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mercoledì 30 aprile 2014

GLI ANNI PAZZI



GLI ANNI PAZZI

Gli anni scandiscono le loro cantilene
e poi vanno.
Uno dopo l'altro,
chi capisce capisce
chi si ricorda si ricorda.
Poi diventano fantasmi.
Così come un pò noi con loro.
L'anno di Pavese.
L'anno di Novalis.
L'anno di Platone.
I quattro anni di Ernst Bloch.
I sei anni di Dostoevskij.
I dieci anni di Tubinga, la tedesca.
I dieci anni di Giaffa, l'ebrea.
I venti anni di Parigi, la fata.
Gli anni alla chetichella
tra Gogol e Bukowski.
I 15 anni di Alda Merini.
L'anno di Dario Fo,
l'anno dei sogni di Federico Fellini.
L'anno della Grecia
l'anno della Germania
l'anno dell'Inghilterra.
Ne parlo sempre molto poco.
Mi piace invece parlare della seconda guerra mondiale
che continua ancora nei sottofondi della storia.
Io che guardo
gli Americani,
gli Inglesi,
i Russi,
i Tedeschi,
gli Italiani.
La Storia se la gode.
Gli anni fanno i pazzi, come al solito.
Noi i fantasmi.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

da "I PAZZI" 11 poesie, Acquaviva, 2014

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SERATA NO PER PUTTANE E POESIA


SERATA NO PER PUTTANE E POESIA

Una prostituta se ne stava a seno nudo
questa sera
sulle rive di via Ponte Vetero a Brera,
stava affacciata al suo balcone di marciapiede
e pesava la mortadella
con la sua bilancia di scarsa precisione.
Mi sono avvicinato e le ho detto:
"Guadagni bene?
La mortadella è buona?
E il pane è fresco almeno?"
Lei si è affacciata ancor più alla balaustra
e ha detto:
"Fa freddo.
Forse è perché sono mezza nuda.
Ma son troppi a riscaldarmi con le loro idiozie".
Allora ha chiuso la sua bottega
ha arrotolato la sua balaustra
ha preso la mortadella e il pane fresco
e se n'è andata
senza dirmi più niente.
Allora io ho preso la mia bancarella
e l'ho montata
proprio dove prima c'era la prostituta.
Ho messo i miei libri sul panno verde
e ho detto:
"Ecco qui la mia poesia puttana,
non è buona come la mortadella
ed è vecchia come il cucco
e ha pure un pò di muffa.
Ma è sincera
e è buona per l'occasione".
Non si è fermato nessuno
nessuno mi ha ascoltato
e faceva più freddo di prima,
di quando c'era la prostituta con il seno nudo.
Allora ho detto:
"Chi vuole mangiare mangia
e chi non vuole mangiare 
non mangia.
Qui c'è la poesia
ma non se la vuole mangiare nessuno".
Nessuno si è fermato,
nessuno mi ha manco ascoltato.
E faceva pure più freddo
di quando se n'era andata la prostituta
con il seno nudo.
Allora ho arrotolato il panno verde,
ho messo via la mia poesia
e rinchiuso in un sacco la mia bancarella.
Lì, sull'uscio di una trattoria toscana
c'era un uomo grasso con la panza fuori,
grassa da far spavento,
che si fumava il suo sigaro come un farabutto.
Forse era un mafioso,
o un magnaccia
o un riccone in trasferta.
"Il mondo è troppo stupido,
mi son detto,
la poesia non lo scalfisce di un graffio,
è sempre quello,
sempre uguale a se stesso
come un francobollo timbrato".
E mi sono incamminato a piedi per casa,
prendendo ancora tanto freddo
io
e i miei poveri libri.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

