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giovedì 17 dicembre 2009

Giuseppe D'Ambrosio Angelillo, DOSTOEVSKIJ (opera in 9 volumi), Acquaviva


Giuseppe D'Ambrosio Angelillo IL PROFESSORE DI FILOSOFIA, romanzo, Acquaviva


Giuseppe D'Ambrosio Angelillo IL MEDIANO NELLA BIRRA, romanzo, Acquaviva


Giuseppe D'Ambrosio Angelillo, SUPERPAZZI 69 racconti metropolitani, vol.3, Acquaviva


Giuseppe D'Ambrosio Angelillo SPINOZA SE NE VA IN TERRA SANTA, romanzo Acquaviva


NATALE. poesie, pensieri, raccontini per il Santo Giorno di Natale. Acquaviva


Giuseppe D'Ambrosio Angelillo POESIE DI NATALE, Acquaviva


RACCONTI DI NATALE ( a cura di Giuseppe D'Ambrosio Angelillo)


lunedì 14 dicembre 2009

HO SOGNATO BERLUSCONI, racconto di Giuseppe D'Ambrosio Angelillo

Ho sognato Berlusconi, uhei, ragazzi, minchia, non so cosa mi era capitato quella sera, magari avevo mangiato i peperoni fritti o una bisteccona fiorentina, non m ricordo, fatto sta che ho sognato, sì, il grande capo, Berlusconi, era lui, beh, comunque, premetto che credo nel detto: scherza con i fanti e lascia stare i santi, anzi lascia stare pure il papa, il re o i presidenti di repubblica, primo fra tutti, naturalmente, Scalfari e compagnia bella, ecco... eh, l'ho sognato, ragazzi, cosa posso dire, è una cosa vera, era un sogno, tutto limpido, tutto chiaro, raramente, mi ricordo i sogni in maniera così chiara e fissa, mi è venuto... mi è venuto di sognarlo e l'ho sognato, naturalmente, uno non comanda i sogni uno sogna quello che gli dice il cervello di sognare o quello che gli dice il cuore, non lo so, io, infatti, l'ho visto nel mio sogno e mi son detto:"Oh, io sono un bolscevico, cosa avrà mai da dirmi?" infatti, non mi ha detto niente, se ne stava lì, faceva un comizio, poi è sceso e dava la mano a tutti, è venuto anche da me, mi ha dato la mano e mi ha sorriso, proprio come un brav'uomo e io gli ho stretto la mano e gli ho sorriso anch'io, con il tutto il cuore senza malizia e ci siam baciati e poi mi son detto: "Ma sì, anche lui è un matto come me!"


Mi ricordo che una volta, in TV, l'ho visto e diceva a Vespa, lì, a Porta a Porta, diceva:"Oh, io, stamattina, mi sono alzato, mi sono guardato allo specchio e mi son detto, oh, devo essere proprio un gran matto se mi son messo in testa di governare addirittura gli italiani!" ecco, allora, io, mi son detto:"E' un amico mio, certo, è un amico mio!" e io me ne stavo lì con la mia barba lunga, i miei capelli lunghi, con la mia faccia da ribelle, ormai, come si può dire, rassegnato, ma le mie lotte le ho fatte e non le rinnego, ma sì, un bolscevico, ecco, un bolscevico, sono, non rinnego, è stata una gran bella cosa la Rivoluzione Russa, quello che è venuto dopo, lasciam stare, ecco, ma il teorema di Marx era giusto, Lenin ha cercato di dimostrarlo e la dimostrazione si è rivelata falsa, che si può fare, però, il tentativo c'è stato, tanto di cappello, mettiamoci sull'attenti, una mano sul cuore e buon pro ci faccia per la prossima volta, ai posteri, come diceva il mio grande maestro filosofo, verranno i nostri posteri a combattere meglio di noi, auguri a loro!

Ecco,poi mi ricordo di avergli detto così:" Oh, capitan Berlusca, ti voglio bene!" ma gliel'ho detto con il cuore, senza naturalmente, cercare una raccomandazione che non me ne frega niente, senza cercare di avere chissà che cosa che non me ne frega niente, mi accontento delle mie cosette, dei miei 4 barlumi di candele e dei miei 4 fogliacci scritti a mano, del mio fare artigianale che non rinuncerò mai e mi è venuto di dirglielo e gliel'ho detto, perchè mi sembrava un brav'uomo, anzi, un buon uomo, ecco, così, un uomo con tanta bontà, ecco, era un sogno, ragazzi, eh, era un sogno, mi è sembrato così e io vi racconto quello che ho sognato, ecco, lui se ne stava lì con tutti i suoi seguaci, io ero come un cavolo a merenda, come un cane in chiesa, non era il mio posto, vestito alla buona, con una casacca verde alla Che Guevara, me ne stavo lì tranquillo, perchè non avevo nessuna intenzione malevola, me ne stavo lì tranquillo, era un sogno, poi, come si fa a comandare i sogni? Me ne stavo là... era una specie di congresso, c'erano tanti impiegati, tanti capipopolo, c'erano tanti senatori, onorevoli, c'erano un pò di tutto, ecco, c'era il caravanserraglio del potere, diciamolo chiaro, non ho nessuna rimostranza a dirlo, beh, e poi, cosa è successo? Ecco mi son messo a parlare con un altro tizio, là, naturalmente, era un suo seguace, questo mi chiede:

- Ma che ci fai quà?

- Minchia, non lo so, mi son trovato, sto sognando, mi son trovato qui, non so cosa ci faccio, boh?

Questo tizio aveva... aveva i baffi, una specie di baffetti, una fronte intelligente, capelli brizzolati, sembrava quasi un genio...

- Oh, ma che ci fai qua? Mi fai la concorrenza?

- Io, la concorrenza a te? Ma scusa...

- Eh, perchè io voglio un favore, tu, vuoi un favore anche te?

- Ma va'! Io son qui, è un sogno, sto qui e non so neanche io qua... è come se... sono come quel palo, sta lì, non puoi chiedere a quel palo, perchè stai lì, è come... che ne so, è come il marciapiede, chiedo al marciapiede, perchè sei lì, è lì e basta, così io, è un sogno, mi trovo qua, senza nessun fine, senza nessun progetto, senza nessuna fortezza, ecco, sono qua, sto attento a quel che succede, perchè a me piace la mia esperienza, soprattutto l'esperienza dei miei sogni...

- Guarda che tu non mi convinci, sei un brutto tipo, mi sembra, guarda che se fossi un poliziotto ti chiederei i documenti...

- E cosa ci vedi nei miei documenti? Sono io, come mi vedi, così sta scritto nel documento e allora, cosa hai bisogno di vederlo?

- Eh, io sono un tipo sospettoso.

- Eh, sì, fratello, l'ho capito e allora mi allontano, vado da un'altra parte, se non mi vuoi vicino, ciao, arrivederci e grazie!

Ecco, io stavo sognando e dicevo:"Cazzo, che sogno strano, ma io questo sogno quando mi sveglio lo voglio scrivere, perchè è troppo strano, perchè quell'uomo lì lo conoscevo, con quei baffetti..."

Va bene, passiamo avanti, comunque, mi sono allontanato, uno mi ha chiesto una sigaretta, non c'è l'avevo, gli ho detto che non ce l'avevo, che non fumavo, anzi gli ho detto se voleva 5 mila lire per andare a comprarsi un pacchetto, lui ha detto di no, che non accettava l'elemosina, io gli ho detto:"Va bene, come vuoi...", poi gli ho detto:"Se vuoi un mozzicone di matita, se ti può essere utile..." "Ma scusa, ma che mi prendi in giro?" "No, ti dico quello che è, sono in questo sogno, sono fuori posto, mi rendo conto, è un sogno che insomma non dovrei fare, invece lo sto facendo..."

Poi, alla fine... alla fine, il comizio è finito, Berlusconi è entrato in una macchina, la macchina ha messo in moto, c'erano le guardie del corpo, nessuno delle guardie del corpo era più bello di lui, questo lo devo dire, ad onor del vero, perchè mi piace registrare per intero questo sogno che ho fatto, poi, lui si alza il bavero e praticamente perchè c'era stata una specie di corrente d'aria e lì mi accorgo che c'era un uomo fuori della piazza che soffiava con la mano a imbuto, soffiava e quasi faceva venir su una tempesta, un vento impetuoso e alla fine è venuta fuori una guardia del corpo che gli ha detto a quello:

- Uhei! Cosa stai a fare lì? Vai a dire i tuoi pettegolezzi da un 'altra parte, vai via di qua!

