regala Libri Acquaviva

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sabato 30 maggio 2015

SULLA GRANDE FORTUNA DEI NOSTRI TEMPI

il lavoro più sporco che si possa fare
è cercare di fare fortuna con la fatica degli altri.
ti santifichi da solo la banda,
ti fai d'intenzione uguale agli altri,
smarchi il furbissimo che è in te
e ti lanci a esplorare il cuore stesso della terra.
puoi pure imparare a memoria
tutti gli alberghi di lusso del mondo,
i binari privilegiati della razza eletta,
i bar più rinomati della cricca esclusiva dei banchieri.

la gente quando piove corre tutta a casa,
accende la tv
e poi va a farsi una cagata.
dei destini del mondo non gli frega mai granchè a nessuno,
la gente guarda sempre quando nasce un figlio a un re,
o un nipote a una regina,
non si scandalizza mai nessuno
se per caso cade e scoppia una bombola del gas
alla periferia di Dublino o di Liverpool o di Agrigento.

tutti vogliono fare i soldi senza faticare nulla,
sia gli uomini
che le donne,
sia i professori
che i matti.
anche i morti ci tentano,
e molti ci riescono pure.

finalmente la grande fortuna si sporge al tuo sportello,
bianca e illuminata e irresistibile,
tu hai fatto davvero tutto quel che era possibile
per mettere sotto gli altri,
e quelli come tordi ci sono cascati.
il più è fatto.
i ricconi piacciono a tutti.
ormai sei partito
e nessuno più può fermarti...
vedi da solo che nessuno più si oppone a te.

stai attento solo ai mistici o ai tuoi figli.
i primi se ne fregano di te e di tutte le tue ricchezze,
i secondi sono figli tuoi
e possono fotterti alle spalle
se davvero decidono di farlo.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO
I POVERI

i vivi hanno tutti bisogno di soldi
e di auguri,
penso.
i guai cominciano quando comincia a piovere
e nessuno vuol darti l'ombrello,
tutti pensano che hai bisogno di scarpe,
di cappotto,
e anche di una casa bella larga.
è così che di colpo
tutti cominciano a fregarsene di te.
i poveri poi sono davvero troppo petulanti,
ti chiedono perfino le sigarette
e qualche centesimo per una caramella.
il colmo poi si raggiunge quando ti chiedono il pane,
i più seccanti pure il formaggio.
"ho fame", dicono
e io che c'entro?
non sono mica l'astronauta in viaggio verso plutone.
potrei essere benissimo pure io un povero
e aver bisogno di un cimitero pure io.
cazzo,
non siam mica tutti vivi per fortuna,
ci sono pure i morti.
quelli sono pure sordi
e se tu parli non ti ascoltano mica,
non è colpa loro, poveretti,
è proprio che non ci sentono più.
potessero sentirebbero,
forse non ti darebbero niente lo stesso
ma almeno ti direbbero: "ma va' a cagare!"
e tu non ci resteresti così male 
come quando non ti rispondono
e non ti vedono nemmeno.
ma la verità è che son ciechi pure,
non vedono nulla,
come fanno a vedere anche i poveri infatti?
non ce la fanno.
la gente poi ha certe pretese.
come fanno a non capire che ai morti non si può
proprio chiedere niente,
nemmeno mezzo centesimo,
che poi anche se fosse vivo
non è mica detto che te lo darebbe.
infatti non è mica possibile accontentare tutti,
i soldi se li son presi tutti i ricchi
ai poveri non ne è rimasto niente,
altrimenti che poveri sarebbero?
poveri con i soldi non se ne son mai visti.
così se volete qualche augurio,
quello ve lo possiamo dare tranquillamente,
ammesso e non concesso che siamo ancora vivi
e non come dicevo prima già morti.
i morti neanche di auguri ne possono dare
infatti ne hanno bisogno prima loro stessi
di tutti quelli che ci sono in circolazione.
così poveri miei, fate i poveri
e non rompete tanto 
alla gente che ci ha sempre così tanto da fare,
vivi, morti e malati di testa che siano.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO


TUTTI CHE MANCANO LA PAROLA

tutti che mancano la parola,
uno dopo l'altro.
un'intera città di bidoni petroliferi,
benzina altamente infiammabile
per cuori spassionati abbonati
a tutti i tipi di fallimenti, e perdizioni allegate appresso.
che ci posso fare io
se tutto quello che so almanaccare
è di starmene al bar
con gli occhi fuori dalle orbite 
a pronosticarmi vincite secche alla lotteria
del buon cuore altrui che puntualmente
vanno a farsi fottere?
con la bontà del prossimo, amico,
ti paghi a stento un caffè.
per il resto se punti sul cavallo perdente
che tu stesso sei
non è che vai poi così tanto lontano.
io vivo giorno per giorno,
anzi minuto per minuto.
poi mando un bacio alla madonna
e mi rimetto sulla mia strada.
dove vada lo so benissimo,
a una guerra che combatterò con onore
e finirò per perdere con disonore.
anche il mio barista non si fida eccessivamente di me
e mi chiede sempre di pagare in anticipo,
anche la bustina dello zucchero
che di solito è addirittura gratis.
ma voi pensate caso mai io vinca alla lotteria
del pensateci un po' voi
un terno secco sulla ruota della poesia,
io me ne torno a casa
e mi faccio accompagnare di nuovo all'asilo
da mia nonna,
che pace all'anima sua benedetta è pure morta,
ora che ci penso
anche a me che ci sono ancora
mi fa male un po' la testa.
e in fin dei conti non so manco più per chi votare,
se uno dopo l'altro,
non c'è proprio da sbagliarsi,
mancano tutti la parola, il discorso e la telefonata.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO


















FAVOLA DEL ROSPO CHE SI CREDEVA UN RE

un panino con la mortadella, due uova fritte e un'arancia. un vero pranzo da re. che sia un rospo chi se ne frega? tanto son pure futurista e lo posso fare. ho una catena di montagne all'orizzonte, un vestito da vescovo fallito in cantina, e un brogliaccio di spettacolo teatrale che non vale proprio un cazzo. viva la verità e viva pure la mediocrità! sono un rospo che se ne sta seduto al suo tavolo di lavoro e davvero non rompe il cazzo a nessuno. non vi piacciano i miei libri? il dottore non vi ordina mica di comprarli per forza, io nemmeno. tutte le mie strade sono scalcagnate, esattamente come me, così andiamo d'accordo non c'è proprio malaccio. mi piacerebbe anche a me possedere un'armata di carri armati americani e invadere la germania e vedere di nascosto l'effetto che fa. ma un cane nero mi guarda fisso da un bel po' e io non sono mica tranquillo. sono di un verde smeraldo come uno stagno putrido e mi gonfio a piacimento come una vacca, ma non voglio correre il rischio di scoppiare come un idiota e allora mi trattengo un pochetto. a gonfiarmi, voglio dire. mi piace starmene nell'acqua limacciosa e confondermi con il mondo di sotto. roteo i miei occhi a palla come minchia vogliono loro e vedo tutto quello che voglio vedere e anche oltre. mi metto i miei guanti di velluto verde acceso e così do corrente pure a tutte le stelle del firmamento. e poi tutti quei soliti trucchi del tempo di cui noi rospi siamo dei veri maestri. le fidanzate d'oro che arrivano e strillano di felicità per il grande ritrovamento del principe fuori di testa e bastonato senza pietà dalla strega maligna di turno. e dopo l'orrore il piacere, e dopo l'obbrobrio la bellezza, cosa ci può essere di più favolistico? una volta mi hanno messo perfino nella calza della befana, pensate un po' voi! 
    io sono un bel rospo ma la strada di casa è davvero secondaria e fuori dal mondo. non so, ultimamente mi son messo a sperare nella fortuna, e così immagino davvero tutto quello che voglio. anche di essere un re e di mettermi a saltellare in una minestra di carote e rape davvero squisita. ma la cruda verità è che vivo di aria, come ogni buon rospo di rispetto. zompo con la mia gobba verde nella bruttezza assurda della mia vita e leggo qualche foglio strappato di giornale buttato per strada, dalle vaghe notizie che leggo non è che al resto dei rospi del mondo vada tanto meglio, così saltello ancora un po' nell'erba umida e mi metto il cuore in pace. 
     "quando se ne va questo disgraziato?", borbottano tra di loro i miei vicini. i monti non si muovono e nemmeno io, penso io. la città non ne vuole sapere di me. ma io tutto sommato mi sento bene in tutto questo mio verde. anche l'acqua è felice, mi dicono, di essere azzurra. io sono re ma se non so dove diavolo è andato a finire il mio splendido regno che colpa posso mai avere io? io sono solo un rospo dai mezzi molti limitati, e se quel cane nero la smette di fissarmi con rancore io davvero potrei essere il re più felice del mondo...
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO  