da "I PAZZI" 11 poesie, Acquaviva, 2014

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I PAZZI

I PAZZI

Sono un pazzo di Dio,
cammino sul soffitto
come un ragno solitario,
così non mi vede nessuno
così non mi pensa nessuno.
Mi ubriaco di campari rosso
perché qui in India la birra non si trova.
Sono un pazzo di Dio,
posso pure farmi fuori.
Un pazzo
può questo e altro.
L'aiuto non è contemplato.
Le versioni son troppe,
molteplici
ma dicono tutti la stessa cosa.
La precisione è precisione
e la follia è follia.
Non si possono confondere le cose,
per esempio le città
con le persone.
Infatti una persona può essere tranquillamente pazza
una città assolutamente no,
anche se è composta da persone tutte pazze,
nessuno escluso.
E' come se avesse un lasciapassare del prefetto,
che in queste cose è più potente di Dio.
Io sono un pazzo
mi ubriaco
e me ne sto sul soffitto,
appeso come una tela di ragno
(il ragno è andato via).
Comunque non sono precisamente un pazzo
perchè non mi hanno mai caricato su un'autombulanza,
ma me ne sto ubriaco
sul soffitto.
Qui in India la birra non si trova
e vivo in una baracca,
ma faccio l'amore
esattamente come un riccone.
Una giapponese si è innamorata di me
e pure una svedese,
ma la giapponese se n'è scappata in Giappone
dal suo fidanzato
e la svedese è sparita stamattina.
Stasera la cercherò lungo il fiume,
mi porterò del cibo
da dar da mangiare ai cani randagi
così non mi assaltino.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

da "I PAZZI" 11 poesie, Acquaviva, 2014

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martedì 29 aprile 2014

DI RITORNO DALL'ANABASI


 File:Xenophon.jpg

DI RITORNO DALL'ANABASI

Nell'armata di Senofonte
ora ero di retroguardia
ora di avanguardia,
di Persiani e loro schiavi
ne abbiamo ucciso un subisso.
Loro una volta, in un lurido tranello,
tutti i nostri capi,
ma ignoravano i barbari
che ogni greco è un uomo libero.
Tornammo a casa quasi tutti
continuando a farne strage
e loro incredibilmente
continuando a non capire
perché eravamo imbattibili.
Finché sul Ponto
non sentimmo nei pressi di Trapezunte
il buon odore delle nostre frittelle,
dei nostri suvlaki arrostiti.
Intonammo alti i nostri inni
e alzammo fieri le nostre armi,
avevamo ritrovato la nostra Patria,
la nostra bella Patria di tutte le nostre felicità,
e piangemmo di gioia,
perché avevamo attraversato da uomini liberi
il mondo del sopruso e del tiranno,
rimanendo quasi come numi
in mezzo a tanti schiavi
Greci.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

da "I PAZZI" 11 poesie, Acquaviva, 2014

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L'UOMO DELLA STRADA

L'UOMO DELLA STRADA

Scambio con lui ogni tanto qualche parola.
Non ci diciamo molto.
"Dove vai?"
"Cosa stai facendo?"
"Che tempo farà domani?"
"Come ti chiami?"
"Quanto prendi al mese?"
Poi ognuno se ne va,
chi si affretta a prendere il tram,
chi porta via il cane,
chi accende una sigaretta.
Ognuno volteggia sicuro
nella sua oscura acrobazia.
Chi è buono,
chi è paziente.
Ma mi accorgo molto bene
che la maggior parte di loro sono cattivi.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