E quello si è spaventato, è andato via, ecco, io naturalmente, non è che mi faccio grande, un sogno è un sogno, non è che mi faccio grande con un mio sogno, ho sognato Berlusconi ed ero contento, mentre sognavo, perchè dicevo:"Ecco, una persona importante è venuta in un mio sogno, forse, sono anch'io una persona degna di nota..." ecco, tutti questi particolari poi, no, li ho annotati per bene, ecco, però penso che tutti sognano Berlusconi, sia a destra che a sinistra, sia in soffitta che in cantina, tutti hanno un problema da risolvere, parliamoci chiaro, cari ragazzi miei, chi può aiutarti in Italia, se non lui, certo, non scherzo, dico sul sero, ma lui c'ha sempre da fare, come fa ad accontentare tutti, soprattutto, noi, come si può dire, c'ha tanti da accontentare e poi, sopratutto, noi poveri, come fa a pensare a tutti, certo, lui pensa ai poveri, ma cosa può dare di più di quello, i soldi son quelli che sono, ecco, naturalmente, nel sogno mi è venuta questa strana idea,mi è venuta l'idea di mettermi ad aspettare, perchè c'erano anche tutte le televisioni al seguito, di mettermi lì nel mio angolino e di mettermi ad aspettare il TG5 che venisse a intervistarmi, ecco, è naturale, sono un scrittore e voglio vendere i miei libri, comunque, a Silvio, gli chiederei volentieri un 200 grammi di fortuna sfusa e chi vuole il male a casa sua?, ragazzi, parliamoci chiaro, no, signori, sto scerzando, perchè tutto questo è un sogno, non è niente di vero, ecco, comunque, questa è la storia, non è mica una barzelletta...
Ecco, poi, comunque, caro Silvio, che Dio ti benedica e soprattutto viva la libertà! Sono d'accordo con tutte le... sono d'accordo in tutto con le cose che dici, soprattutto quando dici: viva la libertà! Ecco io lo grido con te: viva la libertà! Lo dico da scrittore proletario, da bolscevico ormai avvinazzato, col naso rosso a peperone, ma lo dico anch'io: viva la libertà! E questo lo sottoscrivo sempre in pieno, chiunque lo dica, sono soprattutto d'accordo con te quando dici: W LA LIBERTA'!Ecco, il sogno è finito, niente di eccezionale, ragazzi, un sogno come un altro, sì, la fortuna la cerchiamo un pò tutti, però, è meglio starcene al nostro posto e notare che quella è parecchia fortuna, ecco, è facile come fece Benigni, gridare:"Berlinguer, ti voglio bene!", grazie, è capo del tuo partito, che all'epoca era anche il mio partito, non faccio eccezioni, ma sopratutto per la particolarità, scusatemi, dov'è la grandezza?, io invece grido:"Capitan Berlusconi, ti voglio bene!" ...è il capo della mia squadra avversaria, infatti, io da buon bolscevico sono un internazionalista, cioè un interista, volevo dire, poi, è il capo del partito contrario alle mie... il mio partito è scomparso, anzi, son ben 3 volte che è scomparso, son stato sfrattato anche dalle mie idee, che cosa volete, capita anche questo nella vita, son rimasto senza partito, sono, come si diceva una volta, un cane sciolto, me ne vado per conto mio, ma non rinuncio mica alle mie idee, però, fatto sta che non c'è più nessuno che me le rappresenti, però, va be'... poi è il capo della Mondadori che mai mi ha pubblicato, nè mai mi pubblicherà nemmeno una mezza parola, ne sono più che arciconvinto, per non parlar della televisione, ma verrà a me a fare un'intervista, ma proprio a me? Ma dai, sono matto, ma non fino a questo punto e allora ecco qui la vera particolarità, caro Benigni, la vera grandezza e la vera bontà d'animo: "Capitan Berlusconi, ti voglio bene e che Dio ti preservi e ti benedica sempre!"
Un gigante della natura, altro che psiconano, caro Grillo, anche te, è un gigante della politica, quell'uomo, un vero personaggio titanico, un genio, magari avessi fatto io un millesimo di ciò che ha fatto lui, magari avessi io un millesimo del suo talento e lo dico senza ironia, magari avessi io un millesimo dei suoi denari, ma non sono invidioso, non sono neanche... non mi interessano i soldi, via! Però un pò di fortuna, mi piacerebbe averla, poi dopo tutto ce l'ho anch'io, dai, non... la fortuna che sia dalla sua parte! Così spero, almeno, di passare anch'io alla storia per il semplice fatto di averlo sognato e non era un incubo, ragazzi, ma un sogno, ma un sogno, infatti, ho sognato di dirgli che tutti gli uomini sono fratelli, adesso, mi sono ricordato, sì, mentre lui andava via con la macchina, è passato vicino a me, la macchina ha rallentato, lui si è fermato, mi ha dato di nuovo la mano e mi ha sorriso e io gli ho dato di nuovo la mano e ho sorriso, oh, c'erano le guardie del corpo che mi tenevano il braccio, avevano paura che io lo strattonassi, che lo tirassi fuori e facessi chissà che, uno sfracello, lo prendessi a cazzotti, non lo so, avevo la faccia del Carlo Marx e figuriamoci se non avessero paura, allora, lor praticamente si son tenuti stretti, stretti, il caro Silvio, mi tenevano il braccio, però lui mi ha dato la mano lo stesso e mi ha sorriso e allora io, mi è venuto di dirgli così, dal fondo del cuore, per il bene che gli voglio, gli ho detto:"Caro Silvio, tutti gli uomini sono fratelli, come una volta insegnò Cristo, Spinoza e Marx, qualsiasi sia il suo credo religioso, le sue convinzioni politiche, la sua razza, è che tutti hanno il loro diritto per il fatto stesso di esistere al mondo!"
Così dopo gli ho gridato, perchè lo penso e lo sento davvero:"Silvio, fratello mio, ti voglio bene con tutto il cuore!"... intesi, caro Benigni, caro Grillo, fratelli miei cari, vi voglio un gran bene dell'anima, anche a voi, perchè siete dei grandi artisti, dei genii pure voi, vi voglio un gran bene dell'anima anche a voi, a Benigni e a Grillo, ma cari, è sempre l'amore più forte, e solo Dio lo sa, perchè gli uomini, che sono dei gran fatui, credono invece che il più forte sia l'odio.

Giuseppe D'Ambrosio Angelillo
tratto da "SUPERPAZZI 69 racconti metropolitani" vol.3 ed. ACQUAVIVA ottobre 2009

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giuseppe d.a.

sabato 5 dicembre 2009


BUON NATALE, ALDA

Cara Alda,
questo è il primo Natale
dopo tantssimi anni
senza di te,
di certo sarà un Natale molto povero per me,
non verrò la Vigilia a casa tua
verso le 8 e mezza di sera
per farti auguri
dopo aver venduto gli ultimi libri
vicino al Duomo
magari poco prima che si metta a nevicare,
ma i regali tu me lo darai lo stesso
perchè come mi dicesti una volta
"Figlio mio, finchè tu vorrai bene
a Alda Merini
io verrò sempre a portarti
qualosa di bello
fin dentro casa tua,
fin dentro il tuo cuore."
Buon Natale, Alda,
dovunque tu sia.
Forse in Paradiso,
ma molto più probabilmente là,
vicino a casa tua,
tra le voci dei bambini
e le luci di buon augurio
sulla Ripa di Porta Ticinese
dell'anima di ognuno di noi.

Giuseppe D'Ambrosio Angelillo
tratto dal libro "RACCONTI DI NATALE", ed. Acquaviva

lunedì 2 novembre 2009

IL DIRETTORE DI GIORNALE racconto su Alda Merini di Giuseppe D'Ambrosio Angelillo

C'erano come delle scale che salivano in un tunnel buio. C'era tanta gente.
"Erano tutti personaggi nella vita di Alda, il lattaio, il fruttivendolo, il farmacista, il libraio, la bigiotterista, la portinaia. Tutti grandi personaggi fatti grandi dalla sua grande poesia", dico io.
C'erano altri con me il cantante, l'impresario, il violinista.
La compagnia dei 4 gatti di pinocchio.
Poi io me ne sono andato in una camera dove c'erano 4 persone a giocare a carte. Era una camera dell'ospedale San Paolo.
"Sapete qualcosa di Alda Merini?", ho chiesto.
"E' morta Alda Merini", ha detto una donna.
"Son stato qui la notte verso le 4 si era ripresa" ho detto io.
"Succede anche ai migliori", ha detto un uomo.
"Ma quando è successo?", ho chiesto io.
"Alle 7 di questa mattina" ha detto la donna.
Intanto loro continuavano a giocare a carte.
"E dov'è ora?" ho chiesto io.
"Oh, da qualche parte dell'ospedale. Sa, la solita procedura, le solite pratiche",
"E dove la portano poi?"
"Oh, da qualche parte per il funerale".
Loro continuavano a giocare a carte. Ma non sembrava che si indaffarassero molto per vincere.
"Ma lei legge interinalmente?", ha chiesto la donna.
Non ho capito bene cosa volesse mai significare.
Però ho risposto:
"No, ormai ho letto così tanto nella mia vita che ora sono saturo. Non ci entra più niente".
"Ah, non legge più lei allora?"
"No. Ho letto tanti di quei libri, migliaia e migliaia di libri, che ora davvero non c'è più posto nella mia mente", ho detto.
"Peccato. Lo sa che abbiamo un direttore di giornale qui?"
Era una figura che stava di spalle, e che io non potevo vedere in viso.
"Non leggo più ma in compenso scrivo sempre", ho detto.
Per un attimo ho pensato che quel direttore potesse aiutarmi come scrittore, ma ero troppo sconvolto per la morte di Alda e non me ne è fregato niente.
"E' venuto anche lui per la Merini qui all'ospedale", ha detto la donna.
Così mi è venuta la curiosità di sapere chi era.
Lui vinceva sempre, ecco perchè nessuno era così preso dal gioco.
Poi il direttore di giornale s'è voltato.
E a me è venuto un tonfo al cuore.
Era Dio.
"Alda era una mia grande amica e mi voleva tanto bene.
Son venuto a prenderla personalmente per portarla in Paradiso", ha detto.


P.S. Ho raccontato questo mio sogno a Alda il 30 ottobre di notte mentre ero con lei per assisterla all'ospedale San Paolo, lei voleva sapere a tutti i costi chi era mai la donna del sogno,
si è messa a pensare e poi ha fatto pure un nome, di una persona che io non conosco, comunque di una persona poco raccomandabile, poi ha riflettuto sul gioco delle carte e ha detto : "Son le carte della letteratura". Poi riflettendo sulla presenza di Dio nell'ospedale ha pianto. Poi mi ha detto: "In effetti è Dio il vero direttore di tutti i giornali, solo che gli uomini sono così presuntuosi di pensare di essere loro gli scrittori". E ha riso, di quel suo innocente sorriso di eterna bambina.

Giuseppe D'Ambrosio Angelillo

mercoledì 2 settembre 2009

IL PROSSIMO FILM DI ROBERTO BENIGNI racconto di D'Ambrosio Angelillo

Era un albergo nel centro di Milano. Con larghi piani, larghe camere, larghissimi cessi. Là ero andato con un paio di amici, Ferrovia Tedesca e Ale Birrazza. Avevamo fatto casino. Tipo allagare qualche camera di pin-up e poi urlare e ridere a squarciagola.
Nell'albergo c'erano pure tante vecchie attrici di Hollywood e tante vecchie signore danarose italoamericane.
Siamo scesi nell'atrio e poi siamo usciti.
All'ingresso c'era Roberto Benigni che parlava con una coppia di vecchi italoamericani. Sembravano tanto danarosi. Solo i vecchi, voglio dire.
- Ecco signora, diceva Roberto rivolgendosi stranamente solo alla vecchia, lei deve capire che avrei bisogno solo di un piccolo finanziamento e il mio prossimo film sarebbe già in dirittura di arrivo. Ce l'ho tutto nella testa, attori e attrici tutti reclutati, anche l'accalappiacani ho già reclutato, perchè poniamo il caso scappi un cagnolino a una diva, io sono già pronto per la malcapitata evenienza. Ecco avrei bisogno solo di un piccolo prestito. L'incasso sarebbe mondiale. Centinaia e centinaia di milioni di dollari in tutti i paesi della terra, compresa la California del Nord e la California del Sud. Per non dire miliardi. Ma che dico! Bilioni, non di biglie, sempre di dollari, cara signora mia.
- Quanto le occorrerebbe? - disse la signora.
- 75 milioni.
- 75 milioni di dollari?
- Macchè! 75 milioni delle vecchie lire scadute!
- Signor Benigni, lei scherza sempre.
- Beh, magari 175 milioni, ma sempre di vecchie lire avariate naturalmente non di dollari.
- Le vecchie lire non esistono più.
- Sì, ma gli artisti poveri sono ancora in giro.
- OH!
- Comunque i dollari sarebbero ben accetti, non più di 5 milioni.
La signora sbottò in un gridolino di sorpresa.
- No, no, signor Benigni, io non ho a disposizione una simile somma.
- Davvero?
- Davvero.
Allora Roberto, a questa notizia deleteria, salutò cortesemente, fece il baciamano e subito si scostò, lumò e abbordò con un gran sorriso un'altra signora italoamericana, anche questa dall'aria eccessivamente danarosa.
- Buon giorno, cara signora, posso presentarmi? Sono Roberto Benigni, il più grande cartonaro cinematografico italiano.
La nuova signora sorrise e si fece abbordare più che volentieri.
I miei amici si misero a osservare il nuovo numero di cabaret di Roberto.
Io invece seguii la prima coppia di vecchi italoamericani.
Avevo capito che Roberto non scherzava, davvero stava cercando i soldi per il suo prossimo film. E capivo benissimo se si era ridotto a abbordare vecchie signore americane per trovare finanziamenti. In Italia i grandi artisti son ridotti alla mendicità quasi, e se la passano male davvero, se vogliono continuare a lavorare, cioè a vivere.
E allora pensai: "Forse riesco io a convincere la vecchia signora".
Era intanto scoppiato un temporale improvviso e la coppia di vecchi italoamericani avevano preso un autobus, di quelli degli anni '60, con ancora gli sportelli enormi e le aperture a mano con le maniglie grosse e spesse più di un palmo.
Loro erano saliti e partiti.
E allora io mi son messo a inseguire il vecchio autobus di linea sotto la pioggia scrosciante. Con il serio rischio di essere investito. Poi a un semaforo rosso, sempre sotto la pioggia, mi avvicino allo sportello posteriore, lo apro deciso e entro. Salto su e sbatto lo sportello per chiuderlo di nuovo con un sol colpo. Vado a sedermi accanto alla signora, il suo consorte è seduto più avanti, chissà perchè.
- Signora. - le dico.
- Chi è lei?
- Sono un amico di Roberto Benigni.
- E allora?
- Roberto è uno dei più grandi registi italiani, avrebbe bisogno di un piccolo prestito.
- Oh.
- Roberto Benigni è un maestro, sa?
- Sì, lo so.
- Era amico intimo di Federico Fellini, è stato primo attore in un grande suo film.
- Quale? - chiese la signora.
"Beh, Joseph, forse ci siamo", pensai.
E così continuai.
- Un film molto famoso: "Fuga dalla vita", si chiamava. Un grande film che ha fatto epoca.
- Non me lo ricordo. - disse la signora.
- Sa, signora, l'Italia è come un paese di provincia, i grandi artisti davvero fanno fatica a lavorare, e a trovare finanziamenti.
- Ma come mai?
- Siamo un paesino di provincia, tutto sommato.
- Non si direbbe proprio.
- Signora, ma lo sa che in Italia non esiste la televisione?
- Ma che dice?
- Sì, siamo un minuscolo paese di provincia rispetto all'America, non abbiamo ancora la televisione.
- Ma davvero?
- Le assicuro, signora.
- E allora?
- Un piccolo finanziamento, signora, io so che lei potrebbe.
- Ma quanto voleva esattamente?
- 75 milioni di dollari, mi sembra di aver capito, magari 175.
- Ma io non sono assolutamente in grado di disporre di una simile somma.
- E tra i suoi amici miliardari californiani, magari ebrei?
- E loro sì che potrebbero.
- E allora, signora, mi faccia una promessa.
- Quale?
- Mi prometta che chiederà a un suo amico il finanziamento e che glielo spedirà a Roberto.
- Beh, questo lo posso fare.
- Lo farà? Davvero?
- Certo, mio caro giovanotto. Glielo prometto che lo farò e lo farò.
- Grazie, grazie, son sicuro che ci riuscirà.
- Sì, le voglio confessare una cosa: mai un giovanotto mi ha inseguito sotto la pioggia rincorrendo perfino un autobus nel traffico pazzo di una città italiana. Mi ha fatto come vivere in un film. Chiederò a qualche mio amico miliardario, forse ce la farò.
- Grazie, grazie. - feci allora io e le prendo la mano e gliela bacio.
Guardo la vecchia signora italoamericana e vedo che ha due grossi lucciconi agli occhi, sul punto di traboccare ma senza traboccare. Due grosse piccole lacrime.
Allora io apro lo sportello, e ancora a un semaforo rosso, scendo e sbatto il portellone per chiudere.
Il marito, seduto a una delle file davanti dell'autobus, non si era accorto di niente.
L'autista aveva visto tutto dallo specchietto retrovisore, ma aveva commentato il tutto solo con due smorfie di malsopportazione, una a salire una a scendere. D'altronde il bus era davvero antiquato, e lui non poteva farci niente se qualcuno al semaforo rosso saliva e scendeva aprendo e chiudendo lo sportello. Non poteva far altro che sopportare, o meglio malsopportare.
L'autobus ripartì springando e sbuffando a tutto andare. Io salutai l'ultima volta con la mano la vecchia signora e mi incamminai verso l'antica piazza del centro di Milano.
Così come aveva piovuto così d'improvviso aveva spiovuto, e anzi un bel sole caldo s'era già affacciato tra i nuvoloni nerissimi di quel temporale repentino.

