta.
   “E voi potete facilmente arguire allora che io sono la persona più sana d’Italia”, ha detto e si è messa di nuovo a ridere.
   E noi con lei.
   Poi un’infermiera ha bussato e lei l’ha fatta entrare.
   “Prego signora s’accomodi pure, ma non mi vada a denunciare alla polizia la prego che questa non è carboneria ma solo una misera riunione di poveri poeti”.
   L’infermiera ci ha guardato tutti con una faccia esterrefatta, e poi se n’è uscita ma senza dire niente.
   “Come vi dicevo prima la gente guarda i poeti quasi fossero degli unicorni, cioè degli esseri che semplicemente non esistono poiché sono troppo chimerici, favolosi”.

   E lì si è messa di nuovo a ridere.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

da "KAFKA" storielle minime, Acquaviva 2014

UNA STRANA VOCAZIONE








UNA STRANA VOCAZIONE

   Me ne stavo a casa a cucinare ed era un’osteria dove davo da mangiare a tutti. Facevo delle cotolette con cosce di pollo e poi ci mettevo delle frittate di uova molto buone sopra.
   Davo porzioni a tutti e nessuno naturalmente mi pagava, nemmeno per le uova figuriamoci per il pollo. Ci mettevo tutti i miei soldi e continuavo sempre a fare queste cosce di pollo fatte con la frittata sopra.
   Poi viene mia sorella, dopo aver mangiato anche lei la sua porzione di pollo fritto, e mi chiede:
   “Ma chi paga tutto qui?”
   “Io”, rispondo.
   “Ma perché lo fai?”

   “È l’unica cosa che so fare nella mia vita: dar da mangiare a tutti coloro che incontro. E tutti incassano, nessuno escluso, e poi vanno via, spariscono e non si fanno più vedere”.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

da "KAFKA" storielle minime, Acquaviva 2014

IL MAESTRO





IL MAESTRO

   Stavo nell’atrio del cinema Cosmo ad Acquaviva e guardavo dei piccoli manifesti appesi in una bacheca e che erano in vendita.
   C’era un soggetto bello di una ragazzina in campo nero e vedo dal cartello che costa 4 euro. Allora decido di comprarlo, lo prendo e vado a pagarlo. Ma la maschera del cinema mi dice che costa 14 euro. Io allora lo porto alla bacheca e gli dico: “Allora cercate di correggere il prezzo sul cartellino, c’è scritto 4 euro e invece costa 14”.
   Quello viene a vedere e dice che è sbagliato il cartellino non il prezzo, ma allo stesso tempo si prende i 4 euro da me. Io avevo solo quelli e rimango così senza soldi.
   “Avrei fatto meglio a comprare il giornale con questi soldi, avrei speso solo un euro e mi sarebbero avanzati 3 euro”, penso.
   Ma poi penso: “Ma perché quell’impiastro s’è preso i 4 euro se non mi ha dato nessun manifesto?” “Mi ha rubato”, penso. E poi: “Mi rubano tutti perché sono troppo buono, e m’incazzo raramente”.
   E allora giacché sono lì decido di andare da una persona che ho conosciuto, un vecchio maestro, un uomo saggio e allora gli porto un mio libro. Ha l’ufficio in piazza del Teatro e vado là, è in sua compagnia una ragazza che sta sempre zitta.
   Gli parlo di un mio racconto da cui voglio fare un film dove lui dovrebbe partecipare.
   “È un film di 5 minuti”, dico, “ci vuole più tempo a parlarne che a farlo. Può venire anche di meno di 3, 4 minuti”.
   Gli spiego la storia, sul libro il racconto è di 3 paginette soltanto.
   Un ragazzo va da un suo maestro e gli chiede per amicizia di tenergli un tesoro, il maestro gli tiene il tesoro ma per distrazione glielo perde, ma il ragazzo non si arrabbia, e per amicizia lo perdona.
   Il film è tutto lì.
   Allora il maestro mi dice:
   “Certo che nella tua vita l’amicizia è stata molto importante”.
   E io gli rispondo:
   “È vero. Ma sono stato molto più amico io di quanto sono stati tutti gli altri verso di me”.
   “E ora? Hai amici?”
   “No. Sono solo. Ma quando torno a casa ho grandi amici maestri come Dostoevskij, Federico Garcia Lorca che sono molto buoni con me”.
   “Ahia!”, dice quello e rimane zitto.
   Comincia a guardarmi strano. So cosa pensa e allora gli dico:
   “Non sono un pazzo se è quello che stai pensando”.
   Ma non ci crede.
   Non risponde più.
   Vedo che sta continuamente a pensare che sono pazzo, nonostante le mie parole.
   Allora io prendo i miei libri, gliene avevo portati 3 e me ne vado via.
   Saluto la ragazza e lui e vado fuori.
   Da lì me ne vado verso casa e penso: “E no, tu volevi regalare questi miei libri ma invece me li tengo io perché tu non te li meritavi affatto”.
   Spero così di aver finalmente cambiato il mio atteggiamento troppo disponibile verso gli altri. Ma non ne sono sicuro.
   Quel maestro si chiama l’Ingegnere, ed era l’uomo più ricco del paese. E figuriamoci se avrebbe mai aiutato uno come me.
   Vado a casa ed entro nel cortile.
   Per non farmi vedere dai vicini sulla strada di casa.

