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giovedì 30 giugno 2011

LA SAGGEZZA DELLA TERRA E LA FOLLIA DEL DENARO racconto contadino di gd angelillo

C'era una volta ad Acquaviva un contadino salace di nome Pagghialonga (Paglialunga), detto così perché sapeva prevedere se il raccolto del grano sarebbe stato buono o cattivo. Infatti diceva: "Pagghia longa spica vacante, pagghia corta spica chiena", cioè: "Paglia lunga spiga vuota, paglia corta spiga piena" e di qui il suo soprannome (ogni contadino ad Acquaviva ne ha uno suo tutto particolare, e quasi sempre è più importante del vero cognome, molte volte se dici solo il cognome manco si riconoscono tra di loro).
Così una volta ebbero a ragionare Pagghialonga e Don Brichicco, un altro contadino in parecchia confidenza con l'arte sapienzale dell'intera nazione:
"La follia aumenta ormai a ogni giorno che il buon Dio manda su questo mondo di malvagi", disse in modo grave Pagghialonga.
"E la cosa più terribile è che noi contadini non ci possiamo fare proprio niente", disse in maniera non meno grave Don Prichicco.
"Infatti cosa possiamo mai fare noi poveri  contadini se tutto il resto della nazione ha deciso di buttarsi anima e corpo fra le braccia di tutta questa follia collettiva?", disse, scuro in volto, Pagghialonga.
"Tutto il popolo infatti non è altro che un unico e solo malato di testa ormai", disse scuro in volto anche lui Don Prichicco.
"Già, ormai gli uomini hanno deciso un pò tutti  da parecchio tempo di mettersi a raccogliere denaro invece che grano, non passerà ormai tanto tempo, di questo passo, che moriremo tutti di fame, logica conclusione di tutta questa lurida follia", disse Pagghialonga, con alquanta malcelata rabbia.
"Che si può mai fare, compare mio?", fece allora Don Prichicco, con un lampo di speranza negli occhi per le grandi capacità profetiche del suo amico.
"Che possiamo mai fare, compare? Continuare almeno noi a seminare e a raccogliere il grano. Il denaro è del demonio, il grano è di Cristo. Gli uomini di tutta la nazione saranno tutti rovinati un giorno se continueranno a seguire il diavolo e la loro insana follia. Altro che soldi!, la fame raccoglieranno un giorno se continueranno a seguire i satana dell'economia mondiale. E allora saranno costretti a tornare da noi contadini che coltiviamo la terra senza guadagnarci mai un centesimo, ma con la saggezza di Cristo che dice che anche il tempo della follia del denaro un giorno finirà e di tutto questo tempio faraonico non resterà pietra su pietra, e gli uomini saranno costretti a rinsavire dalle disgrazie  che con le loro stesse mani si stanno tirando addosso. E allora sarà buono che troveranno ancora una volta noi poveri contadini che non avremo mai tradito né Cristo e né la nostra cara madre terra, che a tutti, nessuno escluso, ci sfama e ci fa vivere. E troveranno da noi il grano e la farina che non mancherà molto varranno molto di più di tutti quanti i loro sterili ammassi di soldi bastardi". 
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO
Contadini e squattrinati,
racconti
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mercoledì 29 giugno 2011