giuseppe d'ambrosio angelillo, SUPERPAZZI, racconti metropolitani

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martedì 1 settembre 2009

IL RIPOSO DI DIO aforisma di D'Ambrosio Angelillo

Il settimo giorno Dio si riposò,
mi sa tanto che ancora continua a riposarsi alla grande
a vedere ciò che gli uomini
riescono a combinare su questa povera terra.

giuseppe d'ambrosio angelillo

martedì 25 agosto 2009

L'ATALANTE poesia di giuseppe d'ambrosio angelillo

la nostra è una città di ricconi.
per questo non possiamo comprarci il cuore dell'altro,
anche se ci fa schifo,
siamo troppo trionfanti di nulla,
bussiamo alla porta del superenalotto
per diventare ragni pure noi.
che possiamo mai farci se siamo sempre in divieto di sosta?
di titani ormai non ne esistono più,
ci sono solo pulci incoronate
che s'ingrandiscono al microscopio elettronico digitale di 1000 tv.
noi siamo ancora troppo quieti nella sbornia definitiva del nostro sogno
senza ormai più cassetto.
sfrattati da ogni sia pur minimo rimpianto
prendiamo residenza nella bassa vanità.
il nostro cuore sfasato e senza più regole ormai
rimane il nostro solo esistere.
il battello degli sposi
è il locale notturno dove si divertono tutti i ricconi
della nostra povera città.
noi siamo i moscerini che vivono solo di caldo avanzato.
un caffè per favore alla pazza Speranza
che di nuovo si incammina,
caro paziente cameriere universale.

giuseppe d'ambrosio angelillo

lunedì 29 giugno 2009

L'ALEPH. Recensione di Maria Teresa Venezia al romanzo di Giuseppe D'Ambrosio Angelillo "SPINOZA SE NE VA IN TERRA SANTA", Acquaviva, maggio 2009



Devo dire che quando Giuseppe D'Ambrosio mi annunciò nel cuore dello scorso lunghissimo inverno: "Sai, Spinoza se ne va in Terra Santa...", guardai fuori dalla finestra la neve che non smetteva di cadere silenziosa e pensai: "Ecco, adesso ci si mette anche lui! E' uno dei suoi tiri di scrittore irriverente..." e invece, sul finire della primavera, quando mi ritrovai con il suo nuovo libro tra le mani capii che era tutto vero!

E non mi sono certo tirata indietro, avviandomi anch'io in compagnia del misterioso filosofo alla volta della Terra Santa di tutti noi...

Procedendo di giorno in giorno nell'attraversata, parola dopo parola, pagina dopo pagina e capitolo dopo capitolo, mi sono accorta che mi trovavo difronte a quello che Jorge-Luis Borges, grande maestro d'incantesimi, definì in uno dei suoi racconti più indimenticabili, un Aleph.

Giuseppe D'Ambrosio aveva indubbiamente scritto un libro così, un libro-Aleph, ma per farvi capire di più bisogna che provi a spiegarvi cos'è un Aleph...

Un Aleph è il punto che contiene ogni cosa, ma non è il semplice "riassunto" delle cose, racchiude ogni cosa nella sua completezza, è la coesistenza di tutto, accuratamente sovrapposta e trasparente, così da poter vedere nella sua distinzione ogni elemento come entità autonoma, è per questo che l'Aleph contiene anche noi stessi, quello che è stato, ogni luogo e anche il testo che state leggendo, ed è in virtù di questa insolita natura che Borges lo descrive agilmente, in poche pagine, eppure possiamo trovarvi in esse l'intera narrativa di Borges stesso, la sua vita e ogni cosa immaginata fino ad allora.

Possiamo trovare un Aleph nei punti più impensati, dietro una pietra o nell'angolo buio della cantina, probabilmente senza vederlo, una cosa comunque va ricordata, una piccola parte di Aleph è dentro ognuno di noi, lo costruiamo attivamente attimo dopo attimo e l'Aleph incompleto e parziale alimenta la memoria che contiene tutti i nostri passati distinti e innumerevoli, vita dopo vita...

"SPINOZA SE NE VA IN TERRA SANTA", non ho dubbi, ha queste caratteristiche, proprio per la capacità dello scrittore di farne un piccolo cosmo, un dispositivo che contiene a sua volta tanti piccoli mondi, tante, numerosissime vite, una carrellata costruita, a piccoli punti, di tipi umani straordinari, nel senso letterale del termine, fuori da ogni pensabilità, ordinarietà, dotati di nomi burleschi, fantasiosi, fiabeschi, inconcepibili, ma che non si possono dimenticare, Sciaccupazzu, Pizza Sconcosciata, Basco Rock, Afrone lo Sciattone, Alice Sfasciabrande, e così via, tutti descritti con una gioia contagiosa, sempre con quella rara generosità fino al ripudio di ogni senso del risparmio, o senso del limite narrativo, che ti fanno riconoscere lo stile di Giuseppe D'Ambrosio lontano un miglio.

Tra questi personaggi, le cui vicende s'intrecciano alla vita e nella vita di Joseph K., il protagonista, come una luminosa sciarada di fili colorati che si combinano e si scombinano per formare trama e tessuto del libro, ha un posto particolare un gatto, grosso e nero e parlante, che si chiama Nerino, un gatto con gli stivali, metropolitano, che vi sfido a mettere nel sacco, che accontentandosi di una scatoletta di tonno, possibilmente di quelle da 500 grammi, offre i suoi servigi al suo Joseph, un padrone un pò ingenuo e speranzoso, che vuole proprio bene a tutti, qualche volta, stralunato, che dorme e sogna, sogna e dorme, nella sua casa dei morti, là dalle parti della Barona.

Questo animale sapiente, vi ricorderà, è inevitabile, il gatto calzato della fiaba della vostra infanzia, anche se Nerino non arriva a trasformare il suo padrone nel Marchese di Carabas, ma certo, mettendolo in guardia dalle mille trappole di una Milano sempre più pornografica e sfrenata, lo strappa più volte dalle grinfie di astuti "volponi" e seducenti donnine.

La trama, lo avrete capito, è corale, fatta contemporaneamente di amori in corso e di flash-back di amori passati, di tradimenti e di amori superfatali, di incontri lungo un viaggio che è più un'attraversata, compiuta rigorosamente in tram, dell'amata Milano, con uno sfondo assolutamente non compatto, che lascia intravedere, a intermittenze, nel ricordo, la campagna, la Puglia e il suo sapore di terra, di frutti, di umori insinuanti, ed è così che s'infiltra incessantemente la presenza quasi fisica del paese natale, Acquaviva, con la nostalgia del padre, della madre, della loro lingua e dei proverbi dei compaesani, contraltare al cinismo, alla laconicità cittadina, al suo linguaggio finanziario e finalistico, quasi robotico.

D'Ambrosio va, lungo il fluire delle cose, delle vite, a cassetta del suo caleidoscopico carrozzone, guidando con mano leggera, va, lungo quell'arteria direttrice dell'intero romanzo, che è il correre, lo scorrere, l'andare, con le movenze dell'acqua, alla ricerca della Terra Santa di ciascuno e ci porta in una struttura narrativa che ci appare sempre più simile a un quadro di Marc Chagall, un mondo colorato che ci comunica allegria e tristezza e ironia e ancora allegria, un mondo colorato come se fosse visto attraverso le vetrate di un'antica cattedrale, o magari proprio dello stesso Duomo di Milano...

E se torniamo ancora a Chagall, quando dice:

"Mia soltanto è la patria della mia anima. Vi posso entrare senza passaporto e mi sento a casa, essa vede la mia tristezza, è la mia solitudine, ma non vi sono case, furono distrutte durante la mia infanzia, i loro inquilini volano ora nell'aria in cerca di una casa, vivono nella mia anima, perchè mia soltanto è la patria della mia anima..." ecco, c'è un'eco di questo medesimo pensiero nella Terra Santa di D'Ambrosio, che intimamente "lavorata" dalla metafora della lontananza e dell'approdo, dal desiderio della patria dell'anima, per ogni esule, come noi siamo, che cerca quella Gerusalemme indivisa in quanto tollerante di ogni differenza, perchè, in fondo, Gesù non era forse un Ebreo e un Palestinese?

Per questo penso che proprio là Spinoza doveva andare e allora correte a leggere la sua straordinaria lettera di commiato, con la sua firma, là, a conclusione del romanzo, perchè rappresenta la cifra dell'opera di D'Ambrosio e non dimenticatevi che il misterioso filosofo, fabbricatore di lenti e cabalista segreto, meditatore di Talmud e di Sephiroth, nella Gerusalemme del suo cuore, propose un modello di mondo in cui si tratta di:

"Attraversare la vita non con paura e pianto, ma in serenità, letizia e ilarità..."

E non è questo che Giuseppe D'Ambrosio, libro dopo libro, ci invita a fare?


MARIA TERESA VENEZIA

su Google play:
http://goo.gl/A5bVV1

Pallino, il vecchio gatto di Joseph K.

venerdì 19 giugno 2009

sabato 6 giugno 2009

MI SON CONFUSA di Alda Merini

Mi son confusa
in una trama
piena zeppa di addii,
dal più povero al più ricco
poi tutti hanno detto
che mangiavo male
e dormivo peggio.
Ma tutti ancora vengono da me
a elemosinare parole di lune
che portino fortuna
a tutto il mondo,
e specialmente alle loro tasche.

ALDA MERINI

mercoledì 3 giugno 2009

L'AMORE E' LA RAGIONE di Alda Merini

Una rosa purissima è l'anima
in quel suo pensare
a una perenne primavera.
L'amore è la ragione.
Se tu ami
avrai rose tutti i giorni,
se tu non ami
sarai uno sterpo spoglio.

ALDA MERINI

lunedì 1 giugno 2009

TIRASOLCO A BARI racconto contadino di Giuseppe D'Ambrosio Angelillo

Una volta Tirasolco se ne andò a Bari, per avere una tresca con una prostituta. Infatti la trovò e poi se ne andò alla ricerca di una stamberga per passare la notte con la donna.
La trova e il portiere gli fa firmare il registro delle presenze. A firmare Tirasolco si accorge che un pidocchio se ne sta calmo sul suo nome ancora fresco di inchiostro. Allora lui afferra la donna e la strattona via.
L'albergatore rimane di stucco:
- Ehi, cafone, perchè te ne vai?
- E che vuoi, cittadino? C'è là un pidocchio che ha letto il mio nome e già me lo vedo che corre da mio padre a dirgli che me ne vengo a Bari a puttane.

Giuseppe D'Ambrosio Angelillo

DONNA di Alda Merini

Donna che cammini centomila volte avanti e indietro in un giorno. E una sera ti vedo fata che devia fiumi di carezze e una mattina ti vedo vagabonda tra le stelle a sognare la ciotola dove conservi la cena del tuo uomo. Il tuo angelo benedetto che se ne vola alla taverna a meditare sul bicchiere dove tu sempre versi il tuo umido perdono.

ALDA MERINI

venerdì 29 maggio 2009

giovedì 28 maggio 2009

CRISTO di Alda Merini

Quando ero ragazza amavo un dio bellissimo,
con l'anima furiosa
e il volto benedetto e santo.
Ero bellissima anch'io ad aspettarlo.
Ora con una sciarpa nera in testa
lo cerco ancora in qualche chiesa di periferia.

ALDA MERINI

mercoledì 27 maggio 2009

I POETI di Alda Merini

I poeti amano la loro interiore staticità e l'intima brevità del tempo e sono la solitudine eterna. Loro guardano sempre altrove dove tu mi senti e mi vedi. Nessun sentire è delle loro parole fino all'innamoramento della venuta e dell'urto che li conosce. Loro amano il sapere e le scoperte del loro sorgere.
I poeti hanno sempre cercato discepoli in tutto il loro mondo interiore che non ha mai discepoli. Hanno trovato il canto invece e come nume la menzogna degli altri. E la menzogna è entrata e entra nelle loro case come pura sconfitta e scrupoloso bene.
Ogni poeta è sconfitto, ogni poeta è bugiardo rispetto agli altri perchè mangia la mela aspra della menzogna. E la sua menzogna è il canto di un'ultima verità.

ALDA MERINI

LA FERROVIA racconto contadino di Giuseppe D'Ambrosio Angelillo

Nel 1878 entrò finalmente in funzione la linea ferroviaria
Bari-Taranto.
Si racconta che all'inaugurazione l'allora sindaco di Sannicandro incontrato il Capo della Ferrovia gli dicesse:
"Ma che minchia! Ma perchè diavolo l'avete costruita così lontana dal paese la stazione?"
Infatti la stazione di Sannicandro sarà lontana dal paese un 4-5
chilometri ancora oggi.
Il Capo della Ferrovia non si scompose e rispose:
"Beh! Per dir la verità ho pensato che tra la ferrovia e il paese
fosse molto meglio costruirla vicino alla ferrovia la stazione".
A tal proposito si racconta pure che lo stesso Capo della Ferrovia, il suo nome purtroppo non si ricorda, andasse prima della costruzione della linea dal sindaco di Cassano delle Murge
per chiedere se volevano che la ferrovia passasse anche di lì.
L'allora sindaco di Cassano indisse una assemblea popolare
in piazza per chiedere il consenso della popolazione.
E dal palco chiese:
"O popolo di Cassano, volete voi che la strada ferrata passi pure
da Cassano?"
Il popolo di Cassano rispose a una voce:
"La strada ferrata? Per carità, MAI e poi MAI!"
"Perchè?"
"I nostri muli a camminarci sopra ci scivolerebbero sempre,
spaccandosi le zampe in continuazione".
Cassano disse allora no e la ferrovia così la fecero passare da Acquaviva.

Giuseppe D'Ambrosio Angelillo

martedì 26 maggio 2009

QUANDO UN UOMO poesia di Alda Merini

Quando un uomo
non ti vuol più
quando chiami a gran voce la morte
perchè ti divori
quando si accoppia con un altro animale
che è sovranamente distinto
che non vede la tua riva fiorita
e non sa che tu vivi per lui.
Quando un uomo che vuole dimenticare
prende in prestito un'altra donna
per rimuovere il suo passato
allora il poeta muore
e non bastano le foglie d'alloro
che gli amici ti gettano ai piedi.

ALDA MERINI

sabato 23 maggio 2009

NARCISO poesia di Alda Merini

Gioca tranquillamente con l'acqua,
o Narciso che hai mille fonti
tra i tuoi capelli,
gioca e non cantare
le lacrime che sparge
una Aretusa ormai vecchia
e vecchia e folle e stanca
di imbandire cene
per un'accolita di Proci
che lasciano solo briciole per terra.

ALDA MERINI

venerdì 22 maggio 2009

SANGUINA, SANGUINA LA MIA VOCE poesia di Alda Merini

Sanguina, sanguina la mia voce
che gli altri credono immortale
e dicono che io fumo 2000 sigarette al giorno,
in realtà il pianto mi ha convertito la gola
in una fossa piena di leoni
e non vedono le continue lotte
dentro il mio corpo solo.

ALDA MERINI

giovedì 21 maggio 2009

L'ANALISTA poesia di Alda Merini

Dammi in mano la tua anima
che io non amerò mai
e io ne farò la putredine della mia intelligenza.
Non posso amarti e non voglio
ma ho bisogno,
ho maledettamente bisogno
di orpelli per il mio genio.
La tua figura mi piace
e mi dà leggermente sui nervi.
Sei prigionera di una strana salute
che io chiamo follia.
E se non la chiamassi follia
crollerebbe il mio impero.
Noi siamo religiosi,
da anni abbiamo un credo
che non è di nessuno.
Avevamo notato tutti
che la follia è una strana nebbia di dolore
ma che non è dolore vero.
E` un dolore acquisito:
è il morbo dell'abbandono.
Io non ti prometto niente
perchè se no sfrutterei il mio credo,
e ti do ragione.
Questo è il mio punto di attacco:
il cliente ha sempre ragione,
come dice il barista.
E dal momento che ti do ragione,
tu sei mia.
Ti colorerò in tutti i modi a mio piacere
anche perchè sempre
nel momento stesso
che tu sei sull'orlo della verità
io ti congedo
perchè scatta l'orario della visita.
Tu sei sempre sul punto di capire qualcosa
ma non lo capirai mai
perchè non l'ho capito nemmeno io.
E a questo punto ti lascio, cara.
Ci vediamo giovedì venturo,
dopo la Pasqua,
tempo permettendo.

ALDA MERINI

martedì 19 maggio 2009

CI SONO DRAGHI CON LA PELLE D'ANGELO poesia di Alda Merini

Ci sono draghi con la pelle d'angelo
che tu sogni di notte
e non distingui il colore delle parole.
Ci sono venti che ti entrano
dalla bocca
e non ti fanno cantare.
Ci sono concerti funebri
che vengono da lontano
e che raccontano di gente
che ha taciuto per sempre.
Questi cortei di morti
che arrivano fin sulla porta di casa
per bussare in silenzio
e venirmi a guardare
ancora una volta.
Ma dicono le cose di sempre:
che l'uomo vive
nell'inferno di questa terra
e la legge umana
non lo può proteggere.
Anche la Morte
ha il sale della tortura
sulla sua bocca.
Ah, se tu potessi almeno sapere
come si trasforma la morte
in un piatto freddo
per non buttare un altro giorno
nel lordume della spazzatura.
Ah, se tu potessi almeno sapere
che puoi fare indigestione di orrori
a guardare sempre
lo stesso angelo nero
di notte, di giorno
sotto forma di ricordi
che ti conducono
alla medesima dannazione.
Non puoi parlare
se la donna ti ha abbandonato
alla sedia bruciata
della tua solitudine,
se al tuo fianco c'è solo il ladrone
che muore con te sulla croce.
Non puoi parlare
se il grido ti occlude la gola
e ti ferma il cuore.
Mentre la rapina è una cosa diversa
che ti mangia la carne
e se ne ciba.
Ci sono rondini
che non sono più in questa casa.
Da che tu sei partita, figlia mia,
c'è una sola rondine sui rami
e non ti sei accorta che alcuni rami
di questa casa
erano fili spinati
messi lì per non farti più tornare
e così sei caduta a trascinarti via
e stai morendo.
E stai bruciando
vicino a un pane di pietra
mentre correvi da me nuda
e metti il tuo cibo
sulla bocca di un bacio mai dato,
mentre ancora l'amore ti meraviglia
per tutta la sua nera follia.


ALDA MERINI

lunedì 18 maggio 2009

IL CARPENTIERE poesia di Alda Merini

Il tuo volto era piena di lacrime
quando venivi qui
a rivoltare le pietre.
Nessuno ti salutava.
Per i Cognei, i padroni di casa,
eri un qualunque operaio.
Poi un giorno t'ho chiamato
e ho pianto d'amore per te.
Eri un uomo bellissimo,
che non credeva in me.
Poi ci siamo amati
e nessuno ha creduto.
E' entrato il Casiraghi
a dire che gli piacevi,
t'ha portato via.
Io domando,
al mio carpentiere,
che poi era laureato,
come mai gli uomini
si lasciano portare via,
come pecore,
anche se sono robusti?
Quando ti vidi
mi sembravi un angelo
e consegnai il Magnificat
tra le mie e le tue mani.
Come annunciazione improvvisa
di una grande catasrofe
di questa casa.
Ma tu non mi dicesti mai,
esperto carpentiere,
chi fu Ponzio Pilato
che si lavò le mani.

ALDA MERINI

IL COGNATO racconto contadino di Giuseppe D'Ambrosio Angelillo

Una volta Sabino il mendicante si fece ricevere da don Vito, il parroco di Sant'Agostino facendosi annunciare come il cognato di Cristo.
Quando don Vito se lo vide davanti trasecolò, gli crollarono le braccia e disse:
- Ma dai, Sabino. Cos'è? Ti metti persino a bestemmiare adesso? Cos'è la faccenda del cognato di nostro Signore?
Sabino, con la faccia innocente gli rispose:
- Don Vito, che bestemmia? Mia sorella s'è fatta monaca dieci anni fa e è andata in sposa a Cristo. E allora io chi sono se non suo cognato?
Don Vito lo cacciò a calci, e quella volta Sabino se ne andò senza obolo.

GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

sabato 16 maggio 2009

IL POETA poesia di Alda Merini

(ad Angelo Capovilla)

Non chiuderò, Angelo,
il libro dei miei orrori
senza ricordare la tua faccia gelida
che muore in manicomio.
Avevi appena vent'anni
e volevi sposarmi
e tua madre t'aveva messo lì,
senza mai venirti a vedere.
Andavi a lavorare per me,
mi pagavi persino il telefono.
Tu invocavi tua madre,
che ti aveva disconosciuto.
Poi, un giorno,
allungasti la mano,
verso me e verso Manuel,
perchè ti regalassimo un pane
invece ti portarono in galera
per sempre.
Da bambino mi avevi conosciuto
e quando mi ritrovasti dopo
ti eri innamorato.
Ti derisero tutti
ma non possono chiudere
il mio libro
senza condannare tua madre
che ti ha diseredato
persino del tuo nome.
Un giorno ti dissi la verità,
ti feci scoprire il nome di tuo padre,
ti dissi chi era e come era morto
e finalmente trovasti il coraggio
di farla finita.

ALDA MERINI

DONNE DI CITTA' racconto contadino di Giuseppe D'Ambrosio Angelillo

Una volta Andrea Carretta finalmente fece un viaggio a Roma, e lì andò a trovare un suo parente bottegaio che si chiamava Zuccherino.
Zuccherino allora fece fare un giro nella capitale a Andrea Carretta, che mai aveva lasciato il suo paese di contadini, Acquaviva.
E lì, sul corso, bellissime donne, tutte profumate e elegantissime passeggiavano avanti e indietro.
E curiosamente a ogni bella donna che incontrava Andrea Carretta si dava uno schiaffo bello forte sulla sua stessa guancia, ora a destra ora a sinistra, ora a sinistra ora a destra.
- Andrea, ma che minchia fai? - gli disse il parente, - perchè ti sciaffeggi?
- Ma con tutte queste belle donne che esistono al mondo io proprio la più strega e la più brutta del mio paese mi dovevo prendere in moglie?
Infatti sua moglie si chiamava per il suo terribile aspetto, Sabbetta la Morte.

GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

venerdì 15 maggio 2009

MI DICESSE QUALCOSA LA POESIA poesia di Alda Merini

Mi dicesse qualcosa la poesia
ora che mi dà
questo vomito tremendo
che da signora
è diventata baldracca.
Tutti l'hanno pigiata sotto i piedi
e tutti rappresentano un dolore
di una donna
già morta nell'infamia.
Potessi amarla la ma poesia.
Me l'ha toccata il nuovo editore
che l'altro è morto.
Lui ha cambiato pelle
come una biscia l'ho trovato fuori,
fuori dalla porta
e mi ha fatto cadere.
E adesso il grande dell'ipotenusa
ha rinnovato la veste:
è l'imperatore di tutte le sconfitte
che ho subito.

ALDA MERINI

IL CONSIGLIO racconto contadino di Giuseppe D'Ambrosio Angelillo

Una volta Sabino il mendicante andò a trovare il Barone sulla via di Bari. Si fece ricevere dicendo che era il gran consigliere del presidente della repubblica.
Il Barone naturalmente lo ricevette e quando si vide davanti a sè Sabino Domanipiove, detto così perchè prevedeva sempre pioggia per l'indomani ben sapendo che ciò faceva piacere ai contadini, così gli davano l'obolo più volentieri.
- Ma dannazione! Come t'è saltato in testa di sparare questa fanfaluca che tu sei nientemeno il gran consigliere del presidente della repubblica? Ti faccio cacciare a calci ora! Nemmeno il consigliere del tuo cane sei tu, per quanto sei pezzente.
- Calma. Calma, Barone. Fammi spiegare. - disse Sabino.
- E spiega! - fece Barone.
- Io i consigli li do agli altri e non a me stesso.
- E allora?
- Dammi una lira e te ne darò uno sopraffino.
A sorpresa il Barone tirò fuori una lira e gliela diede al mendicante.
- Tieni, maledetto. E non farti vedere mai più. Non posso soffrire mendicanti attorno a me.
Sabino, marpione, incassò l'obolo e disse:
- Barone, se davvero non vuoi vedere mendicanti attorno a te, e questo è il mio gran consiglio come se tu fossi davvero il presidente della repubblica, spartisci la pagnotta con il tuo fratello, e poi vedresti che nemmeno esisterebbero più i pezzenti, se tutti i ricconi pari tuoi facessero come te.

GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

giovedì 14 maggio 2009

L'INNAMORATO poesia di Alda Merini

Cosa ne fai del tuo tempo
invece di conquistare
la donna che ami?
Che getti ai piedi di 1000 fanciulli
come fossi uno sciocco mendicante?
E` la tua posa abituale questa
di amare chi non ti vuole.
Ma tu sei del nostro momento:
gli uomini che cercano l'impossibile.
Quando io ero in rianimazione
ero in pace con il mondo intero,
non ti avessi mai conosciuto:
invece di rianimarmi mi hai ucciso.
Io non so dove vai
io non so che fai
io non so che strade percorri.
Intanto piango
perchè tu non sei un buon amatore
ma uno che fa conquiste.

ALDA MERINI

LA VITA NEI CAMPI racconto contadino di Giuseppe D'Ambrosio Angelillo

Una volta Tatasigno e suo figlio Tracco se ne andavano in campagna a lavorare di buon mattino con il loro traino, mula e cavallo.
- Che bella la vita nei campi. - disse Tatasigno al figlio.
- Beh! Mica tanto, padre. Si fatica e si fatica e prendono tutto i mediatori e chissà chi altri là in quelle babilonie di città. - disse Fracco.
- No. No... - stava dicendo Tatasigno, quando a un tratto passò sulle loro teste una cornacchia e scaricò una schifezza proprio sul cuzzetto del vecchio.
- Hai visto, padre? Anche una cornacchia caca in testa al contadino e la fa franca. - disse il figlio, sorridendo.
- Sì, Sì... -disse Tatasigno. - Una cornacchia, ma non era mica un uomo di città.
- Già. - disse Fracco. - Gli uomini di città non hanno bisogno nemmeno di volare per cacare in testa al contadino.

GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

mercoledì 13 maggio 2009

PLUTO poesia di Alda Merini

Pluto,
cane fedele degli psichiatri,
come fai a trovare buono un gelato
che è pieno di veleno?
Come fai a leccare l'inferno
che ti brucia le dita?
Come fai a dire che l'ombra
è piena di luce?
Ma loro come amano la follia
così vogliono capire di te
ogni mattone del pavimento,
loro vogliono capire
come fai a illuminare la lampadina del tuo pensiero.
E così sei felice di non essere visto
e così sei contento
di essere perfetto come un angelo
che non è mai compreso.
Intanto mi hai rubato l'ultimo gelato,
mi hai rubato anche la cena,
perchè sei un insaziabile guaritore.
Mi hai baciato persino mia figlia
poi non hai ringraziato nessuno
perchè il sapere della tua intelligenza
è così potente
che gli altri non sanno
che dovevano ringraziare te.
Perchè il miracolo della follia
è di trovare dolce
ogni veleno.

ALDA MERINI

INGEGNERIA DELL'ESPERIENZA racconto contadino di Giuseppe D'Ambrosio Angelillo

Velino e Roccia misero su una ditta di benzina. Una cosa in grande: tre pompe e vendita a dettaglio di olio di macchina.
E così Mangialardo una volta incontrando Roccia, tutto contento, lo sguardo sicuro, il petto fiero, non si trattenne dal chiedergli:
- O Roccia, che hai fatto? Hai per caso firmato un contratto con Dio?
- L'hai detta giusta. Ci sei cascato in mezzo proprio con tutt'e due i piedi.
- E allora?
- Mi son messo in società con Velino, il gran proprietario di soldi.
- Lo so, lui è ricco sfondato, ma tu?
- Ecco... io capisco l'importanza della benzina per il futuro dei contadini e lui ha la pila delle monete d'oro. L'anno che viene i contadini avranno la benzina e io avrò la pila delle monete d'oro in comune con il gran proprietario di denaro Velino.

Giuseppe D'Ambrosio Angelillo

martedì 12 maggio 2009

PIGMEI poesia di Alda Merini

Ci deve essere un demone tranquillo
che visita le mie mani oggi
un pulviscolo d'oro
un sentimento
e intanto vanno su tutti
che il grande editore
ha scritto alla sua sposa.
Era una gentile libera signora,
era una secchia vista da lontano.
Han rapito la secchia o la secchiona
non si sa quale strano monumento.
Gli hanno messo all'ingresso
una pagoda
fatta di piccolissimi cinesi
che mi cuciono tracce sulle spalle.

ALDA MERINI

IL CIMMORUTO racconto contadino di Giuseppe D'Ambrosio Angelillo

C'era una volta a Acquaviva un vecchio contadino che le pesanti fatiche nei campi gli avevano fatto venire una grossa gobba sulle spalle e per questo poi gli dicevano il Cimmoruto, u Cimmrut, cioè: il Gobbo.
In tarda età la gobba s'ingrandì e s'incurvò ancor più, e ecco allora le cattiverie e le burle di tutti, specialmente dei ragazzini, aumentarono in gran vertigine.
Tutti dietro a dire:
"Che sgorbio di uomo".
"Che persona informe".
"Che vecchio disgraziato".
E così il Cimmoruto imparò a rispondere a chi gli andava a riferire i gran pettegolezzi e le gran malignità che gli appioppavano sul suo conto per il suo così appariscente difetto fisico.
"Quanto pare brutto quel vecchio".
"Ma che se ne va in giro a fare? Non s'accorge quanto fa impressione?"
Queste le solite voci quando lui passava per andare a prendersi l'ultimo sole nei giardini d' in mezzo al largo di Piazza Garibaldi.
Una volta un suo amico gli disse:
"Quante te ne dicono alle spalle, compare mio. Ma davvero tante e di cattivissime".
"E che vuoi che faccia, amico mio? Mi metto tutto sul ciummo e vado avanti", rispondeva sempre così ormai il Cimmoruto, senza nemmeno un velo di malinconia, perchè forse ben sapeva come erano fatti gli uomini e di come erano composti.

Giuseppe D'Ambrosio Angelillo, Contadini e squattrinati, racconti


n.b. ciummo significa gobba

www.dambrosioangelillo.it

domenica 10 maggio 2009

LA SCRITTURA di Alda Merini

La scrittura è un segno che nasce dall'interno delle nostre vite.
Per vita s'intende un luogo, uno sfogo,
un inceneritore ideale che bruci il superfluo delle parole.
La parola quindi diventa il vaticinio,
la sfera di cristallo ove l'anima va combusta,
dove s'infiammano le segrete malinconie che creano il vuoto
e sono la spia dell'ingegno.
Coloro che vivono in assemblaggio
pieni di lacrime degli altri,
dei sonni caotici della confessione,
non scrivono mai.
Scrivere vuol dire piacere di meditare sempre.
Il Poeta è un sacerdote del silenzio di un'anima
che di lontano e assolutamente solo
piange il segreto della sua eternità.

ALDA MERINI

venerdì 1 maggio 2009

CURTO MARTINO poesia di giuseppe d'ambrosio angelillo

a Vito Abrusci

Quando di domenica hai mangiato
e di pomeriggio non hai niente da fare,
prendi la macchina e fatti un giro a Curto Martino,
in compagnia di un vecchio amico o con i tuoi soli sogni,
il cielo è altissimo su quelle colline
e ti vien voglia di volare su un aereo di terra che non ha motori
e là comunque ci sono di guardia possenti trulli
forti come castelli secolari,
c'è pure un'entrata da quelle parti
che noi ragazzini una volta chiamavamo la Grotta del Lupo.
A strapiombo crollano tutti gli orizzonti
e ti inoltri nel segreto del sottosuolo
che confina con il cuore puro della vita dei campi arati: l'acqua.
L'acqua bella e cara di Acquaviva.
Acquaviva delle Fonti, l'acqua che se ficchi un dito nel terreno
sgorga fuori come un miracolo.
Capisco da quassù,
sul capo di roccia del vero ceppo dell'esistere,
perchè in molti al nord mi invidiano
il fatto di essere nato in questo paese.
Da lontano i litorali baresi lucidati come manici di padelle,
e i mandorli in fiore
come fanti di legno in parata
a profumare verso il mare ogni parola detta
non detta, soltanto pensata.
Come si fa a leggere a fondo questo paesaggio della nostra stessa anima?
Qui ogni fondamento e ogni vanità si fermano
e fanno punto.
Acqua, terra, cielo. Passato, presente, futuro.
E il fuoco lento della nostra immobilità
che ci brucia tutti fin nella nostra più minuscola malinconia.
Una specie di divenire naturale e metafisico allo stesso tempo.


Giuseppe D'Ambrosio Angelillo


http://www.libriacquaviva.org/

http://www.books.google.it cerca romanzi D'Ambrosio Angelillo

domenica 26 aprile 2009

LIBERTA' poesia di giuseppe d'ambrosio angelillo

la libertà, come sa qualsiasi ribelle,
ti illumina la faccia e lo sguardo.
la libertà rischia di far seccare la pelle ai giovani
appena sale al comando un qualsiasi tiranno.
la libertà spara tempeste di verità nei pensieri di ognuno.
chiunque se ne può accorgere.
la libertà urla di rabbia
appena arriva un qualsiasi imperatore in visita
o incontra un parlamentare con la pancia gonfia
e gli occhi strafatti di protervia...
il tiranno acceca i cani tagliando loro le zampe
e innalzando loro il ginocchio calloso
fino al livello e al rango della testa
per il misero salario di un osso già spolpato 1000 volte.
e quando il popolo paziente va alle urne a svernare
i cani non son capaci di far la croce
nemmeno sul cuore svenduto
del loro tradimento,
nemmeno sul culo di una bella puttana,
nemmeno sulla merda che loro stessi fanno per strada.
il potere intanto dà a buzzo suo
pagnotte e ricchezze e fame.
il tiranno ti vota la bolletta e il debito
e il sopruso indegno del padrone della lanterna
e la vita a ramengo.
il potere o ti domina o ti costringe,
o peggio ti usa, ma non si preoccupa mai di te,
misero suddito di estrema periferia.
la libertà ti fa sognare sempre
un angolino di paradiso,
ma l'inferno
te lo regala in blocco,
se per follia
non ti accontenti
del tuo urlo nella notte...
la libertà è una radio a tutto volume
che trasmette in tutti i cieli
la musica di un firmamento bellissimo a tutti gli sguardi.
come la vita.
la libertà è un amore furioso
che farà fallire un giorno
tutte le politiche senza cuore
e tutti i denari senza uomini...
sì ma per ora ti tocca faticare, soffrire
e zoppicare come uno storpio per tutte le strade...
sempre senza un soldo...
la vita canta libera ovunque,
qualsiasi fatuo lo sa,
anche se tutti i pidocchi fanno finta di niente...
amore, infinito e rock 'n roll...
tutto vero... questo è il bene di chi ti ama davvero...
LIBERTA'... cara... bella... piena d'amore...
carica di follia... sempre generosa con tutti...


giuseppe d'ambrosio angelillo

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www.googlelibri.com cerca:romanzi angelillo

venerdì 24 aprile 2009

SU GOOGLE LIBRI 4 ROMANZI DI G. D'AMBROSIO ANGELILLO

Cari Amici, Ragazzi,
da oggi potete leggere a lettura libera
su GOOGLE LIBRI
4 miei romanzi:
IL PREFESSORE DI FILOSOFIA
IL MEDIANO NELLA BIRRA
RIVOLUZIONE 1
BULLAZZE E MARMITTONI.
Se vi piacciono fate passaparola,
la mia vera carta vincente,
così fra non molto possa mettervi a disposizione
qualche altro mio libro,
sempre a lettura libera.

Grazie
e FORZA E FORTUNA A TUTTI.
ciao
Giuseppe D'Ambrosio Angelillo

www.libriacquaviva.org

sabato 28 marzo 2009

IL MEDIANO poesia di giuseppe d'ambrosio angelillo

il mediano ha due gambe
che corrono sempre per il campo,
giorno e notte a spiattellare palloni buoni
per tutte le punte,
due gambe piene di birra viva sparata a fatica
finchè prima o poi qualche fesso
non fa secco il portiere avversario.
il mediano corre sempre per il campo
pieno zeppo di cespugli di spine e di rose,
cerca sempre di tirare ai damerini,
cerca sempre di strappare qualche maglia
per vedere se il bamboccio è un uomo vero
o fa finta di fare il cane.
il mediano non ha mai un destino di gloria,
ma sempre una sorte fasulla
per pregare gli ammiragli
e tirare con le sue gambe forti
un sogno da raccontare a tutti poi a sera
in televisione.
passaggi pennellati sempre a misura
per quei bimbetti d'attaccanti
sempre a caccia di farfalle
là a centro area.
nessuno ha pietà del mediano
nè di tagliare sodo alle sue gambe,
con qualche bestemmia fra i denti
lui cade e si rialza,
non si lamenta,
ci vediamo un po' più in là
nel proseguio dell'azione,
maledetto figlio di puttana.
nessuno ha pietà delle gambe del mediano
sempre in corsa a faticare,
mentre quei bellimbusti di attaccanti
son tutti lì davanti belli freschi
a implorare la madonna
di far loro qualche miracolo.
ma il mediano è sempre lì
che corre per il campo,
corre sempre
finchè non ha più le gambe.

giuseppe d'ambrosio angelillo, POLENTA E PSICOFARMACI, acquaviva 2003

www.dambrosioangelillo.it

mercoledì 18 marzo 2009

CAFFE` COSMICO poesia di giuseppe d'ambrosio angelillo

speranza, futuro. si può mai campare di tutto questo?
si può fare, si può fare
all'unica condizione di essere completamente pazzo.
e io per fortuna lo sono, con parecchio resto di dietro.
cifre e scudi e ricerche dell'asssoluto sulle spiagge di notte,
quando il cielo stellato ti si ficca fin nei tuoi capelli
per dirti che ti puoi aggrappare pure.
e lentezza e stile
e trovi tesori in qualsiasi bar
con whiski e rum,
e voli come un razzo ciunco e orbo che tu sia,
fa niente: tanto è profondo il mare
per l'occhio di corallo dell'uomo.
trova il rampone e la ragazza bagnata
e poi corri pure dietro a ogni pifferaio che passa
sia tu un topo o un volpone,
tanto il risultato è lo stesso sempre:
la lana di rugiada di una fantasia parcheggiata qualsiasi.
femmine e cani, tutti a correre nel medesimo trabiccolo
del sole di nome Terra.
tasta la fiamma.
doppiamente sordo al rumore della polvere perduta per sempre.
poi bevi pure il caffè che fa muovere l'intero universo.

giuseppe d'ambrosio angelillo

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POESIE E RAGAZZE poesia di giuseppe d'ambrosio angelillo

è meglio una ragazza che la più bella poesia.
il tempo scompare sempre
e l'editore è sempre un filo di sbornia spirituale
che ci attacca a una carezza.
mi capite?
credo di sì.
credo di no.
ma una ragazza e una notte
valgono di sicuro tutti i nobel del mondo,
di sicuro molto di più ancora.
e la bellezza e la scrittura se valgono qualcosa
è certo perchè un demonio
ci ha messo una ragazza nel cuore per l'eternità.
mi capite?
credo di sì.
credo di no.
ma neanche credere vale granchè
davanti a una ragazza che ti accarezza
per amore.
mi capite?


giuseppe d'ambrosio angelillo

www.libriacquaviva.org

venerdì 13 marzo 2009

UNA DRITTA DA DOSTOEVSKIJ

PERCHE' AVREMMO UNA MENTE
SE NON PER FARE A MODO NOSTRO
IN PIENA LIBERTA'?

dostoevskij

SUCCESSI poesia di giuseppe d'ambrosio angelillo

un anno di successi passato tutto
dietro lo sbranamento del nulla.
mentre pianti e risate si alternano
nelle anticamere bloccate del nostro cervello.
con tutta questa città di pettegolezzi
da ingurgitare come cieli finti e scoppiati.
nessuno più vuole lavorare di buzzo buono,
siamo tutti cresciuti a merende elettriche
a latte di antibiotici.
il nostro futuro è un occhio di psicofarmaco
che ci vuole rubare
qualsiasi buona parola,
qualsiasi sorriso,
qualsiasi Dio.

giuseppe d'ambrosio angelillo

LETTERA DA KAFKA poesia di giuseppe d'ambrosio angelillo

la parola di una voce sconosciuta
se ne va in giro per le scale di una stupida radio.
potrei andarmene se volessi
ma per intanto resto
perchè per intanto anche il buio resta
mentre la luce
è destino che saetti via.
io potrei cambiare treno se volessi
ma per intanto vado sempre nello stesso posto.
dietro un castello scarlatto che non mi vuole mai,
altri là dentro hanno rubato tutti i miei giorni felici.
ecco lo squallido amorevole perchè.

giuseppe d'ambrosio angelillo

GRUNDRISSE poesia di giuseppe d'ambrosio angelillo

le banche stanno fallendo da new york a bologna
con i messicani e gli inglesi
a squartare la volpe d'argento
e i 5 re che sdoppiano i paesi
in poveri e ricchi.
ogni 80 anni cala la mannaia
che fa di ogni soldo un nulla,
è scritto a chiare lettere nei lineamenti fondamentali
di un profeta barbuto moro
che vorrebbe migliorare il mondo quasi quanto l'uomo,
nei meandri dell'impero che taglia proletari
e costruisce babilonie parola su parola
anime su anime
locuste su locuste.
mentre la firma del pane ormai non è accettata più
nemmeno dall'affamato del sacro nome della libertà,
che tiene scrittura di angelo
pure nella sottile ironia dell'inferno,
perchè il colpo di fortuna
è tutto da giocare sul peccato mortale,
perchè se falliscono tutte le banche
è forse probabile che riescano tutti gli uomini.
la fiducia del prossimo
scorre sulla mia mano incerta
come una lacrima.
mentre il padre carezza la testa del figlio
perchè vuole tutti i suoi pensieri felici.
amico, se crolla zeus
non è mica detto che fallisca pure il vino e il pane.
Gesù pure
avrà da dire ancora qualcosa
se si sfracella una volta per tutte il capitalismo.

giuseppe d'ambrosio angelillo

SENZA PAURA poesia di giuseppe d'ambrosio angelillo

Cos'è il mio Cuore? E soprattutto chi è?
sono un pazzo e forse molto più che un pazzo.
sono sempre andato in cerca della benzina
dei segnali notturni della felicità
e dell'ufficio della gente di mare
che stacca grano e miliardi di stelle
da quello strano negozio di parrucchiera
dove ho lavorato la prima volta
con un certo stile come minatore d'oro.
ho raspato la polvere e bevuto la nuvola
sotto un impero di cielo che covava ribelli
e fantasmi sperduti a caccia di ragazze scollate.
ho volato e navigato. andato a piedi e sui treni
con la bandiera delle 7 vite e la trombetta
di quando ero bambino e poi diventato sognatore.
parcheggiato sempre sull'altro lato della strada.
ho sempre lisciato le femmine e i gatti
e calcolato tutto con il preciso compasso dei loro occhi.
ho assaggiato il vulcano e il ghiaccio dell'oceano a nord.
so perfettamente solo una cosa:
l'avanzare del mio piede in avanti.


giuseppe d'ambosio angelillo

martedì 3 marzo 2009

ACQUAVIVA EDITORE libriacquaviva.blogspot.com Piccola Casa Editrice

POESIA. NARRATIVA. FILOSOFIA
ARTE
PASSIONE

piccola casa editrice artistica artigianale underground
milanese
e pugliese

Copie fatte a mano
edizioni d'arte
acquarelli originali in copertina

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Giuseppe D'Ambrosio Angelillo
339. 142 76 92