   Appena passo sono tutti lì che mi borbottano dietro.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

da "KAFKA" storielle minime, Acquaviva

UNA TINCA PER PASSAPORTO (Gita domenicale con Federico Fellini)


UNA TINCA PER PASSAPORTO
(Gita domenicale con Federico Fellini)

   Stavamo in un ospedale di Riccione e con me era ricoverato Federico Fellini e altri amici. Stavamo lì a parlare del più e del meno. Io dicevo a Fellini di bere l’acqua Rocchetta così gli abbassava la pressione e lo faceva urinare senza prendere farmaci.
   “È un’acqua che viene dall’Umbria”, gli faccio io.
   “Allora è salutare davvero”, fa lui.
   Stavamo in due letti vicini.
   A un tratto lui ha un’idea:
   “Ehi, amici, oggi è domenica perché non ce ne andiamo in gita a Rimini?”
   Non si potrebbe assolutamente, pena la sospensione stessa delle nostre cure. Ma ci facciamo prendere tutti dall’euforia e dalla voglia di gozzoviglia e ce ne scappiamo tutti dall’ospedale e anzi scappa con noi pure un’infermiera, anche parecchio carina.
   Ci mettiamo i vestiti e ce ne usciamo come se fossimo dei semplici visitatori. Andiamo alla stazione, prendiamo il treno e in un attimo siamo a Rimini.
   Scendiamo dal treno e nei cortili della stazione c’è una grande quercia, quasi tra i binari.
   “Sotto quella quercia andavo sempre a giocare da bambino”, dice Federico.
   Io penso: “D’ora in poi quando vedrò quella quercia penserò sempre a Federico Fellini”.
   Poi ce ne andiamo verso il mare, vicino al porto canale, lì c’è una stanza tutta coperta da pergolati, sembra dipinta da Leonardo, ma invece è vera.
   Là ci mettiamo a pescare e poi anche a cucinare i pesci che prendiamo. Ci mettiamo a chiacchierare e raccontarci storie, ci divertiamo moltissimo. Vengono anche alcune ragazze e ci sono pure delle storie d’amore molto platoniche. Prendiamo tantissimi pesci. Ma passa il tempo e dobbiamo tornare indietro, perché è già lunedì mattina.
   Prendiamo il treno, scendiamo e andiamo all’ospedale di Riccione. Lì però ora c’è una barriera dove per passare bisogna esibire i documenti. Allora Federico ci dà tre pesci a testa e ci dice di esibire quelli come documenti e di lasciarglieli come dono ai guardiani.
   “Una tinca come passaporto non è per niente male”, dice Federico e si mette a ridere.
   Andiamo alla barriera ed esibiamo i pesci, i custodi ridono, prendono i pesci e ci fanno passare senza tante storie.
   “Avete visto, amici?” ci dice Federico. “Se davvero fossero pesci i passaporti come sarebbe più allegro questo mondo!”
   Entriamo dentro e tutti ci guardano con aria di rimprovero. All’infermiera più di tutti. Minacciano di punirla. Ma è quasi mezzogiorno e andiamo in mensa.
   Le inservienti ci dicono:
   “Ieri abbiamo mangiato lasagne, voi invece siete andati a divertirvi, non oserete prenderle oggi le lasagne vogliamo sperare”.
   “Abbiamo pesci per voi”, dice Federico e dà loro una busta piena di tinche.

   “Arrosto o alla brace sono buonissime”, dice poi.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

da "FELLINI", Acquaviva 2014


FELLINI GIRA



FELLINI GIRA

   Alla via di Bari davanti al giardino dei pini c’era Fellini che girava il seguito di AMARCORD, c’era un gran via vai di attori e controfigure.
   Si girava la scena della gita del liceo classico. E là c’erano pure tutti i miei vecchi compagni di liceo. A un tratto vedo Nicola Savino, che viene dall’extramurale con un altro amico, mi saluta a malapena e non mi dà nemmeno la mano. Eppure al liceo ha copiato da me tutte le versioni di latino e gli ho fatto pure molti compiti di italiano. Ora mi passa davanti e sembra che il ciao gli pesi 4 quintali.
   Ma vado avanti, tant’è, ne ho viste tante nella vita.
   E più avanti c’è Celentano che ha aperto una bottega di pittore, e dipinge per strada.
   “Ciao, Adriano”, gli dico. “Come va?”
   “Dovevo aprirmi lo studio a Cassano ma ho rimediato un localino qua, ti piace?” mi fa.
   “Niente male”, gli dico.
   Tra un po’ arriva Fellini con la troupe che riprenderà le scene del pittore pazzo, naturalmente interpretato da Adriano Celentano.
   Dopo un po’ dipingendo lui attacca:
   “Pregherò per te, che hai la morte nel cuor”.

   Tutta Acquaviva è veramente allegra perché c’è Fellini che gira con il suo circo equestre, e si vede e si sente, nonostante i soliti malumori della vita.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

da "FELLINI", Acquaviva 2014


GIRANDO IL NUOVO FILM DI FELLINI



GIRANDO IL NUOVO FILM DI FELLINI

   Stavamo con la troupe di Fellini, in giro a girare il suo nuovo film: “Sotterranei”. E stavamo in una scuola, nella sottocantina e lì in un corridoio c’era una botola, e allora noi si sbatteva i piedi sopra per sfondarla ma sotto abitava qualcuno, che esce fuori sulla strada da una via segreta e promette sfracelli a chiunque torni a disturbarlo, è un uomo grossissimo, con i baffi, un armadio vivente.
   Noi si torna sotto e si fa meno rumori.
   Le strade della città sono scoscese e i palazzi altissimi che sembrano montagne.
   Partono pullman a noi non ci prende nessuno.
   Così ce ne andiamo in un prato, con tutta la troupe.
   E Fellini dice:
   “Ma quell’attore asiatico dov’è andato?”
   “Ah dottò, ma qui siamo tutti asiatici”, dice un tecnico del suono.
   “Ma che dici?”
   “Sì, dottò, tutti euroasiatici, insomma indoeuropei”, dice quello.
   Ma l’attore che cercava Fellini stava dietro un cespuglio a prendere il sole.
   “Ehi, ma non devi stare qui a lavorare?”, gli dico io.
   “Ma lascialo stare, non vedi che è un lavativo?”, dice un operaio dell’allestimento scene.
   Quell’altro seppure chiamato se ne venne a prendere il sole.
   “Visto che tutti vogliono riposare ora, pausa pranzo!” dice Fellini.
   E tutti ci si mette a una tavola rotonda con pane e vino e un po’ di pomodori. Siamo allegri e contenti di stare lì con Fellini, anche se del suo nuovo film nessuno ne sa niente, nemmeno lui credo.
   “Aò, dottò, siamo tutti cavalieri della tavola rotonda”, dice il tecnico del suono.
   Scoppiano tutti a ridere.
   “Sì, e tu Lancillotto senza la scodella”, dice Fellini.