Caro Alessandro De Chirico, amico di google e tentato dalla musa,

 cosa ci sarebbe da ridire se un giovane sceglie la poesia? nulla, tanto se ne fregano un pò tutti.
il cuore è sempre l'ultima ruota del carro, prima vengono sempre le bistecche, le melanzane, i dolcetti, il caffè persino. per non parlare del taccuino della carriera e il portafoglio. la rogna del sentimento, se è possibile, se la vogliono scansare un pò tutti. c'è sempre prima la birra, la serata al pub e la gita in montagna. per sfuggire con tutto se stessi alla poesia molti preferiscono affondare nella palude quotidiana dei fatti così importanti che fra due o tre giorni non si ricorderà più nessuno. io son venuto su con la passione e non credo per questo di essere meglio o peggio di qualsiasi altro, secondo la regola generale dovrei essere uno dei peggiori, ma me ne frego, son me stesso e vado avanti sempre a piedi, con il tram numero 2, dicono a milano. chi mi apprezza e chi mi disprezza, non c'è scampo a questo destino, credo un pò per tutti gli uomini, qualsiasi cosa facciano o dicano, e allora? se a qualcuno piacciono i miei libri se li prende, se a qualcuno non gli piacciono, niente di male, prima o poi passerà qualche altro che se li prenderà al suo posto. perchè arrabbiarsi per così poco? io non ci vedo proprio il motivo. molti di noi si guardano in faccia per una volta soltanto e poi non si ritrovano mai più, c'è chi ci lascia più ricchi e c'è chi ci lascia più poveri, perchè menarsela su qualcosa su cui noi non abbiamo assolutamente potere? solo su una persona abbiamo veramente potere: su noi stessi, e allora se siamo chiamati dalla poesia (la famosa vocazione) spetta solo a noi rispondergli, che c'entrano gli altri? io per conto mio mi sento abbastanza a disagio quando qualcuno mi dice che ho scritto una bella poesia (ebbene sì capita pure a me) e resto anche abbastanza freddo e indifferente quando qualcuno dice che ho scritto una schifezza, è una sfera, il giudizio degli altri, in cui non ho competenza nè influenza (nessuno di noi ce l'ha per davvero, nemmeno il più famoso critico immaginabile). io semplicemente scrivo perchè mi vengono in mente (e nel cuore) delle cose da scrivere e poi le metto in giro ben sapendo che qualcuno cercherà di travolgerle con la sua motoretta di risentito (da cosa, come potrò mai saperlo?) e qualcuno se le porterà a casa come un dono prezioso (per quale motivo, non lo saprò mai lo stesso). forse è proprio questa la grande magia della poesia: la possibilità concreta di mettere in comune la nostra esistenza, bella o brutta che sia. ma i risultati non saranno mai accertati o tantomeno certi, questo per me per ovvi motivi. per il resto io credo seriamente che il poeta, e più in generale l'artista, sia come una specie di monaco zen assolutamente solitario nello sterminato mondo degli uomini. ogni poeta per seguire la sua vocazione si ritira in una specie di eremo individuale che è la solitudine, per scendere ogni tanto in città a chiedere in elemosina la sua misera ciotola di riso a coloro che nella loro sensibilità sanno e capiscono che lui è estremamente necessario a tutta la comunità. perchè? perchè perseguendo in solitudine le leggi del suo cuore mostra ancora a tutti la sua briciola di verità, altrimenti, per tutto il resto delle ragioni per cui gli uomini si arrabattono quotidianamente, sarebbe destinata per necessità di cose a sparire letteralmente dalla città. certo per il poeta c'è un destino di incuria, di povertà, di abbandono ma io non ho mai sentito in giro che qualcuno di loro avesse mai desiderato di scambiare la sua vita di grande libertà e creazione anche se di immenso sacrificio per quella di qualsiasi altro...
e con questo non so se ho risposto alla tua lettera o ho risposto a me stesso ma comunque qualcosa ho scritto.
tanti cari saluti
giuseppe d'ambrosio angelillo
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martedì 28 giugno 2011

BELLA poesia di gd angelillo

bella,
donami sguardi che mi facciano di nuovo sorridere
io che amo senza mai dire niente
se non il lungo silenzio
retaggio di chissà quale antica paura.
è sempre stata un essere notturno la mia anima
e nell'oscuro cerca i suoi colori
e i suoi giardini...
sono navi di pirati piene di tesori trafugati in ogni dove
i miei pensieri d'amore
che affrontano tempeste d'alto mare
senza tema di perdere tutto,
di andare alla battaglia
senza cannoni da caricare.
i sogni sono vita che soffia purezza
in questo squilibrio di stelle in caduta libera,
ma la notte non la trapassa nessuno
se non la paura che vuole vincersi.
io a volte parlo soltanto scrivendo assurde invenzioni 
e questa è la mia pena
e la mia esaltazione a un tempo.
ma nel mio silenzio totale
anche una sola parola d'amore brilla
come una perla tra misere pietruzze grigie,
come il sole all'alba
dopo la solita notte buia e tenebrosa.
GD ANGELILLO
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domenica 26 giugno 2011

Dino Campana LA PICCOLA PASSEGGIATA DEL POETA poesie ACQUAVIVA

"Cominciai a viaggiare.
Sissignore, viaggiavo molto.
Ero spinto da una specie di mania
di vagabondaggio. Una specie di instabilità
mi spingeva a cambiare continuamente".
DINO CAMPANA
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Liriche orfiche di un grande della Poesia Italiana
del Novecento: Dino Campana.
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Francesco Cecchetti MA AL PAPA PIACCIONO I BEATLES? poesie ACQUAVIVA

