regala Libri Acquaviva

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venerdì 26 aprile 2013

RECENSIONE DI MARIA THERESA VENEZIA su"L'EBREO NELLA NEVE" romanzo di Giuseppe D'Ambrosio Angelillo


L’ebreo nella neve
romanzo
di Giuseppe d’ambrosio Angelillo

recensione di maria theresa venezia

   Impossibile restare indifferenti alla lettura di un romanzo di Giuseppe D’Ambrosio e anche questo ultimo suo lavoro non fa eccezione.
   Ci troviamo ad attraversare un impetuoso flusso che potremmo definire di “memoria” dalle differenti correnti che ci conducono ad approdare, talvolta, ma non sempre, nell’ isola dell’infanzia e della giovinezza dell’autore, dove vengono svelati ricordi, immagini, voci, dei genitori, dei fratelli, degli amici, dei compagni di scuola, tutti, mai dimenticati.
   Il romanzo è costruito su differenti piani, ma collegati da un filo rosso che occorre saper afferrare per poter tenere l’orientamento nel fantasmagorico labirinto della scrittura, si inaugura così fin dalle prime battute questo gioco al perdersi e ritrovarsi che prosegue senza interruzione, appena un attimo prima eravamo seduti a conversare con un improbabile personaggio ebreo in un quartiere della vecchia Milano e l’istante successivo eccoci negli assolati e gioiosi vicoli e piazze della amata Acquaviva!
   Questo déplacement, però non si limita alla dimensione dello spazio, ma viene a toccare anche quella del tempo, esattamente come accade in certi processi di pensiero caratterizzati da una potente metonimia.
   Il lettore si trova dinanzi a vertiginosi “punti di fuga” che potrebbero evocare non solo certe opere di pittura astratta, ma soprattutto alcuni pezzi musicali, barocchi e jazzistici ad un tempo, per cui l’intero romanzo è pittorico e musicale contemporaneamente, come ibridato con una suprema “maestria”.
   Giuseppe D’Ambrosio ha un grande pregio, ovvero, sa essere di una semplicità disarmante e quasi simultaneamente, come tutti i veri artisti, di una sofisticata eleganza, terrestre e aereo nello stesso tempo, così in questo straniante romanzo, straniante perché famigliare e alieno, solare e lunare, di natura cangiante e sfaccettata fino alla vertigine.
   Lo stesso autore a tratti sembra invitarci a seguirlo nelle sue epiche attraversate, affascinanti quelle sotto la neve, su cui ritorneremo, della città di Milano, rigorosamente, a piedi, camminando, e questa camminata rappresenta il momento, il tratto metaforico, di condensazione, di simbolo, del “movimento” a cui il lettore deve sapersi unire per godere appieno di questa opera particolarissima.
   Il fatto che lo scrittore venga spesso scambiato “per un ebreo”, potremmo definirlo un vero e proprio focus del romanzo, invenzione letteraria che giunge a far penetrare fin sotto la pelle l’unheimliche, l’in-domestico, la stranianza, l’estraneità, in cui D’Ambrosio è di volta in volta, di libro in libro, un vero e affermato maestro.
   Quindi “Un ebreo nella neve”, così, il titolo che richiama l’incredibile capitolo che forse riassume in sé tutto il senso del romanzo, capitolo di una straordinaria e commovente bellezza, in cui lo scendere della neve diviene quasi tattile, ci invade fisicamente, animando il paesaggio urbano, divenendo un personaggio di candida purezza.
   Quasi magica la neve, che viene a portar via la tristezza, la delusione, la grande malinconia di cui il protagonista è intriso, mentre abbandona una casa, per lui ostile, preferendo inoltrarsi nella notte e in questa neve celeste, che a poco a poco lo ricoprirà completamente.
   Tale è il momento di sintesi del libro, momento che sta a indicare come il sapersi staccare, il saper lasciare, salpare, mollando ogni ormeggio, abbandonando così “la terra ferma” delle sicurezze e delle convenzioni di qualsiasi natura esse siano, ovvero il saper trovare “l’ebreo” in ciascuno di noi, rappresenti una chance impareggiabile, da non rifiutare, mai, vincendo quella paura che talora costringe la nostra nave a stare ferma in porti sicuri ma opprimenti, quella parte della nostra natura più intima che aspira incessantemente a compiere quei passi nel profondo della notte e nella neve più fitta per poter andare incontro al proprio vero destino.
MARIA THERESA VENEZIA