da "I PAZZI" 11 poesie, Acquaviva 2014

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venerdì 25 aprile 2014

BREVE AUTOBIOGRAFIA CON GATTONE NERO di Giuseppe D'Ambrosio Angelillo


La vita è felice
per un poeta squattrinato
e pressocché sconosciuto.
Vagabondo per la città
come un campione da romanzi,
frequento i perversi della poesia
di tutte le salse e di tutte le misure,
sfoglio il giornale del centro
e poi mi abbasso per i fogliacci delle periferie,
sono un oriundo di quel della Magna Grecia,
quasi un greco antico travestito da italiano bamba,
sempre letta "la Repubblica" di Platone
e fatti i campeggi con quel cane di Diogene,
cercando l'uomo
e trovando sempre la carogna.
Penso di essere Pinocchio
quando il Gatto e la Volpe gli rubano
i 4 soldi,
il Naviglio Grande
è la mia Pietroburgo,
scarpe del tennis
e biciclette rubate e comprate,
comprate e rubate,
anche da dietro la porta e 4 catenacci forti,
giornalista di fonderia
operaio di rivista,
autista di notte,
infanzia in campagna
a portare sulla via le pietre dopo lo scasso
per piantarci una vigna
di vino viola tosto primitivo.
F 104 sul cielo di Puglia
e incrociatori da battaglia nel golfo di Taranto,
una folla sterminata di santi e madonne
al mio paese,
cassette di colori rubate
e portate indietro
alla scuola elementare,
panettiere di vie secondarie
licenziato per andare a fare il bagno a Trieste,
per piantare un alberello a Venezia,
a dormire con le tedesche 
sulle scale di una pensione antichissima.
Sbarcai una volta in Inghilterra
e l'invasi da solo
senza neanche la pistola,
il traghetto era di Napoleone però.
Normanni noi e gli Inglesi
e nessuno ne sa niente,
abitai da un filosofo indiano
con una dea per figlia,
e anche lì mangiai bistecche greche arrostite
e rose di giardino appena sbocciate.
Non leggo più niente,
è una vita che ho divorato biblioteche,
una dinamite in tasca
e una caravella fiorentina nel cuore.
Ho fatto il Risorgimento con Garibaldi
e lo spernacchiatore in un teatro di Napoli,
sono stato a Digione
e a Guadalajara
a dormire di notte sotto gli ulivi,
senza temere le stelle
e sperando di tornarci.
Ho visto a Londra
una processione di poveri lunga 3 kilometri,
e un accattone a dormire su un altare
quasi fosse il santo
a Westminster Chatedral.
Con tutta Milano allo stadio a battere le mani
a Bob Marley.
Torno sempre comunque al mio paese
per mangiarci torte di cipolle forti,
e ragù di asino
per sentirmi in forma.
Ho sognato Atene in India
e in India di annegare nel Gange,
mi salvò un corvo
che poi mi rubò i pantaloni con il portafogli dentro. 
Ma io avevo la mia vita
e me ne fregai alquanto,
anzi scoppiai a ridere
e me ne andai al ristorante
a farmi offrire da mangiare
da una bambina che poteva essere mia figlia.
Sono sempre stato solo
anche quando l'Italia vinceva il campionato del mondo
e si metteva a vorticare intorno con le motociclette.
Ho messo tenda a Milano
un pò lontano dal miracolo del Duomo,
praticamente è un esilio
ma l'Italia è fatta così,
era straniero in patria anche Garibaldi
che l'ha fatta.
Bukowski mi deve 30 dollari
e anche Fedro 10 mine d'argento.
Mia madre m'ha sempre detto
che avrei dovuto fare il generale
o in mancanza almeno il medico all'ospedale.
Ho preferito la poesia
per far lo spiantato squattrinato
di professione.
Vendo libri per strada
nella babilonia milanese
senza più risotti nè ossi buchi
senza più Navigli nè chiesette nè osterie.
La folla dei poveri
l'han cacciata dalla città,
e io resisto solo perché ho un permesso speciale 
di Don Chisciotte.
Ho incontrato Federico Fellini, Dario Fo e Alda Merini,
son stato loro amico
con le mie scarpe rotte
e i miei pantaloni sdruciti.
Non tutti gli uccelli conoscono il grano
e di certo anch'io sono uno di quelli.
Faccio il campanaro notturno
con la tuta del falegname,
affitto sedie a sdraio all'inferno
e vendo birre fresche in paradiso.
Conosco centinaia di metropoli
ma il mio treno si ferma solo a Milano,
pianto libri come ulivi,
poi faccio un olio antico
che vendo per un caffè molto speciale,
ho visto tanti monumenti di eroi
e masnadieri
ma il più bello era quello di Charlot
a Leicester Square in quel della londinesa città.
E la locomotiva caduta dal balcone della stazione
penzolante nell'aria a Berlino
e il travestito da donna che fa la rapina
alla Banca d'Inghilterra
lasciando tutti a bocca aperta,
non l'hanno mai preso
e mai hanno saputo chi diavolo era,
se non proprio il diavolo.
E gli Americani a cavallo
là nella campagna di Norimberga
che puntavano dritto al castello
con la sigaretta in bocca
e le tasche piene di cioccolata,
ridendo come dei cartoni di pietra
che mai saranno sconfitti dalla filosofia.
E i comizi di Ezra Pound alla radio italiana
che raccontava di liberarsi di tutti i liberatori
per essere veramente liberi
ma con il rischio di essere già schiavi,
là con le capre di mio nonno Salvatore
tra i campi d'erba di Acquaviva 
a saltare sui trulli
e tornare a casa
a mangiare pane con la ricotta ancora calda.
E i cori serali di canzoni blues
sui testi di san Paolo
o di Giovanni l'Evangelista,
quello dell'Apocalisse visionaria,
con i missili sbaraccati dai nostri nuovi campetti di calcio
e le casse di arance di Krusciov
mandate per sbaglio a Aldo Moro
che a Acquaviva fondò 50 scuole,
piantò 100 alberi di pini neri
e diede a me una bandiera italiana immacolata,
che avevo appena 7 anni.
E l'occhio di Dio che ci guardava
dalla facciata della Cattedrale fiorentina
e finalmente ci faceva trovare
le voci di tutte le ragazze che ci piacevano
dagli elenchi telefonici
della cartoleria Tria,
lì proprio a fianco del bar del Polacco,
dove una volta il mediano Corazza
affondò in un boccale di birra
per aver vinto il campionato di calcio
della regione Puglia Centrale.
E tutti quei lavori
a contare le foglie d'erba di Walt Whitman 