"Dalle necessità della vita tu devi rifugiarti nei santi tranquilli recessi del cuore! La libertà è soltanto nel regno dei sogni e il bello fiorisce soltanto nel canto"
SCHILLER
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sabato 25 giugno 2011

DENTRO IL FILM DI NEW YORK di gd angelillo

C'è un film di New York dove ci siamo tutti. Quel film è una grande metropoli mondiale che si chiama Speranza. E' qualcosa di abbastanza onirico e surreale ma allo stesso tempo molto concreto. Tutto lascia pensare che ci sia al mondo qualcosa che si chiama Anima Universale. Qualcosa di sospeso tra essere e sogno, tra realtà e fantasia, tra presente e eternità, tra costruibile e incostruibile. Una unità grandiosa dove per una volta è abolito il conflitto e instaurata come per miracolo l'armonia.
Tutto questo per sporadici momenti è visionabile a New York. E' come l'apparizione della grande Poesia dell'intera umanità. Pubblicità, arte, folla, milioni di facce, metropolitane infinite, alberghi, boschi, fate, follie... Il complesso molteplice del nostro tempo. Idee, fumetti, bambini geniali. Pittori, romanzieri, filosofi, architetti, registi. La Poesia non è solo cielo, è soprattutto terra. Acqua, fuoco, corsa senza fine. Tutto è Poesia, soprattutto la vita. Dal nulla si può ricavare solo un silenzioso deserto. Giornali, parlate, libri. 
Il quadro di New York è il film di tutti i nostri film. Impossibile non vederci anche noi stessi dentro. Un film che genera in continuazione altri nuovi bellissimi film. L'arte di tutte le arti. Destino, caos, produzione industriale di tutti i giocattoli mondiali. L'arte che diventa la stessa cosa che la vita. Anche il male ha il suo giusto film a New York, si riconosce come nel diario di un ragazzetto. In un mondo metropolitano dove si trova praticamente tutto anche l'assurdo ritrova la sua poesia, cioè il suo latente significato. Città metafisica per eccellenza, per rigore, per organizzazione. L'America ha qui la sua porta d'ingresso sul mondo e mostra subito il particolarissimo documento d'identità: la Libertà. 

venerdì 24 giugno 2011

L'OSCURO DEMIURGO MONDIALE di gd angelillo

l'ho girato una volta l'intero mediterraneo andando da un muro di mattoni a una vetrina di sorrisi di ragazze abbronzate e allegre, questo cosmo viaggiante dove siamo imbarcati più o meno tutti facendo foto alle meraviglie e credendo di toccare tutta l'umanità ci accorgiamo stupiti che forse andiamo avanti solo a abitudini, e ce ne facciamo comodi e caldi cappotti anche in pieno sole, e sotto c'è la notte del nostro mistero che somiglia a un ammasso stellare di dubbia origine, e non ci aiuta l'arte nè la fede, e solo perchè forse non c'è proprio niente da risolvere. tutto quello che non accettiamo dopotutto è solo il fatto che siamo stupidi, e anche molto fragili.
cielo nuvoloso di giugno di un fiacco pomeriggio, piove da tempo e in città l'erba di Whitman e gli alberi di Prevert stanno molto bene. le vie son piene dei soliti bastardi e le botteghe son piene di mostri. bisogna saper scansarsi per evitare i guai e le rogne che ti preparano gli altri solo a vederti. il grande palazzo di cristallo dove dicono che la coscienza è 2 + 2 = 4  è satura di affari commerciali sul vuoto pneumatico del presente. è un palazzo ingozzato di miliardi e che si succhia pure tutte le nostre più povere cose. le squadre degli oscuri specialisti della manutenzione pitturano di giallo la borsa di londra e sprangano le porte al futuro dei giovani. i film di hollywood sono al solito sfavillanti. gli attori recitano con uno specchio davanti e imitano    
la vita che si guarda per sempre alle spalle. ma non ci sono mobilitazioni in giro. tutto funziona perfettamente, anche se qualche voragine si apre solo in periferia. ma la facciata del palazzo di cristallo è impeccabile, lavata e tirata a lustro nonostante gli ultimi quadri di assurda vernice rossa messi su da migliaia di pittori pazzi. qualche mendicante sul marciapiede non distoglie dalla grande armonia dell'insieme. tutti possono convenire con molta facilità che l'oscuro demiurgo mondiale è praticamente un genio.
GD ANGELILLO
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CHIARO DI LUNA poesia di gd angelillo