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lunedì 22 aprile 2013

IL NOSTRO GIAPPONE

ma perchè gli uomini vogliono governare le anime dei propri simili fin quasi a estorcere loro l'idea del bene comune per piegarlo ai propri interessi di maschera sepolcrale?
   nemmeno una nuvola si lascia lacerare senza lanciare nell'aria un fulmine, una saetta, un tuono rimbombante. nemmeno l'armatura di un guerriero si può colpire impunemente. eppure a brandelli ritroviamo a volte la nostra anima, in mille squarci di assurde trame scoperta, e ancora riusciamo a contenerci. io per me sono un povero uomo e sempre tale sono stato e sempre tale resterò, ma pur debole come un misero vaso di terracotta mi piace a volte scheggiarmi e far volare per aria la terra della mia anima e vedere se poi a cadere nasce ancora un fiore, povero ma allegro e spensierato perchè semplice e libero, come tutte le povere cose di questo mondo benedetto. e di tutto il resto non me ne importa un accidente.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

venerdì 19 aprile 2013

IN INDIA O A TRIESTE L'E' SEMPER L'ISTESS

vecchia invidia di potere
che t'accendi la siga nel buio
e non dici mai niente a nessuno
perchè nessuno deve sapere.
ma che c'è in fondo da sapere?
c'è del whisky nel bicchiere
e polverina di scuola
sotto la ruota 
del tuo soprassedere.
come sempre darai 
la lezione a tutti
senza mai parlare con nessuno.
la classe è classe
e l'uomo
un colto e rinomato professore
dell'immondizia.
giuseppe d'ambrosio angelillo

martedì 16 aprile 2013

LA MUSICA DEL SOGNO DI OGNI GIORNO E' SEMPRE DIVERSA

per mille miglia devi essere capace
di rigirarti nel tuo sogno,
e veder sempre nuove le cose
e la tua casa
e la tua faccia.
che ogni mattino è un miracolo
che mai si ripete
perché porta sempre uno stupore diverso
e anche la tua caffettiera lo sa
che non ti prepara mai la mattina
lo stesso caffè.
giuseppe d'ambrosio angelillo

sabato 13 aprile 2013

INCERTO SPLENDORE DI UNA TRISTE GIORNATA

questo strano vorticare 
del pensiero
attorno al piacere,
al divino,
a quell'incerto chiarore
della luna
attorno alla nostra tavola vuota,
dove senso non c'è
e nemmeno luce.
questi pensieri da quattro soldi
che non portano mai 
da nessuna parte
perché non c'è negozio
e nemmeno gravidanza.
questa nostra vita dozzinale
che cerca splendore
e non conosce raggio di sole
che abbia per indirizzo
il nostro gracile presente.
ma domani c'è mercato,
c'è da alzarsi presto
e vedere i vestiti bacati
prendersi per nulla
le cartoline colorate
della nostra poesia
ben matura e allegra.
giuseppe d'ambrosio angelillo

giovedì 11 aprile 2013

NATI SOTTO IL SEGNO DELL'ACQUARIO

la filosofia ormai se ne cade a pezzi
e per strada ci sono topi
che se la inghiottono a sbafo,
il gatto ha cambiato città
ed è andato in cantina
dai parenti in campagna
a pensare ai fatti suoi.
è un bluff il blocco delle carte
che ci raccontano 
che siamo diventati tutti
degli astuti camaleonti
o degli stupidi droghieri
a bottega del diavolo.
ma la gente ci crede
e spende bene per male,
sfortuna per abbondanza.
la città sta per fallire
e la primavera ha sempre meno grinta.
l'angelo della nostra commedia
ha perso una calzetta.
giuseppe d'ambrosio angelillo

martedì 9 aprile 2013

JOHN FANTE

CON IN MANO 
UNA SIGARETTA DI TRISTEZZA
e in tasca un mazzo di carte
di film FALSAMENTE felici.
avevo 7 anni contati
vicino alla staccionata
del mio cortile,
simbolo in parte
di tutta quella 
mia collina di follia
che sbagliava conti
da portare incrociati
alla vera allegria del mio destino.
il gatto comunque recitava
il mio pezzo migliore
PER LA BATTAGLIA DELLA POESIA
fatta in romanzo.
g. d'ambrosio angelillo

ROMANZO

IERI SERA
era un sogno
tra le mie carte
e le mie fughe ormai tutte dimenticate,
ora sono in un amore ormai gemmato
con la primavera
a ricordare tutto ciò
che stupendamente ho vissuto con le parole.
e giorni e vita
in quadri precisi di calmo furore.
g. d'ambrosio angelillo