e le furie di William Faulkner,
famoso fondatore di 1000 scuole di romanzi universali.
Ecco: qui sono io,
raramente sui giornali,
con la mia faccia di Marx
o di Dostoevskij all'occorrenza.
Seguace fedele di Thoreau
e di Ginsberg,
di Toro Seduto e Cavallo Pazzo.
Terzino di sfondamento gambe
nella squadra di calcio del liceo,
atterratore pure di arbitri
sulla baleniera del capitano Acab.
Col disegno nell'ascensore del Bassini
con me che mi facevo da dietro la Resuscitata,
fatto da chissà chi con una biro
e calcato forte,
mai mi fecero disegno così somigliante di me.
E le manifestazioni del '77
in via Orefici
e che mai ci fecero entrare in Piazza Duomo
per pregare la Madonnina
che ci facesse cadere a faccia a terra Godzilla,
famoso traditore dei suoi stessi amici.
E gli scontri che ci furono, tutti sbagliati,
e quelli che non ci furono
perché poi tutti i nostri capi
si impiegarono in banca
o in televisione
o in carica ai giornali migliori
della vituperata (a parole) borghesia.
E l'arruolamento conseguente
nelle armate del sud di Milano
dei sottocani,
che i posti dei sottouomini erano già tutti occupati
a leggere i flussi di coscienza
del dottor James Joyce
e non cavarci mai una bottiglia
della centrale del latte della città ormai in disuso.
Per le stradine di Parigi
ho letto 100 gialli metropolitani
con macchine piene di assassini
con buste piene di donnine rovinate,
ho fatto il lattaio ambulante
in servizio per me stesso,
che pacchia a Londra per un italiano amante del latte buono,
operaio di pizzerie polacche nell'East End
e portiere d'albergo
nel libero stato di Brera di notte,
quando i pittori si vendono i palazzi
e si comprano due colori originali
per dipingere un vagabondo
in stato di estasi a comiziare su maghe di medioevo
e dittatori di piantagioni bananiere,
domande da cento pistole
risposte da un milione di dollari,
mai visti senza un fucile
mai fatti senza un inganno,
nascosto o palese tanto è lo stesso.
Scrittura automatica
e felicità a buon mercato,
quasi gratis,
tanto la natura non si accorge mai di niente
ma in compenso sa sempre tutto.
Russia, poesia, follia
con un passaporto di un poeta fallito
nei parchi di tutta Europa
con mille lire al mese
per assoluta fantasia.
Son diventato quel che sono
perché già ero quel che poi son diventato,
migliaia di progetti per il passato da rifare,
per il futuro già sparito,
per il presente sempre latitante.
3 lire per oggi
3 lire per domani,
3 lire spese anche l'altro ieri.
Incassi incerti dal negozio di Speranze
là nel vicolo dei Lavandai,
a piantare racconti
e a raccogliere pomodori.
Son bravo, buono e forte
come il gattone nero
che mi accompagna nei libri
fin da quando ero ragazzo.
"Quell'uomo è un mistero",
diceva di me sempre Franz,
"E' una finestra aperta",
diceva sempre invece il vecchio Charles.
I miei errori mi son sempre piaciuti
e non ho mai vinto a lotto proprio per questo.
Mi specchio nell'acqua della vita
e vedo solo un idiota molto ridicolo
che pensa di essere un genio
e è invece solo molto ubriaco.
Vivo in un casino senza punteggiatura,
sedie rotte a tutto spiano
letti a terra dove dormono le bambine.
Sono un matto
sotto al sole su una collina piena di cicogne,
sogno come Chagall
che mi vuole bene come a un suo piccolo fratello,
mi firma sempre i miei libri
all'ultima pagina
per farmi coraggio.
Il linguaggio è la mia coscienza
e dico parolacce
perché sono un uomo libero,
chi parla con la sintassi in mano
è uno sgrammaticato dell'anima
che non sa per nulla la sua stessa lingua.
Bob Dylan suona l'armonica tutti i giorni per me,
sbuca fuori dalle nebbie di New York
e passa tutta l'estate sotto la pioggia
come fosse in India
a raccogliere filosofie d'amore dimenticate e perse.
Céline suona il piano in incognito per me,
l'han fregato perché era il più forte,
mi dice sempre: "Sta' nascosto, pirla,
sennò ti spaccano la testa
pure a te".
E io nascosto sto,
se viene un giornalista gli dico bugie,
come poi lui le dice su di me.
Mi copiano in parecchi,
anche i tassisti,
e poi dicono che sono io che copio loro,
fossero almeno belli
ma sono brutti come il debito
o il demonio.
Non ho mai visto Gesù
nè Marx
nè Tutankhamon,
ma come un folle perfetto
sento le loro voci
e rischio un corto circuito in casa
con i leoni a far la siesta giù nel cortile.
Afrodite invece l'ho vista
come pure Ares
e Zeus nel pieno delle sue forze,
mentre si mangia i serpenti
che gli mise nella culla suo padre.
Vado al mare a San Francisco,
a bere birra a Tubinga,
mi piace molto la Francia
perché è venuta a piantare l'Albero della Libertà
fin nel mio paese di buzzurri,
laggiù in SudItalia
dove vengono pure gli Inglesi
a dar da mangiare alle volpi
pane e mortadella tutte quelle poche volte che nevica,
che son guai pure per i merli
e le cornacchie.
Faccio una vita felice
perché son poeta e non combino mai nulla,
gioco con le parole
e sono un'autentica schiappa a far soldi
con i miei piatti di maccheroni arrostiti,
ho letto Sartre e non ci ho capito niente
ho letto Bloch e spero senza fine,
perché l'autentica sapienza
è proprio quel che speri
e hai la fortuna di mai dimenticare.
Son fanatico e fesso,
odio la chiacchiera e l'oblio
anche se in fondo vivo anch'io sia di chiacchiere che di oblii.
Son quel che sono
e non me ne pento,
non ho un soldo
ma milioni di libri,
son ricco anch'io
ma non m'invidia nessuno,
i miei vicini di casa
non la guardano nemmeno
quest'isola del tesoro
dove accumulo tutti i miei quaderni
di appunti e poesie.
Sono un poeta pazzo,
come forse ce sono tanti,
ma abito nel mio quartiere di matti
più in alto di tutti,
e mai nessuno che sappia
chi veramente io sia.
Sono un cuore vivo
che è pure parecchio felice.
(E ora che lo dico
per pura scaramanzia
mi tocco le balle
e così sia.)
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