adsad sfsskj dfòs wieut yoòà
CHE CI CAPITE ?
SE QUALCUNO VI HA SEDOTTO
 TUTTO
anche se somiglia un pò troppo al niente.
i giorni sono questi
e dietro l'angolo c'è già il primo vento di tempesta.
che farci se la mente è tutta allenata per l'illusione?
la vita è una sbornia
che non ci fa capire troppo a tempo debito.
il tempo è quello che è
e già ci sono attorno per menarci appena possibile.
io per conto mio mi corazzo per la disfatta,
già chi sarebbe dovuto arrivare in nostro aiuto
s'è seduto sullo scranno in combutta con il nemico.
non c'è da fidarsi più di nessuno.
ci seducono con 4 balle
e ci conducono schiavi a chicchessia,
non ci spaventa il nostro dolore
e ci possono spaventare gli altri?
non c'è niente per noi
se non quello che riusciamo a procurarci da soli.
chi ci doveva portare conforto
s'è fermato all'albergo di prima classe
pagato profumatamente dal solito riccone bollito,
la disfatta per noi è già garantita
perchè dicono che la forza è smarrita,
noi comunque siamo smarriti se ci perdiamo da soli.
loro sono così tranquilli intanto
per tutto il nostro sconforto.
se vi fate sedurre dalle fole a bandiere
sarà notte e crederete nel mattino,
sarà mattino ma vi diranno che non è ancora arrivato 
il vostro turno.
il turno del perenne illuso
è solo una inevitabile disfatta.
GD ANGELILLO
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giovedì 23 giugno 2011

UNA NAVE NELLA PIOGGIA poesia di gd angelillo

Sui marciapiedi di una città,
di una città che posso dire di non conoscere per niente,
va il mio sogno d'amore,
immacolato come sempre:
sembra una luna bianchissima
su un mare nero come il petrolio:
la mia donna,
la mia bionda con i capelli splendenti
come l'estate
cominciata appena ieri.
In tram la seguono poi la massa delle stelle
con il furioso vorticare di tutte le comete
e dei pianeti variopinti.
La follia del traffico quotidiano
come al solito non si accorge mai di niente,
nemmeno se venisse di nuovo Dio
a portare la salvazione per tutti.
Tutti a comprare i giornali
per sapere se i servi fanno l'occhiolino al padrone
o se la cameriera straniera ha pulito alla perfezione
la tazza del thè,
ma lo spruzzo di luci dell'intera galassia
orna l'intero mio sognare
come il velo della mia sposa.
Io, come al solito da bambino,
mi porto di peso addosso il grande veliero delle mie visioni,
torno a riva come d'abitudine
a raccontare le fatiche dei miei violini insonni,
non sarò mai sul tetto a sognare un bosco nella mia vita,
io sono sempre per mare,
anche se piove soltanto.
Io sono sempre in viaggio
anche se sono costretto per forza di cose
a portarmi sulle spalle la bianca velatura
di questa mia bella nave d'amore,
bella come la luna
su questi marciapiedi ignoti
bagnati di freddo, di malinconia,
di ottuse coscienze che stanno in piedi soltanto a caffè.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO
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passaparola

martedì 21 giugno 2011

IL PANZIERE racconto contadino di gd angelillo

C'era una volta ad Acquaviva un contadino che chiamavano il Panziere, perchè si mangiava sempre i frutti più buoni e belli che la campagna donava a quegli sciagurati che di solito si autodefiniscono uomini. Tutti i frutti erano buoni ma quelli che si mangiava il Panziere erano immancabilmente più buoni di tutti.
"Come dannazione fai, Panziere? Di certo ci avrai un trucco con il tuo campo", gli disse una volta Squagliasifo, un suo amico contadino.
"Il mio trucco è la notte", disse il Panziere, sicuro di sè.
"Come? Che dici?"
"Ti farò vedere, ma tu mi devi promettere sulla tua stessa pelle che non dirai mai niente a nessuno".
"Promesso".
Così quella notte stessa il Panziere portò Squagliasifo sul suo campo. I suoi alberi erano tutti frondosi perchè mai potati. E nel pieno delle loro fronde Panziere mostrò dei panieri pieni di ogni ben di Dio. Mandorle, pesche, ciliege, albicocche, pere, mele vernine, mancava solo l'ambrosia degli dei.
"Ma chi ti porta fin qui tutto questo ben di Dio?", chiese sbalordito Squagliasifo.
"Io stesso. Di notte giro in lungo e in largo la campagna dell'intero paese e raccolgo solo i frutti più buoni e porto tutto qua. Poi di giorno vengo nel mio campo e raccolgo", disse tutto compiaciuto il Panziere.
Il suo amico Squagliasifo rimase di stucco con la bocca aperta senza essere capace di dire alcunchè.
E allora il Panziere disse:
"E' o non è la frutta migliore di tutte le campagne del paese?"
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO
.
P.S. il "Panziere" è chi ama senza ritegno solo la sua panza (pancia). "Squagliasifo" è "sciogligrasso", chi gli piace sapere tutto per poi vantarsene in giro.
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lunedì 20 giugno 2011

IL MIO CARO EDITORE E' TUTTO QUANTO UN INTERO PAESE di gd angelillo (raccontino con foto)

Ho cominciato a pubblicarmi da solo i miei libri fin dal'età di 17 anni con fotocopie e ciclostile, racconti e poesie che per la maggior parte ho pure perduto nei miei  mille traslochi a Milano: e mettevo all'ultima pagina il nome del mio paese, Acquaviva. A Milano poi cercai parecchi editori per pubblicarmi i miei primi romanzi, ma nisba non ne volevano proprio sapere di me, e allora pensai: "Ma andatevene pure a quel vostro famoso paese che io mi tengo caro il mio". E era triste per me in copertina non mettere nessun editore e così mi venne in mente di mettere non solo all'ultima pagina ma pure sulla prima "Acquaviva", e fu così che feci diventare editore tutto quanto il mio paese, il mio caro paese dove son nato pieno di contadini buzzurri (tra i quali io per primo) e di giramondi più furbi che 4 volpi.
Cara mia Acquaviva, ti porto sempre nel profondo del mio cuore anche se certe volte mi vado a perdere nei vicoli più neri o nei viali più splendenti di New York, di Londra o di Berlino.
gd angelillo
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(foto mia ad Acquaviva, dell'aprile 2011, fatta dal mio figliolo Angelico di 7 anni)
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LO STUDENTE DI FILOSOFIA di gd angelillo (raccontino con foto)

Una volta prestai a un mio amico all'università 1o.ooo lire.
Dopo tanto tempo capitando l'occasione gli dissi:
"Ma te non li restituisci mai i soldi che ti prestano?"
E lui mi rispose serafico:
"Ma non sono mica uno studente di filosofia io!"
E se ne andò via tranquillo e con la coscienza perfettamente a posto.
Lui studiava scienze dell'alimentazione.
gd angelillo
.
(foto mia del maggio 2011, autoritratto nel mio bunker fatto di libri)
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venerdì 17 giugno 2011

UN ANGOLO DI NEW YORK di gd angelillo

Dostoevskij andò una volta a New York e ci trovò un fiume che chissà perchè gli ricordava la Terra Santa. Ci scrisse la seconda parte dei KARAMAZOV ma se la scordò in una bottega di giocattoli per bambini nella Quarantaduesima Strada. Gli piaceva tutto dell'America e specialmente i libri dove non si capiva niente, le luci elettriche, i quadri dei poeti poveri, le riviste culturali anche con un solo errore di sintassi e Giobbe.
Dostoevskij era ancora giovane, infatti per tutta la sua vita ebbe sempre 22 anni, anche quando era a New York, e nella Quarantatreesima Strada scrisse la terza parte dei KARAMAZOV e gliela regalò a un mendicante nero cieco che cantava un blues. Quello aveva freddo e la bruciò la notte stessa in un bidone per riscaldarsi un pò. 
In un angolo di New York c'è una scarpa abbandonata di Dostoevskij ma nessuno l'ha ancora scoperta. Tranne Re David.
GD ANGELILLO
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sogni di new york