   E giù tutti di nuovo a ridere a crepapelle.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

da "FELLINI", Acquaviva 2014


IL MAESTRO FELLINI




                         IL MAESTRO FELLINI

   C’era un’assemblea di registi che veniva ripresa pure dalla televisione per farne una trasmissione culturale in diretta. Il presentatore era un giovane regista molto famoso, Fellini. E lì se ne stavano tutti ad ascoltarlo dopo che era stato proiettato un film del grande Charlot.
   La televisione riprendeva e trasmetteva, e tutti erano un po’ invidiosi che Fellini portasse avanti i giochi e parlasse delle teorie, delle sue pratiche, delle sue convinzioni. D’altronde lui era il maestro ma era come se fosse malvisto e malsopportato da tutti, che ovviamente volevano parlare dei loro film, delle loro teorie, e dei loro progetti.
   Dopo un po’ si alzò dal suo banco Nanni Moretti e disse: “Maestro, vorrei parlare di alcune storie che or ora mi sono venute in mente”. E voleva parlare della sua infanzia, dei suoi ricordi, delle sue emozioni.
   “Non ora”, lo zittì Fellini.
   Nanni Moretti per sfida non si risedette al banco ma a un muretto che stava lì vicino al banco. C’era rimasto male a quella risposta e voleva controbattere ma aveva pure troppo rispetto per il maestro per mettersi a contraddirlo.
   Si alzò pure dopo Salvatores, e anche lui voleva dire qualcosa. Ma anche a lui Fellini lo zittì. E anche lui per protesta si mise a fianco di Moretti seduto sul muretto e non più al banco, come per voler mostrare fisicamente il suo disappunto.
   Fellini si accorse di questo malumore diffuso tra i giovani registi e proprio un attimo prima che finisse la trasmissione disse: “Ragazzi miei, non sono importanti le storie ma è importante l’essenza nei film. Ricordatevelo sempre”.

   L’assemblea e la trasmissione finirono e tutti se ne andarono via in silenzio, ognuno per conto suo.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

da "FELLINI", Acquaviva 2014

FELLINI IN TRIBUNALE





FELLINI IN TRIBUNALE

   Me ne andavo con la macchina 600 Fiat di mio padre e incontravo Peppino Amatulli e lo salutavo.
   “Ciao Peppino!”
   E poi incontravo Tonino Coniglietto.
   “Ciao Tonino!”
   Mi piaceva come farmi vedere dai miei amici che andavo in auto. E poi la vecchia 600 Fiat di mio padre.
   Sono arrivato a casa e casa non c’era più, c’era invece un grosso palazzo ed era il Tribunale, con una grossa scalinata.
   Io allora ho posteggiato la macchina e sono salito su per la scalinata del Tribunale.
   C’era un uomo mezzo nudo che diceva:
   “La colpa c’era e pure il delitto c’era ma l’accusa non c’era, così io ora sono di nuovo un uomo libero pur essendo un perfetto criminale. Una cosa lava l’altra, una cosa equivale all’altra”, diceva.
   E il delinquente se la svignava.
   Poi c’era Fellini con una grossa tunica, era molto grasso e vecchio.
   “La mia colpa è che sono ingrassato, non ho nulla a mia discolpa perché tutti i miei amici italiani mi hanno abbandonato. Io così sono il più colpevole di tutti", diceva.

   E a lui lo prendevano e lo portavano in Tribunale perché lo dovevano processare per la sua atroce colpa.

GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

da "FELLINI", Acquaviva 2014

martedì 29 luglio 2014

POESIE DAL NEPAL di Roberto Longhi


POESIE DAL NEPAL



*

ancora la saliva sugli occhi addormentati
nel ristorante rosa e blu`,
seduti al tavolo gli amanti
perdono invisibili lacrime,
la solitudine siede di fronte a me
e cade sul menu`con mani pallide
come separata dalle strade di polvere
come una mantide senz`ali
si abbandona al lago piovoso


*
galassie di piedi scalzi
ruotano attorno ai cieli di lapislazzuli,
galassie di ferite sanguinano
su teschi di cristallo,
ma sulle vie camminano,
camminano le macchine
con la paura nei capelli,
e i muri ci proteggono....


*
ovunche zanzare e vampiri
travestiti hippie
sui trampoli nel fango
a fatica si muovono
e sorridono nella tristezza,
il vento notturno accarezza
una dea invisibile seduta sulle corde
di un sitar senza tempo
danza nel fumo,
aspira le alcoliche atmosfere
i fiori di loto caduti in fondo al cuore del poeta
ti hanno persa per sempre



*
nella pioggia di Pokhara
il lago evapora
la solitudine degli occhi giapponesi,e
il grido del poeta
non piu` incanta il
muto sguardo
di una porta


*
colei che ama entra nella stanza
e medita sul dramma di un poeta come
un dramma di corriere logore, di poveri piu`
puri,di viaggi nelle foreste insonni,
e lui che s`incammina sulle vie azzurre
apprende la follia di un bacio,
l`arido incontro





*
forse la notte placa i mille io del giorno
come cani senza pace
ringhiano sulle sponde
i topi sulle canne
di sudice locande...





*
muore nel tempo di un respiro
il pensiero della tua assenza
scende le scale buie
e trema sulla porta
perche` le parole
come cammini inutili
spezzavano le ali di un mattino
e infastidite le mie palpebre
riposavano lontane
sui rami di una stanza



*
ranicchiato il grande ragno
prese rifugio nel tuo silenzio
ma a nulla valse la sua quiete
dove l`assassino trama invisibile
sopra un`onda di voci confuse
ranicchiato il grande sogno di un amore
prese rifugio nel tuo silenzio
ma non fioriva la tua canzone triste
dentro un tumulto di specchi
sarebbero state sempre lontane
le tue mani le tue parole
come raffiche di monsoni
a raffreddare le mie canzoni
i concerti dei grilli
negli eterei cieli indiani




*
come un ricordo vago
una rondine si addormenta
nel vecchio ristorante nepalese
siede lontano dai tuoi profumi
e un re s`incammina verso la quiete




*
nel buio nella paura dei leopardi
camminavo nella paura
come un poeta folle
ancora illuso
piangevo alla periferia di Almora
sui capelli di un profumo
lasciavo l`eleganza dei tuoi occhi
come piegato dentro una foglia
come una poesia di viaggi
perduta nell`acqua




*
assorta nelle nuvole
la preghiera di un`india senza tempo
e un baba accende un cilum sulla riva silenziosa
la mucca che mastica i volantini sui muri di risiskhesc
che digerisce capitali di plastica e si avvicina
alla mia soglia



*
ogni sera ritorna la dolce pioggia
il lago danza con lei che s`incanta
e si bagna
sotto le mille gocce
i suoi capelli nel cielo
entrano come respiri lenti
oscure onde muovono le foglie
e svaniscono nel tempo
io seduto sul terrazzo di un hotel
viaggio nel vento

ROBERTO LONGHI