(da "I PAZZI" 11 poesie, Acquaviva, 2014)

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mercoledì 23 aprile 2014

FEDERICO E ROBERTO

chi lo può vantare il diritto alla verità
se non il sognatore?
chi si può impadronire della nostalgia
se non un occhio malato?
chi può brillare di luce propria
se non chi cerca la felicità?
la vita magari è squallida
ma chi sogna
bazzica sempre sornione 
dalle parti del paradiso. 
GD ANGELILLO

PENSIERI DI GIULIETTA PER FEDERICO

che te devo dì?
è stata vita,
là sulla pellicola,
là dietro il portale del letto,
là in mezzo al mucchio dei libri.
che te devo dì?
ci avevamo la chiave
e ci hanno pure aperto,
ci siamo amati,
come due tazze fragili della stessa casa,
l'uno nello sguardo dell'altra,
lì accanto
come una cucina che si vanta
di stare sempre a cucinare,
il fuoco sempre acceso sotto a tutte le pentole,
gli occhi sempre brillanti di malinconia,
à Federì,
non ho avuto occhi che per te
il tuo mondo,
il tuo nome grande come un nume,
io poi dietro la porta socchiusa,
che te devo dì?
la corrente stessa della mia vita
sei sempre stato tu.
GD ANGELILLO

FEDERICO ovvero il mondo di prima mattina

Federico,
il mondo l'hai fatto come una ciliegia dolce,
il cuore come la scorza di una mandorla amara
molto dura per reggere in groppa un'intera città,
la rosa invece te la sei messa in tasca,
la sciarpa invece era la coda del tuo gatto più arrabbiato
il campo
un universo di sogni fuori moda e fuori portata,
il cappello il tuo sigillo di pensiero
perennemente in dubbio.
GD ANGELILLO 