UN GOCCIO DI VINO

un goccio di vino 
ti salva il romanticismo,
ti fa un'isola del tuo pensiero,
ti dà per scopo un colore
che tu potrai benissimo tradurre
in una pazzia d'amore.
g. d'ambrosio angelillo

lunedì 8 aprile 2013

MI SO' NU GATT AQUATTAT SU MI STESS

Così son diventato romanziere di gatti che poi son proprio io il primo nominato. Sono il primo interrogatore di me stesso  e mi dico amico della mia stessa porta. Mi sono ubriacato di un solo bicchiere di silenzio, lo confesso, e ora scrivo in questa sbornia che mi sbanda di favole e mi fa andare ancora a scuola di fantasmi. Questi stronzi che mi chiedono sempre l'affitto di stanze che non ho mai abitato e che mi chiederanno sempre come sto anche se ridono da secoli a crepapelle sulla mia fine, che non ricorda nessun amore. Ma ciò non fa testo perchè son seduto come al solito proprio su me stesso.
giuseppe d'ambrosio angelillo

domenica 7 aprile 2013

UN CANE SOTTO LA PIOGGIA

cane verde e spensierato
che te ne vai nella pioggia
in cerca di cascinali vuoti
e intanto t'aggiri per il cortile
in cerca di un tozzo di pane
caduto al contadino.
sei giovane e abbai pieno di speranza ancora
per quei pensieri d'oro
che ti fanno sempre fedele.
fai la guardia e cacci,
ma ahimè nessuno ti vuole.
cosa è accaduto mai?
qualcosa non ritorna nel conto
delle corna della capra.
la volpe latra lontana,
anche lei quasi se ne muore di fame
ma è felice del suo giorno libero
e dei suoi sentieri senza mai cancelli,
della sacra pozzanghera di bosco
da dove sempre si beve la sua acqua
trasparente e pura.
giuseppe d'ambrosio angelillo

venerdì 5 aprile 2013

DELLA DIFFERENZA DEL QUI TRA I POETI INGLESI E GLI ARTISTI ITALIANI

gli inglesi cominciano 
sempre le poesie da un qui,
ciò sarebbe davvero bello
se si trattasse di un pranzo di Pasqua,
di un compleanno di una pin-up
o di qualcosa che riguarda
una completa disfatta 
di un esercito di diavoli all'attacco.
ma le cose non sempre vanno così
e gli inglesi lo sanno benissimo
e allora il loro qui
e spesso disseminato di silenzi lugubri,
di veleni dissimulati,
di visioni gotiche colorate tassativamente di rosso.
il qui è piantato come un chiodo
nello zoccolo di un cavallo
che dubita di partire al galoppo
verso una qualche gioia sfrenata,
la sua criniera è malata di cenere
e il tempo, come se non bastasse,
promette neve.
ma per noi italiani il qui
ricorda troppo una vita
che se ne frega di un pò di tutto.
sarà per questo 
che non abbiamo mai pensato 
nemmeno a conquistare il mondo
e a coltivare invece gli aranci
che servono a qualche sciame di api,
intime amiche nostre,
a farsi miele, ronzii petulanti
e risse di vicinato
senza mai alcun motivo plausibile.
fatto questo
il qui diventa automaticamente un letto,
dove riposarsi di così tanta fitta fatica.
in Italia si arriva perfino a insinuare
che il qui serve a Dio
a piantar casa addirittura al paradiso,
questo stranamente 
i pallidi poeti inglesi
tendono a escluderlo
con un'irritata alzata di naso.
sarà per siffatto motivo
che gli angeli
degli artisti italiani
se ne fottono grandemente
perfino di imparare a parlare inglese
e preferiscono di gran lunga
esprimersi 
in quel qualsiasi dialetto di paese 
di vecchi pazzi buzzurri contadini,
dove sempre si trova quel vino
e quel pane 
che una volta servì perfino a Gesù
per fare quel suo famoso comizio.
giuseppe d'ambrosio angelillo

LAMPO DI RICORDI DI UNA LONTANA PRIMAVERA CONTADINA

ora come quando ero ragazzo e pronto a tutto sotto le buche dei ciliegi come quelle case abbandonate e felici e con i sogni più verdi di tutta l'erba verde di primavera anche sotto la notte con tutte quelle stelle così strane che il tempo si metteva tra le gambe la coda e correva alle gabbie delle galline per rincuorarsi all'occhio d'oro del gallo che aveva l'onore del sole nel suo vagone rialzato di zingaro e la grandiosa città delle vigne era tutt'intorno a signoreggiare sugli ulivi e i gli albereti di tutti i frutti acerbi e desideri e furie sotto i sentieri della campagna mentre il vento cadeva lungo lungo sui lumi dei contadini che vegliavano le cipolle con corte rivoltelle arrugginite per impedire che volponi e gatti guerci venissero a far pinocchi proprio a loro...
giuseppe d'ambrosio angelillo