IL SASSARI V'HA BATTUTO? SON CONTENTO

facce squallide che mi fissano e mi giudicano:
sono un mazzo di carciofi truffaldini
che mi rendono una carta buona a nulla
su tutte le ruote d'Italia e oltre non c'è manco da pensarci su,
io allora vorrei infilarmi nei neri meandri della mia caffettiera
e lì mettermi a pensare e a riflettere e a ammattire
e ascoltare solo la mia follia
che mi dice:
"ma che cazzo vogliono tutti questi minchioni qui?".

ma io non capisco nulla
e mi metto sul marciapiede
a fare la guardia agli ubriachi artisti di strada come me
che sono sempre allegri
e si fanno anche loro prendere per il culo
dal sindaco fasullo della loro città,
che sono vecchi giornalisti di repubbliche fallite
e che sono passati da voler incendiare il mondo
a ratificarlo così com'è
senza manco chiedere un voto di fiducia
agli opportunisti di merda attorno a lui.
sono un essere irrilevante, lo so,
chiedo qualcosa a tutti
e questo è davvero insopportabile,
sei povero? e allora non hai davvero nulla da vendere
oltre la tua stessa morte.
non dare fastidio
e affidati solo alla clemenza di Dio.
Ah!, vedo con piacere che voi siete tutti al di sopra di me,
che disponete di tutto quel che vi offre il serpente.
auguri e figli maschi,
la vostra pubblicità sui jumbo tram è davvero portentosa.
una minestra di carbone?
grazie, l'accetto volentieri.
a ognuno il suo expo universale.
anche il pipistrello caga con la testa rivolta all'ingiù,
non me ne meraviglio eccessivamente di voi.
il sassari v'ha battuto? son contento,
io tifo sempre per i più deboli,
e infatti anche loro ogni tanto vincono,
con l'aiuto delle bombe a orologeria del destino.
io tra un pò prendo il tram e me ne vado allo Stadera,
mi compro un panino con la mortadella
e poi vado a vendermi il pianoforte di Chopin,
ne ho 10 in tasca.
ciao. vado ora che ho l'autista del tram
che mi sta aspettando
per chiudermi la porta in faccia
proprio a me che sono il più appesantito
di tutta questa tristezza di Milano,
che vince e vince sempre,
ma, a proposito, scusate se ve lo chiedo,
ma che vincete voi?
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO


CHE SO IO? DOVE VADO IO? CHI SONO IO?

che so io?
niente so,
con tutti questi cartoni di libri
pieni di nulla
che mi vorticano nella testa
che manco ce la faccio più a camminare.
dove vado io?
da nessuna parte vado io
che ho visto londra parigi berlino
e non ne ho fatto una minchia di niente.
e guardo il sole scialbo di questo pomeriggio
di tarda primavera dalla finestra
con ancora il freddo dell'inverno duro nelle ossa,
con tutti i miei amici che mi prendono in giro
allegramente
e i vicini di casa che arrivano addirittura
ad augurarmi la morte,
e i padroni delle ferriere
che manco sanno che un tipo come me
possa nientemeno che congetturare di esistere,
e la polizia che ancora sospetta di me
per chissà quali antiche rivoluzioni,
tutte comunque tassativamente passate di moda,
e lo psichiatra che mi dà la caccia da decenni
per finalmente buttarmi nel primo manicomio disponibile
e finalmente buttare via la chiave per sempre,
e il prete che mi cerca per farmi confessare
chissà quali delitti e depravazioni
e io invece che ci devo pensare proprio parecchio su
per trovare almeno il primo peccato possibile
che non faccia scoppiare a ridere
per la ruggine di tutti i miei bauli aperti da tempo
alla veduta davvero di tutti.
chi sono io?
non sono un cazzo di nessuno io,
se a pensarci mi viene così da ghignare
per i miei pantaloni
che mi porto addosso da sei mesi,
e le scarpe che se non sono del tutto sfondate
non riesco mica a buttarle via.
qui in questa soffitta dell'estrema periferia di Milano,
dove io davvero mi figuro di essere in Terra Santa
e tendo l'orecchio
caso mai Dio abbia da confidare qualcosa proprio a me
che ho la testa vacante
e l'anima balorda,
sia l'interno che all'esterno,
e tra queste mura di poveri
che hanno il fegato di vivere e essere felici
in una valigia di cartone
così stretta e squinternata.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO


L'UOMO CHE SI INCAZZA SEMPRE
(E QUALCHE VOLTA SCOPPIA A RIDERE
PER GLI STESSI IDENTICI MOTIVI)

ti incazzi forte certe volte, joseph, ma perché?
gli anni vanno
e anche tu t'arrampichi come un folle
su castelli così alti
che se poco poco guardi di sotto
ti sfracelli come un pollo da 4 soldi
che mai nessuno si sognerà di farselo arrosto.
ti incazzi pensando all'amore
preso come una cioccolatina al bar di sotto,
lavacesse agli ordini dei ricconi,
grattaevinci fasulli raschiati con un nichelino da 1 centesimo.
tutto fasullo, penso,
mentre il direttore della superlibreria
con la chierica del catechista
e gli occhialini dell'intellettuale,
lo zainetto sulle spalle dello studente fallito,
mi minaccia ancora una volta
ed è già la terza volta che mi manda i vigili urbani
a controllarmi i documenti e i permessi,
io vorrei aggredirlo quando se ne va a prendere la metrò
e buttarlo giù dalle scale,
e poi vederlo con gli occhialini rotti sul naso
e i commenti dei passeggeri attorno
a dirgli: "tò, che gran fesso!".
mi incazzo, con il mio letto tutto invaso di libri,
ma poi ci ripenso e son contento
di aver un letto fatto proprio così
e son sicuro che non ce l'ha proprio nessuno al mondo
perché forse nessuno è così povero come me
da dover dividere il letto nientemeno che con i libri.
"che matto!", penso e rido
a immaginarmi tutti gli operatori finanziari
che pensano che son loro addirittura che fan andare avanti
tutto il mondo
perché Dio ormai se lo son del tutto scordato.
e mi incazzo quando c'è il sole in città
perché vorrei essere in campagna a fare il contadino
e piantare la zucca e l'aglio
e le rose e gli ulivi
e la vigna dai bei riccioli verdi.
"son fottuto", penso e rido di nuovo,
non riuscirò mai più ad andarmene fora,
ma poi penso al mio grosso romanzo
e ai suoi ultimi capitoli,
dove attaccherò il ragno
e se mi capita pure il serpente,
e rido ancora.
e mi incazzo ancora a vedere
quei pupazzetti di Gesù con la testa così grande
vicini ai pupazzetti di Berlusconi
con la testa così grande pure lui
nelle vetrine delle edicole in piazza del Duomo.
e i santi e gli appestati,
i rivoltosi, fasulli pure loro,
che giocano alla causa nobile
e intanto curano l'ascensore della birreria
e le sigarette alla visione ancestrale
che non porta da nessuna parte
se non a una sbornia
a un raffreddore
e alla comprensione di un nulla
da smaltire svaccati su una poltrona, fasulla pure lei.
il cavallo di Sylvia Plath vola, cazzo,
con lei in groppa già morta asfissiata dal gas
con i suoi figli lasciati sul balcone,
e io mi incazzo
con la sigaretta di Alda
che le brucia il cuscino già in fiamme
e che rischia di mandarla a fuoco viva,
"Alda, il cuscino va a fuoco!"
"Ferma, ferma, joseph, la morte bisogna pur guardarla
qualche volta negli occhi
per capire davvero a fondo la vita.
Spegni ora, spegni pure il cuscino...".
mi incazzo
quando vedo tutti questi fantasmi attorno a me
e mi immagino qualcuno dietro la porta di casa mia
che mi attacca sullo stipite
una scritta un pò sciancata
che dice:
"ricordati sempre di quanto sei idiota"
e intanto mi ruba
tutto quel che mi spetta 
per i miei libri.
e rido
perchè davvero penso:
"cazzone, tu non lo immagini neanche
ma stai tutti i giorni lavorando per me
e per la mia matta poesia".
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO


GLI AMANTI IN VOLO

gli amanti in volo
son ricchi,
ricchi,
che guai possono mai avere?
nelle loro braccia tutti i colori del mondo,
si alzano come angeli,
tutto l'universo se lo bevono in un bicchiere.
poi si addormentano abbracciati
sempre in volo
felici,
come il più bel fiore di Dio.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

IL PROFETA SILENZIOSO

in un palazzone di periferia
un sogno si forma
e ti mette benzina nel tuo motore ormai
sul punto di fusarsi,
visioni di Terra Santa
si librano nell'aria, e ti fanno nuova la primavera,
la piazza di maggio già piena di canzoni,
sorrisi, bellezze, sospiri, elemosine, dispiaceri,
come gatti scacciati dal castello vicino,
che corrono attorno alle balle di paglia
e la mela verde grossa come una mongolfiera,
che m'importa di raccontar menzogne?
son qui certe volte 
come in un cimitero di anime morte,
i giorni e le notti che volano
trincando temporali ghiacciati
per la modica cifra 
di un giornale venduto al padrone. 
il vino scorre, la birra pure
le pizze se ne cadono nel piatto
come cappelli di ragazzi straniti.
pensate, signori, che di qui passano pure
tutti gli assassini, i gran ladroni al completo,
con i portafogli pieni di telefoni e prostitute,
John che dici? hai perso il Vangelo?
no, me l'ha rubato un ragazzino triste...
cerca, cerca, forse si trova sotto una colonna...
che fai? dubiti di te stesso?...
canta la piazza comunque nell'aria pazza di maggio,
chissà chi è là dietro la finestra del Comune,
un gatto scappa via in cantina,
a Milano c'è un profeta santo 
che predica in silenzio.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

venerdì 22 maggio 2015


DESCRIZIONE DI ME STESSO ALLA CHAGALL

sono in Italia
vado in giro in tram
ho 7 Bibbie tutte diverse che se ne vagabondano 
a conto loro per casa
le mie scarpe son sempre quelle sia d'inverno 
che d'estate
ho una barba da maniaco di fumetti
ogni notte vado sulla luna a cercare il mio senno
senza mai trovare un bel nulla
mai letto in vita mia il corriere della sera
mangio per intere settimane pane e pomodoro
sono fedele alla mia donna da 20 anni ormai
vorrei tatuarmi il mio nome in fronte caso mai mi perdo
non ho mai morsicato nessuno
dormo tranquillo tutte le notti 
perché non ho fatto mai del male a nessuno
sono un monaco metropolitano che si ubriaca raramente
ogni tanto vado sul tetto del mio palazzo 
a suonare la chitarra
se mi metto a correre vado davvero veloce
ballo piano e mi vengono i giramenti di testa
sono un gatto che non odia i cani, 
anzi che non odia proprio nessuno
ho fatto una volta l'assessore alla cultura al mio paese
e il mio programma era di dare tutti i soldi ai poveri
vivo bene di notte, di giorno mi arrangio
non ho mai capito Raskolnikov con l'accetta in mano
pianto alberi ogni volta che posso
scrivo poesie perché una volta me lo consigliò Baudelaire per scrivere meglio i miei romanzi.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

DUBBI, NEMICI E FOSCHE PARANOIE

che mai te ne fai 
di tutta quella massa infinita di dubbi?
ogni mattina ognuno
parte a far la guerra a qualcuno
che ancora forse manco sa che esiste,
il quartiere è così grosso,
qualcuno certamente si troverà
da mandare a fuoco,
tirargli una palla di pietra sul piede,
sferzarlo in faccia con un'occhiata omicida
senza tentennamenti.
andiamo in fretta,
di conigli è piena la città
che correranno via
appena vedono la nostra sigaretta accesa
penderci dalle labbra alla maniera dei gangster.
un nemico ci vuole 
altrimenti come faremmo mai a vivere?

anche una moglie va bene,
un figlio, un padre,
un cane, un gatto,
un cestino, una palla,
una strada sospetta.
un barattolo che non brilla sotto il sole.

io al mio tavolo di lavoro ho una lucina fioca,
e me ne sto quasi sempre in silenzio,
ma se mi vedo riflesso al vetro della finestra
me ne vado in paranoia,
mando segnali di fumo
ai miei amici indiani che mi vengano ad aiutare,
alzo la bandiera nera dei pirati
per chiamarli e andare all'arrembaggio
di quel figuro così strampalato e meschino
che mi fa così tanta paura.
vado a telefonare a qualche mio fido alleato
che mi porti almeno una pasta alla crema
e un caffè,
e così almeno un po' più in forze e rinfrancato
riesco a cambiare la lucina del tavolo
e qualche linea di febbre alla mia schizofrenia
mi va finalmente giù.
magari riesco pure a capire che quel nemico
così brutto e petulante sono io stesso
che mi credo il mio stesso fratello.
maledetti dubbi farabutti,
mi stanno proprio rovinando la vita.
fossi almeno più certo sui veri nemici
che mi fanno la guerra.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO
Giuseppe D'Ambrosio Angelillo, Piazza del Duomo di Milano
dicembre 2014




MEMORIA

si scrive da sola la vita sul mio tavolo
seconda memoria di quel che passa nel mio mondo,
in me tutti vedono la spavalderia, l'incoscienza, la pazzia,
e io le saluto come le mie più vere compagne,
baldanzosi velieri di sciatta poesia
ma pochi vedono la pena, il dolore, la malinconia,
gli specchi ustori sulle mura di siracusa.
pochi sanno quanto amaro è l'olio della lampada
dell'oscura speranza,
lungo le rotte assenti dell'infecondo mare,
la matematica rovente dell'assurda solitudine,
le dure fave del silenzio del saggio pitagora,
il vino pesante di dioniso lo squartato,
il bambino abbandonato a se stesso nella scuola senza più Dio.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO
Libri Acquaviva
a Piazza del Duomo
Milano

sabato 16 maggio 2015


LA CUCINA DI MIA MADRE

mia madre cucinava tutti i piatti contadini di Acquaviva
e li faceva sempre buonissimi,
mi chiedeva sempre: "Che vuoi per oggi, figlio?"
e sempre mi accontentava.
ma non aveva manco bisogno di chiedere
perché qualsiasi cosa mi cucinasse
a me mi piaceva tanto.
ora quella sua cucina manco esiste più,
altre ricette, altre visioni, altri almanacchi,
ma pure quando i miei figli ora
mi chiedono di cucinar loro qualcosa
io li accontento anche se fosse l'una di notte.
"un po' di patate fritte, papà",
oppure "mi fai una cotoletta, papà?".
io non ci penso due volte,
e qualsiasi cosa io stia facendo io mi interrompo
e vado a servire i miei figli.
se qualcuno mi vedesse mi prenderebbe 
sicuramente per un pazzo
o chissà per che cosa o chi,
ma io semplicemente mi ricordo di mia madre
e facendo esattamente come faceva lei con me
a me mi sembra,
è questo certo è da pazzi,
mi sembra di farla vivere ancora un po' anche adesso.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

CHIAMAMI QUANDO TI PASSA LA SBORNIA poesie

giuseppe d'ambrosio angelillo
CHIAMAMI 
QUANDO TI PASSA LA SBORNIA
poesie
Acquaviva

DOSTOEVSKIJ



IL POETA

chiunque tu sia sii quello buono,
che non ti venga voglia di cogliere
ciò che non ti spetta,
nel pieno dei fusti della foresta nera
non t'abbrancare al guitto che sragiona,
un ragazzo sei che s'arrampica sul tetto della scuola
che una volta il tuo maestro cancellò,
su quel tuo solito tram spacca il mattino
e tiragli in testa tutti i mattoni rotti dell'anima tua,
sulla lavagna poi scrivi il problema tuo risolto
rivoltalo a gabbano per tutta quella nafta
che non ti servirà mai,
accompagna a casa le filosofie che ami
e siediti nel loro giardino fiorito
a respirare un po' d'aria pura
e i profumi della primavera
che mai passa invano.
sei così bello tra tutti quegli altri
che non capiscono mai niente,
o almeno fanno finta che vada così,
ogni giardino di città ha la sua scuola
e la sua alta pedagogia,
basta guardarne l'innocenza del primo fiore
che ti capita sotto gli occhi,
le ragazze ti aspettano e tu non ne sai niente,
ti vuoi tenere fuori moda
con la tua mela delle tre grazie,
ti vuoi mantenere sempre pazzo
con i più arricciati grappoli del fido Dioniso,
ma parli e mai la smetti,
credi di essere un perdente
e invece sei solo un farfallone
che si sente a casa sua in qualsiasi quartiere
della tua città così piena di sole,
così piena di alberi fioriti.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

venerdì 15 maggio 2015

LEONARDO A MILANO Acquaviva

" e so che infiniti ce n'è,
che per soddisfare a uno suo appetito
ruinerebbero Iddio con tutto l'universo".
LEONARDO


LEONARDO A MILANO
aneddoti, raccontini, facezie
(a cura di Giuseppe D'Ambrosio Angelillo)
ACQUAVIVA

giovedì 14 maggio 2015

REDUCI DAL FRONTE DELLA BELLEZZA poesie di Giuseppe D'Ambrosio Angelillo


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Giuseppe D'Ambrosio Angelillo,
romanziere italiano.
Giuseppe D'Ambrosio Angelillo,
contadino ad Acquaviva delle Fonti,
inverno 1983
Giuseppe D'Ambrosio Angelillo, filosofo pazzo
Giuseppe D'Ambrosio Angelillo e Marc Chagall,
Milano, primavera 1978
Giuseppe D'Ambrosio Angelillo
Riassunto del Mondo
Acquaviva
Giuseppe D'Ambrosio Angelillo, 
contadino ad Acquaviva delle Fonti
inverno 1983
Giuseppe D'Ambrosio Angelillo con Aldo Monticelli, poeta del Naviglio,
e Alexx Gualdon,
Naviglio Grande
marzo 2014
Giuseppe D'Ambrosio Angelillo,
Bosco dei Poeti di Verona,
marzo 2005
Giuseppe D'Ambrosio Angelillo,
al Bosco dei Poeti di Verona,
marzo 2005
Giuseppe D'Ambrosio Angelillo,
con la sua bancarella di Libri Acquaviva
in Piazza del Duomo di Milano,
ottobre 2014.
(foto di Ligabue)
Giuseppe D'Ambrosio Angelillo,
davanti al Libraccio del Naviglio Grande
durante un Mercatone,
marzo 2015
Giuseppe D'Ambrosio Angelillo,
foto di Blanche, una ragazza francese,
fatta dopo aver comprato il mio romanzo "Il Professore di Filosofia".
Piazza del Duomo di Milano
aprile 2015
Giuseppe D'Ambrosio Angelillo
in compagnia di Kazantnev, professore di economia all'Università di Mosca,
dopo aver discusso tantissimo di Dostoevskij in inglese.
ottobre 2014
Piazza del Duomo di Milano