giovedì 16 giugno 2011

LA VACCA racconto contadino di gd angelillo

Una volta un contadino, un certo Talione di Acquaviva, se ne andava in campagna portandosi dietro la sua vacca, una certa Nerina. Quando a un tratto vide pararsi davanti a sè tre volponi: uno era il sindaco, l'altro era l'assessore e l'altro ancora era il guardiano delle tasse.
"Ci devi dare un terzo della vacca perchè il paese è in forte debito e se non pagano tutti se ne va in fallimento", disse il sindaco, un certo Rubalardo.
"Io sono già fallito ma nessuno se ne preoccupa, specialmente quelli del mio paese", disse Talione.
"Lascia stare le storie dei balordi, mi devi dare un terzo della vacca perchè mi mancano i soldi per mettere la catrame alle strade", disse l'assessore, un certo Mangiapagnotte.
"E che mi serve la catrame sulla strada a me che ci vado a piedi nei campi?", disse il contadino.
"Non trovare scuse da buzzurro e da arretrato quale sei, mi devi dare l'altro terzo della vacca perchè i figli dei ricchi vogliono essere pagati l'università in America", disse il guardiano delle tasse, un certo Spelacentesimo.
"Ma i miei figli non hanno preso nemmeno la licenza elementare, che c'entro io?", disse il contadino.
"Non trovare scuse della malora, dacci la vacca e non ne parliamo più", dissero allora i tre volponi e si presero la corda che la vacca teneva legata al collo per portarsela via.
"Ehi!", disse allora Talione il contadino, un pò rassegnato.
"Che c'è?", chiesero quelli.
"Avanzano le corna, chi se le prende?", chiese il contadino.
"A te certo non ti servono", dissero i tre, alquanto stizziti.
"E certo che vi servono a voi che davvero tutti e tre siete dei gran cornuti", disse allora Taliano.
"Che vuoi dire, cafone?", dissero quelli e stavano per inalberarsi.
"Niente, che siete certo più decorati voi uomini del governo che non un povero contadino che non conta niente", disse Talione.
Quelli presero la vacca, la povera Nerina, e se la portarono via senza dire più niente, per divorasela loro da perfetti volponi quali erano e non certo per fare tutte le dannate cose che avevano detto.
Il povero contadino se ne rimase come un truzzo sulla strada che non sapeva più chi portare a pascolare sui campi, se la sua rabbia o la sua maledizione.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO
Contadini e squattrinati,
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martedì 14 giugno 2011

UN BICCHIERE DI VINO racconto contadino di gd angelillo

C'era una volta ad Acquaviva un vecchio contadino di nome Coppone. Aveva faticato tutta la vita nei campi e aveva dato alla fine tutto alle figlie. E in conclusione viveva da una di loro, la più arcigna e rausa. A ogni pasto il vecchio Coppone chiedeva :
"Figlia, un bicchiere di vino".
"Non ce n'è", diceva arrabbiata la figlia. "Figurati se consumo un bicchiere di vino per un vecchio zarro come te".
E Coppone sconsolato commentava:
"Ho faticato tutta la vita nei campi tra le vigne a fare vino e ora che son vecchio non son ritenuto degno nemmeno di un bicchiere di vino".
Nel pomeriggio il vecchio usciva e andava alla cantina e là chiedeva:
"Oste, un bicchiere di vino".
E l'oste, il vecchio Bellino, gli diceva:
"Coppone, un bicchiere di vino soltanto? Due, tre, tutti i bicchieri di vino che vuoi. Quando eri giovane mi hai portato tanto di quel vino che ora ti meriti tutti i bicchieri che vuoi".
E il vecchio Coppone beveva contento e poi diceva:
"Nella vita, se hai fatto del bene, ti vogliono più rispetto gli estranei che i parenti".
"Perchè dici questo?"
"Mia figlia, quella disgraziata, non mi ritiene degno nemmeno di un bicchiere di vino, dopo tutto il bene che le ho fatto. Per me con lei è come se avessi arato per tutta la vita in mezzo al mare".
"Figlie? E' meglio avere fiche sull'albero che figlie in casa per un contadino", gli disse Bellino.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO
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venerdì 10 giugno 2011

IL SOGNO DELL'AMORE di gd angelillo

l'amore che ama forse non ne sa nulla
che quel piccolo cane che si azzarda a scappare
è figlio dell'anima che se ne vuole restare sempre sola
perchè le piace tradire
e accontentarsi di un ipocrita giornale
dove dicono che lo spettacolo è regale
e invece non è altro che il misero modo di vivere
dei pazzi
che come ragni vogliono prede
e dell'amore non sanno proprio che farsene.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO
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lunedì 6 giugno 2011

CHARLOT di gd angelillo

Quando ero a Londra andavo sempre a sedermi nei momenti liberi sotto la statua di Charlie Chaplin in Leicester Square. Era una piazza piccolina e anche la statua era minuta così come credo fosse stato lui anche in vita. Andavo là e sedevo sotto di lui. Questo semplice gesto mi faceva sentire meno solo, in una città così maestosamente sterminata come Londra. C'erano lì in quella piazza quasi sempre degli irlandesi, i polacchi, e solo raramente qualche italiano. Venivano lì quasi tutti per lo stesso mio motivo, per sentirsi meno soli a Londra in compagnia di Charlot, l'omino delle comiche.
Questo mi fece pensare qualche volta che Charlot non fosse stato solo un comico nella sua prolifica vita, ma che tra le altre cose fosse stato anche un pò filosofo. La sua capacità di far ridere anche con la sua infinita malinconia io l'ho trovata sempre fonte di una sua grande intima sapienza delle cose, sapienza che si manifestava semplicemente con la sua mimica inarrivabile, senza bisogno di nessuna parola, per questo io lo consideravo un pensatore superiore, cosa che tra l'altro non ho confessato mai a nessuno, per tema di essere preso, oltre quel che già mi considerano, per un pazzo in vena di castronerie come tante altre, così ho sempre taciuto su questo sottile e complicato argomento.
Lì una volta me ne stavo con una mia borsona piena di libri, libri usati e di poco conto che avevo acquistato con poche sterline nelle miriadi di librerie piccole e grandi della vicina Charing Cross Road.
Gli uccelletti svolazzavano intorno alle briciole del mio panino ungherese comprato da un chiosco vicino e io me ne stavo lì tranquillo a pensare dove mai avrei potuto nascondere quella borsa per me così preziosa nella casa occupata di Observatory Gardens dove abitavo in compagnia di spacciatori slavi, ubriaconi rumeni e impiegate australiane, di giorno così compite e di notte così sballone. Poco male, l'avrei seppellita sotto i mucchi di immondizia che si accumulavano a pian terreno, in un salone enorme, con un tanfo terribile. Lì non andava a ravanare nessuno per rubare al prossimo le sue povere cose. La spazzatura si accumulava in quel posto, perchè tutti si era così pigri e fuori di testa di ritenere fin troppo pesante andare fino ai cassoni comunali in fondo alla strada per buttare i propri lerci rifiuti, e poichè tutti facevano così ognuno era autorizzato a comportarsi allo stesso modo, cioè peggio che un porco. Ma si era a Londra, nessuno era inglese (in quella casa occupata) e ognuno faceva quel che gli pareva, senza mai dover render conto a nessuno. Così mentre ero immerso nei miei più o meno foschi pensieri ecco che sento dire in un inglese rabberciato e stralunato, più o meno come era il mio:
"Sto per tornare in Polonia".
Mi giro e ce l'aveva proprio con me. Un polacco male in arnese, vestito alla meglio, le occhiaie infossate, il fiato puzzolente degli alcolizzati cronici.
"Beh, prima o poi ce ne dobbiamo tornare tutti a casuccia, mamma Inghilterra non è che sprizzi tanta gioia a vederci tutti qui", gli avevo risposto allora io.
"Già, d'altronde il vino fà schifo da dare al vomito, sembra piuttosto una coca-cola rancida e sciroppata", mi dice lui con una smorfia di chi sapeva quel che diceva perchè da molti anni nel ramo.
"Infatti, in Inghilterra puoi bere birra ma mai e poi mai vino", avevo confermato io.
"E tu dove te ne vai quando mamma Inghilterra si sarà stufata pure di te?"
"In Italia".
"Ah!"
"Che c'è? Non sai dov'è?"
La sua faccia già poco simpatica si era rabbuiata di brutto, e questo  non è che giovasse eccessivamente alla sua già precaria e traballante estetica.
"No, è per il fatto che lì siete pieni di fascisti".
"Una volta era così, ma è un bel pò che le cose sono notevolmente migliorate".
"Dici? Io non mi fido mica".
E vedo che mi squadra da cima a fondo, come se cercasse da qualche mio particolare, vestito o lineamento, una prova che io fossi o no un fascista. Avevo indosso un maglioncino nero e questo lo mise parecchio in allarme.
"Sei un fascista o un antifascista?", mi chiese allora con un profondo e turbato sospiro.
"Mussolini è già mezzo secolo che è morto", gli dissi io lapidario.
Questo non è che lo confortò più di tanto.
"E lo voglio ben credere, cazzo!", esclamò lui agitandosi tutto.
"Fascismo, antifascismo, non è che sia una situazione molto allegra anche questa", dissi io in maniera, ammetto, anche un pò enigmatica.
Era questa la vera faccenda per cui a me andava sempre poco di parlare con gli altri, devi sempre spiegare la rava e la fava, e se non prendi la questione da quando Adamo ed Eva si mangiarono la mela del peccato c'è ben poco da farsi capire, o anche solo sperarlo. Tanti discorsi sottintesi che è impossibile affrontare in una sola botta e ecco allora il rischio tutto vero di prendere lucciole per lanterne, fischi per fiaschi e poi fascisti per antifascisti, come in questo caso. Per me la questione l'aveva risolta una volta per tutte Curzio Malaparte una volta dicendo: "Mussolini è morto, e il fascismo è morto con lui, d'ora in avanti chi  vorrà fare il fascista o l'antifascista se ne starà per tutto il tempo abbracciato o a lottare con un cadavere", anche per me era così, ma vai a spiegare tutti i 300.000 studi e pensieri che hai fatto tu in tanti anni in una mezz'ora di discorso fatto per forza di cose alla buona.
"C'è davvero molto poco da stare allegri con una guerra mondiale persa da voi italiani ma praticamente vinta perchè ora ve state con gli inglesi, e invece vinta da noi polacchi e praticamente persa perchè siamo rimasti soli come dei cani, abbandonati anche dai nostri cari alleati inglesi", disse lui amaramente.
"In guerra come in pace ci vuole sempre una bella dose di fortuna", dissi io capendo molto bene il suo punto di vista.
"Una grande fortuna", rettificò lui con alquanta mestizia.
"Comunque se il fascismo ha perso, ciò significa che hanno vinto anche gli italiani", dissi io
Il polacco strabuzzò gli occhi:
"COSA CAZZO DICI?!", urlò nel suo inglese pietoso.
Io sospirai, e rinunciai a chiarire il mio modo di vedere. Discorsi troppo lunghi, treni e treni di parole da mettere in fila con logica e decoro, ma chi è quel matto che si mette in testa di farsi capire per filo e per segno dal suo prossimo? Io ci avevo rinunciato da tempo ormai, molto tempo prima di incontrare il polacco che avevo seduto accanto a me. E così pensai che davvero Charlot era un grande pensatore se riusciva senza dire mai niente a farsi capire così bene da milioni e milioni di persone, facendole ridere a crepapelle per giunta.
Così raccattai la mia borsa piena di libri di poco conto e mi alzai.
"Vieni che ti offro un bicchiere di buon vino italiano a quella pizzeria all'angolo", gli dissi e indicai con lo sguardo un locale dove servivano davvero tutte cose che arrivavano direttamente dall'Italia.
"Quando perderete la prossima guerra mondiale, ma questa volta per davvero", disse con una punta di disprezzo il polacco.
"Rifiutare un dono di Dioniso non ti porterà bene", gli dissi allora io.
Ma quello non capì niente, e vallo a spiegare chi è e cosa fa Dioniso e perchè non si può offenderlo (il Dio non me naturalmente) e via discorrendo, a un alcolizzato poi, certo che se rinunciava a un buon bicchiere di vino aveva non pochi motivi di astio nei confronti degli italiani, vattelappesca quali, forse molto semplicemente li avevamo battuti da poco a pallone, ma io certo non me lo ricordavo, lui evidentemente molto bene ancora.
E così mi avviai a piedi verso Observatory Gardens con i miei pensieri come al solito più o meno foschi, e il bello era che a casa mi aspettavano una folla di spacciatori serbi, malviventi greci, ballerine neozelandesi sballate sia di giorno che di notte. E poi quel gran salone a piano terra pieno di spazzatura puzzolente e di un mare di giornalacci pornografici inglesi pieni zeppi di annunci erotici tutti rigorosamente sadomaso.
Grande nobilissimo Charlot, che non parlava mai ma che riusciva lo stesso a farci tutti così allegri con il suo sguardo così profondamente sapiente e umano.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO,
PAINTING LONDON WITH YELLOW COLOURS
romanzo
(capitolo 7)
http://www.dambrosioangelillo.it/
http://www.libriacquaviva.org/
http://www.books.google.com/

GLI AMANTI di gd angelillo

gli amanti,
due persone note anche alle gazzette dei folli,
pericolose anche a guardarsi,
due menti affette da una strana malattia
con pochissimi rimedi, anzi nessuno,
due cuori strampalati
che invece di correre a produrre salami
stan lì a strusciarsi senza far niente,
due bocche che invece di parlare del sodo
cioè di soldi di affarucci e faccenduole meritevoli varie
stan lì cucite l'una sull'altra
a succhiarsi vicendevoli mieli,
due amanti
due granellini di polvere pazza
che potrebbero perfino bloccare
il motore del mondo
e rifarlo da capo a piedi più bello e migliore
se solo se ne rendessero conto,
e mandassero tutto il resto degli stupidi vacui saltimbanchi
al loro legittimo paese del nulla,
che non ne vuole sapere neanche per scherzo dell'amore
con la ridicola scusa che non rende in borsa,
se per sfortuna è solo vero amore.
GD ANGELILLO
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