DIALOGO IN CIELO TRA FELLINI E UNA SUA VOCE


"eccola lì, Federì,
la grande fabbricona
mangiamondo in cielo,
eccola tutta lì,
uffa!"
"OOOOOOOOH!"
"Cche disi?
è sola una mongolfiera quella,
non vedi che anche noi
siamo sospesi in aria con niente?"
"Federì, Federì,
quella ti piace,
di' la verità!"
"noooo, cche disi?
è solo un mio film!"
"lasse perde, Federì,
la fai sempre così grossa,
di' pure che te la volevi sposare".
"me fà impazzì, è vero,
ma è solo una fantasia".
"beh! anche tu lo sei,ù
bona fortuna alora!"
GD ANGELILLO

la filosofia


la filosofia in sé è  facile,
è il potere del barone
che la fa incomprensibile.
gda

la metafisica

l'uomo non capisce niente,
la metafisica è donna.
gda

IL CASTELLO


tempo di sabbia,
il castello del sistema
resiste incerto in caduta libera pure,
si canta per dormire,
i pesci nel fossato
son così contenti
di tutte le nostre voci
nell'unico paravento del coro
all'unisono.
G. D'AMBROSIO ANGELILLO

IO SONO STATA AFFAMATA TUTTI GLI ANNI poesia di Emily Dickinson

Io sono stata affamata tutti gli anni,
il mio mezzogiorno era arrivato per pranzare.
Io, tremante, mi accostai vicino al tavolo
e toccai il vino curioso.
Questo avevo veduto sui tavoli
quando voltandomi,
affamata e sola,
io guardavo nelle finestre
per la ricchezza
che io non potevo sperare di possedere.
Io non conoscevo l'ampio pane,
era così diverso dalla briciola
che gli uccelli e io
avevamo spesso divisa
nella sala da pranzo della Natura.
Quell'abbondanza mi ferì,
era così nuova,
e io stessa mi sentii malata e strana,
come una bacca di siepe di montagna
trapiantata in una strada.
E non avevo più fame,
e allora scoprii che la fame era una via
delle persone fuori delle finestre
che l'entrare porta via.
EMILY DICKINSON
(da "PORTATEMI IL TRAMONTO IN UNA TAZZA", Acquaviva, 2004
traduzione di Giuseppe D'Ambrosio Angelillo)

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sabato 19 aprile 2014

PASQUA ITALIANA (preghiera di un poeta)

Signore, converti al bene tutti i malvagi,
forse solo questo miracolo
può salvare questo mondo
che si mangia la fede
alla maniera di uno spettacolo come un altro,
la bellezza,
il pericolo,
e il panno strappato del biliardo su cui giocare.
Signore, fa' che i malvagi
si accontentino del brodo come tutti gli altri,
della crosta di pane
e del pomodoro sulla tavola,
lasciali seccare con le loro maschere ipocrite
come un teatro qualunque
che non funziona più.
I selvaggi sono tristi
i barbari son malati,
la massa dei poveri è ammassata sulla spiaggia
come una razza senza più orizzonti,
spingili in mare, che san passare
come gli Ebrei,
gioia, carità, pietà,
Signore, converti al bene
tutti i malvagi
che san fin troppo perfetto ciò che fanno.
Processi, cattiverie, lampade al catrame,
libri corrotti, armi arrugginite,
stracci luridi senza più ripari.
Signore, spacca questi divani,
le bilance
e i cassoni d'oro,
i cani si ubriacano di ruhm
i vermi di parole,
prostitute,
mascalzoni,
vagabondi di tutte le finte rivoluzioni,
droghisti, pezzenti, trovarobe di grande ricettazioni.
Signore, trenta soldi e un pezzo di corda
vuole sempre Giuda
per tradirti
e fumarsi il paradiso,
e ora sono qui pure i Cinesi
con le loro innumerevoli botteghe,
comprano montagne
e vendono sorrisi strani.
Signore, converti al bene
ogni malvagio,
poi butta via la chiave
e che non si pensi più ai labirinti infernali.
Polvere, fuochi e vetri rotti,
si parte all'attacco della parete
anche se è mille volte sfondata,
si vendono i lenzuoli, i mattini, e pure le mani.
Signore, porta il tuo pane a tutti
il vino santo e la tovaglia,
chiama ognuno per nome
e suona la tua tromba,
gli angeli son già tutti dietro di te
chiama la massa dei poveri
ai loro giorni felici,
convinci tutti i popoli al bene
e fa' suonare finalmente tutte le campane del mondo
per la Resurrezione alla vita
di tutta questa gente morta...
Signore, converti al bene tutti i malvagi...
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO