regala Libri Acquaviva

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sabato 24 settembre 2016

DIARIO DI UNO SCRITTORE


DIARIO DI UNO SCRITTORE

come un cane felice
canto alla luna
dal mio poggiolo di libreria
perso in un anfiteatro di pene sconclusionate,
come un cameriere gonfio di confidenze di sconosciuti
servo a un banchetto di sposalizio
con i miei stracci sporchi
e le mie mani di autentica cucina contadina,
cosa per davvero stia combinando
non vi so proprio dire,
se la comparsa in un film di paura che fa pure ridere
o il prete che celebra messa a una festa di nozze
dove lo sposo per uno scherzo anonimo sono io stesso,
so solo dirvi che vado avanti e indietro,
del tutto indaffarato,
che a pensarci sul serio
mi sento a tirare solchi di allegria e di pensamenti strani
per la terra sterminata della mia gioventù,
piena di manti di velluto
e di barzellette venute su abbastanza oscene...
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO


si cerca e si torna,
tra giorni e notti,
a quel guanto perso in un caffè
di corta speranza,
quando per rintracciarci in una poesia
bruciammo con la fiamma del gas
le nostre povere forze,
e banchettammo entrambi per anni
col pesce piccante e il sugo cotto solo per un minuto
di noi stessi che manco ci conoscevamo,
manco sapevamo i nostri veri nomi,
presi come eravamo di assurde guerre di confine
tra Italia e Germania,
quando in fondo tu eri una umanista convinta
e io un romantico senza politica,
i confini si muovevano avanti e indietro
tra Milano e Stoccarda,
dai tuoi amanti bavaresi
 alla mia fame di terrone...
sempre col biglietto di andata e ritorno 
stretto in una mano...
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

L'AMORE poesia di GDA

L'AMORE

la gioia,
il senso del bene,
tenuto su da una semplice graffetta di libro,
una coperta di lana di fede
che ti tiene caldo col facile linguaggio della magia,
questo dialogo in paradiso
che ci anima di continuo di vita vera...
si capisce e non si capisce che è amore,
stretti come siamo tra parole e età fuggenti...
somigliamo tutti a qualcuno a questo mondo
e sempre ci sfugge che quel qualcuno
siamo noi stessi,
con una gioia ingiustificata,
non bene catalogata,
nelle nostre stesse tasche...
forse ci sembra davvero troppo,
ma nel fondo indistinto di noi due
quell'infinito c'è sempre stato...
quell'assoluto concreto
che non sappiamo mai definire con certezza...
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO 


come sono evanescenti i confini della memoria,
della debole memoria,
della memoria che s'inventa tutto per i fatti suoi,
con tutti questi libri scritti
sulla corteccia dell'albero del bene e del male,
con le mele che ballano allegre su tutti i piani,
su tutta la strana corrispondenza
che in segreto si intrattiene 
con quelle bottiglie di certa euforia 
che ti confondono con la loro possente sapienza.
c'è qualcuno che canta sotto il cielo
c'è qualcuno che urla da sotto la terra,
sono le dottrine distrutte 
dalla nostra parossistica onnipresenza,
dalla nostra balorda ignoranza,
che cercano ancora le loro voci
e a sorpresa le trovano
in forma di antiche verità.
noi guardiamo le stelle e muti le ascoltiamo ancora vive.
non ci capiamo niente,
ma sorridiamo contenti.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

venerdì 23 settembre 2016

IN UNA IMMENSA LIBRERIA


IN UNA IMMENSA LIBRERIA

quante speranze nei libri ripongono gli uomini,
quanti occhi infiniti da quei davanzali polverosi
ci spiano e ci chiamano sottovoce:
"venite, venite, apriteci piano, siamo qui,
siamo qui ormai da lunghissimo tempo,
venite, venite 
che abbiamo ancora qualcosa
da sussurrarvi, 
da farvi ancora sapere,
venite, venite,
altrimenti impazziamo anche noi, come voi,
di triste solitudine..."
quanti saggi, quanti dementi,
quante anime svenute
in quei laghi gialligni appesi in equilibrio
sulle vecchie scansie...
e noi lì, a galleggiare,
a volare,
a cercare ancora qualcosa
che non sappiamo mai del tutto cosa...
forse noi stessi,
forse gli altri,
forse quella triste verità
che sempre abbiamo paura di sapere veramente
cosa per davvero sia...
quanti occhi, quante voci, quante anime,
ancora appese nel vuoto
con quell'esile filo di esistenza
che garantisce a noi tutti un libro,
qualsiasi esso sia,
qualsiasi cosa mai si metta a dire,
quella voce dimenticata
che insiste comunque sempre a dire la sua...
in ogni grandiosa libreria
si entra sempre come se si entrasse in una cattedrale,
in un inferno,
in un santuario di voci
che perennemente si rifiutano di tacere...
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

FAVOLA STRANA


FAVOLA STRANA

abitiamo sogni incerti e roventi
eppure la sappiamo a memoria l'universale realtà,
preferiamo però ribellarci al nostro destino
e farci poeti inermi
che cantano come pesci,
in silenzio.
con parole sì, ma solo scritte come spirito
su una certa carta che sempre poi subito brucia,
divampando in un baleno.
e così allora la nostra grama vita
è un pupazzo che se ne va a fuoco,
 è un cuore malato di testa 
che non vuole arrendersi mai.
preferisce questo mondo
sia pure in un mare di guai,
ma comunque sempre turgido di vera poesia.
e così allora il sogno suona solo per noi
come da una tromba di un antico profeta,
come da un trombone di un falso amico, 
carico a perfidia.
incerti e bollenti
rimaniamo così nella nostra casa di dolce amara poesia,
indecisi se contenti
o del tutto infelici.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

mercoledì 21 settembre 2016

LIBERTA'


LIBERTA'

il volo all'ingiù che fai
cercando la libertà
ti porta a dichiararti contento,
ma ti tocca pure navigare in un mare
dove non ti puoi più rifugiare tranquillo
nel tuo angolo dove qualcuno ti abbandonò senza colpe,
la libertà non ti scagiona più di nulla,
ti tocca volare per sempre
senza più incolpare nessuno.
nemmeno la compravendita usuale
delle leggi da 4 soldi alla minuta.
la libertà ti fa forte davanti a tutto,
anche davanti alla risata di pazzo 
che ti farà per deriderti il tuo amico migliore.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO
come quel nemico che mi spaventa
con i fulmini dei miei stessi sogni
mi rinforzo io invece ad aprire il mio stesso libro,
che tratta l'amico come uno spirito che mi sfida
e mi manda di notte a prendere l'acqua
per tutti i reggimenti dei disattenti,
che se ne stanno lì a marciare tra i loro scritti
con i fucili nascosti nella loro voce,
con i coltelli puntati addosso 
a chi li va per sventura a guardare,
frantumandosi d'odio
ti arriva vicino qualche vetro tagliente.
son poeti, dicono,
ma di altre terre più critiche e precise delle tue.
GDA
se ti basta la figura sei a posto,
l'amore è sempre sospetto come chimera,
ma poi come sogno diventa una dolce idea
che ti porta a spasso 
per tutta la grande metropoli dell'inconscio,
ti slega i piedi
e tu ti metti a correre all'impazzata,
nudo
come un semplice fiore
che vuole essere solo un po' più preciso.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

TUTTO QUELLO CHE C'E'


TUTTO QUELLO CHE C'E'

ma cosa c'è al mondo
oltre un po' d'amore,
un cesto quasi vuoto di rosse poesie,
un mezzo bicchiere di carta di vino allegrino?
per le scale scendendo si incontra un sorriso
e ci si sposa con il rossore del suo contento.
infine una qualche domanda,
una qualche risposta 
che ci scordiamo quasi subito
sul davanzale della nostra fragilità.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

IL SUD


IL SUD

lo colorano da secoli il nostro sud
con le tinte di tutte le osterie fuori mano,
gli ubriachi vengono e si mangiano le allegrie più buone,
pagano con un soldo di comando
e poi se ne ritornano ai loro laghi col pelo di volpe.
con la poesia non campa nessuno,
ma questa è nostra
e noi ci tiriamo avanti,
alla meno peggio, è vero,
ma noi ci saziamo lo stesso,
anche solo con i profumi della nostra terra.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

LA CARRETTA DEI MIEI LIBRI


LA CARRETTA DEI MIEI LIBRI

me ne vado in giro tirandomi dietro
tutta quanta la mia città,
i miei feticci,
i miei alberi della cuccagna,
i miei alberelli ancora da piantare in piazza,
i miei libri con i capelli lunghi,
cento occhi di sconosciuti mi accompagnano,
con le loro borse della spesa vuote,
occhi annoiati e curiosi
di tutto quello che naviga per i marciapiedi
di questa metropoli acquosa che è Milano,
piena di tanta gente azzurra
che sembrano nuvole senza pensieri,
che vanno sulle ripe timorose,
che passi il tram baldanzoso
e di colpo li svegli...
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

martedì 20 settembre 2016

MILANO COSMOPOLITA

MILANO COSMOPOLITA

ci siamo ficcati in questo labirinto di voci
che ora è diventata Milano,
siamo rimasti spiazzati da queste grida in straniero
che pure capiamo molto bene,
lo sappiamo cosa chiedono questi occhietti di bimbi
che non hanno sedie in nessun cortile.
gracchia la radio
ragiona fino la tv,
invece di fumare
dovremmo raccogliere carte di diritti
che una volta piantammo come alberi fieri,
scoppiano a ridere,
non ce la fanno a capire,
i mondo s'è rivoltato all'ingiù
e ora il tempo ha ricominciato ad andare all'indietro.
Milano intanto assorbe, rimescola, rivolta,
la sua umanità si rimette in moto,
va avanti, si riassetta,
nessuno resterà indietro,
basterà riaprire qualche panificio,
qualche latteria,
qualche osteria per gente alla buona in periferia.
qualcuno si metterà a cantare per strada,
come al solito,
qualche altro a ballare lungo i marciapiedi...
il sudore della fatica sulla fronte farà andare a posto
lentamente tutte le cose, ancora una volta,
la libertà più vocabolari si porta a casa
e più la poesia concreta di Milano
costruirà nuovi ponti,
nuove piazze,
nuove dignità di uomini a portare i frutti del vasto mondo
a tutti noi...
"mi conosci?"
"sì, ci conosciamo un po' tutti su questa terra,
noi genti di buona volontà..."
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

DISOCCUPATI

disoccupati

pannocchie di sole negli anfratti bui dei nostri mattini,
tra le nostre teste di legno
che stentano a ripartire,
ci ingannano tutti
è del tutto inutile cercare di cambiare padiglione.
i nostri nulla da dire
hanno le scarpe rotte,
i bottoni perduti,
la mente svanita.
si vive con le mani inchiodate 
alla panca della polvere comune.
nessuno ha bisogno di noi,
è questa la verità,
ci guardano come malati di sfortuna,
e ci lasciano andare liberi a guardare i muri della città
senza più nessuna promessa certa per noi.
GIUSEPPE DìAMBROSIO ANGELILLO

è grande Milano nelle sue mille dimensioni infinite,
in un quartiere c'è il paradiso
in un altro quartiere c'è l'inferno,
fate in colorati giardini del centro,
maledette megere dalle tristi corolle
in pezzi di deserto nelle periferie,
si vede che si vive un po' sconcertati da queste parti,
ma ogni tanto c'è un uscio che dà sull'amore
e ci salva alla buona tutti quanti,
ma la fatica è continua a Milano
anche se in giro vanno dicendo che ci si diverte sempre,
forse son le luci abbaglianti che inducono all'errore,
le coreografie fantasmagoriche,
una strana nostalgia che ci vuole comunque sognatori,
ma Milano è gentile e sempre generosa,
ti fa vivere da poeta
e poi ti sorride
regalandoti in ogni caso
una mezza pagnotta di bene quotidiano.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

lunedì 19 settembre 2016

AFORISMI NICHILISTI



AFORISMI NICHILISTI


se sei da solo sei perfetto
anche uno zero lo è.


il mondo non sta mica a pensare a te
e tu lo vuoi perfino migliorare.


se sei nessuno sei invisibile,
la gente passa attraverso di te
e non ti vede nemmeno.


non vedo la tv,
le puttanate della vita
me le invento da solo.


ho una faccia lunga,
ho sempre qualcosa da dire.


chi fallisce
sa sempre tutto 
prima degli altri.


la solitudine è una forza,
farsi i fatti propri
è sempre un punto in più sugli altri.


se sei famoso
non hai bisogno di perdere tempo
con scempiaggini tipo dibattiti letterari.


il fasullo pensa sempre
di valere più degli altri.


sono a posto,
mangio, bevo
e russo.


troppi dicono che sono uno scrittore
che non vale niente,
ma io non ne sono affatto convinto.


qualsiasi mossa fai devi perdere,
perché sei un pedone
e non il re.


se uno scrittore scrive dei poveri
è forte di sicuro
perché dice la verità.


ormai gli scrittori 
non valgono più niente,
ci sono mille altri che la danno gratis.


tutti gli scrittori
sono dei pazzi millantatori,
scrivono e si credono Napoleone.


Dio è affacciato alla finestra e guarda,
per questo gli è venuta una barba
così lunga.


l'inferno è un pentolone
dove ribolliscono 
vecchi patatoni marci
che crepano di risate.


a Dio non ci credono manco i preti,
altrimenti non farebbero
tutte quelle baggianate 
 tali e quali a quelli che non ci credono.

gda


in certi palazzi superiori bisogna consegnare l'anima all'entrata,
lasciarla all'usciere come un cappello ingombrante,
bisogna togliersela dalla tasca
come un amuleto importuno,
consegnarla al guardaroba
come un cappottone incomodo,
è che c'è bisogno di essere amorfi,
piattamente fatalisti, preferibilmente zitti,
senza sentimenti, quasi morti,
come un libro non scritto
che proprio per questo non interessa nessuno,
ma gli uomini ne hanno scritti di libri,
da qui fino alla luna e ritorno,
perfino Dio ne ha scritto uno bello grosso.
anche il nostro sguardo è un libro aperto lunghissimo...
da dove, dai nostri bassifondi più inferiori,
fa sempre e comunque capolino la nostra anima,
così debole, così squinternata, così oscuramente determinata...
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO
Se pensate che la scuola costi troppo
e che c'è bisogno di risparmiare sull'educazione e la cultura,
provate a calcolare quanto costa una scuola che non funziona
o funziona male
e che prezzo carissimo ha l'incompetenza e la brutalità
nella nostra società oggigiorno.
GDA

continua a guardare il mondo
con gli occhi di un bambino,
perché davvero il mondo è una meraviglia continua,
se non ce la fai da solo
fatti aiutare dai tuoi figli
che guardano tutte le cose
come se davvero fosse la prima volta che le vedono,
fai volare ancora alto i tuoi aquiloni,
leggi ancora di sera l'antica favola della vita,
perché davvero la vita è una poesia senza tempo,
lascia stare quei libri che spiegano tutto
lasciandoti però un sapore amaro in bocca,
accarezza chi ami,
è proprio lì tutto il forziere intero dei tuoi sogni,
i maledetti e i foschi che sanno tutto
senza capire mai niente
salutali tanto, ma da molto lontano,
che non ti capiti mai
di dare la tua intima capacità di meraviglia
in pasto alle tigri del momento.
gli innocenti occhi dei bambini
reggono sempre i più profondi fondamenti del mondo.
i vecchi e gli onniscienti che sanno tutto
senza capire mai niente
salutali sempre, ma da molto lontano.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

ritorna, poesia,
dentro i nostri pensieri più veri
che dalla nostra anima non sei mai andata via,
perché nel vento la gente sempre ti ricorda
e in silenzio ti benedice,
ritorna, poesia,
che di nascosto almeno tutti ti vogliono bene,
e si specchiano splendenti in te,
come a scuola devoti i ragazzi
pendono tutti dalle labbra della maestra,
che dica qualcosa di giusto
o di selvaggio non importa,
ma sempre qualcosa di vero,
che ci riprenda volando tra i nostri sogni,
nei venti freschi della nostra giovinezza...
ritorna, poesia,
nel nostro paese
che sempre cara e benedetta
ti porta nel profondo del suo cuore,
innamorata comunque sia nella gioia che nel dolore.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

avevo qualcosa da dire prima che il sugo si mettesse a bollire,
prima che la mattina salisse così in fretta
su per il cielo così gonfio di nuvole, bianchissime e nerissime,
ma ora ho i miei venti inquieti
posati sotto il tavolo, tra i miei piedi nudi,
chi non si contenta del poco non si contenta di nulla,
prima che uscisse ho pettinato i capelli a mio figlio
alto 2 metri,
ho dovuto alzarmi sulle punta delle dita dei piedi,
ora vado a prendere mia figlia dai lunghissimi capelli di fata,
che esce dalla palestra
in questa domenica deserta di periferia,
chi si contenta non sa cos'è il vuoto del nulla
nè la fame di tutto,
guarda il cielo sbrindellato
e lo decora andando a piedi nudi
per le botteghe di altissima poesia
della vita quotidiana...
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO
una povertà allegra il ciel l'aiuta
ma un ricco infelice davvero rischia di non aver più scampo
se tutto quel che sotto il sole riluce gli sembra oscuro,
vive nel terrore infatti 
che la sua stessa ombra gli rubi un giorno tutto.
ma è così la paura la più triste delle miserie,
vivi e lascia vivere,
dai e ricevi,
infatti mai si perde quel che si regala con il cuore.
sia benedetta la santa Natura
che a tutti ci dà da vivere con i frutti del vasto mondo,
ma a molti uomini la ricchezza gli serve solo
per dar dei gran guai al proprio prossimo,
sotto il sole non c'è mai niente di nuovo
c'è chi vive accontentandosi del necessario
riconoscendo che la frugalità è una delle più grandi saggezze
in questo mondo di avidi idioti
nemmeno soddisfatti di possedere l'oro
di tutta quanta la città...
e c'è chi vive facendo gran teatro
con tutti i nemici che si procura
in nome della sua gran cultura di soperchiatore...
onorate, amici, il bene
e tutti coloro che lo procurano,
e tutte le opere che lo accompagnano,
se davvero portano il bene,
gli ipocriti, i falsi e i malfattori,
mandategli tanti saluti con una cartolina
e scansateli pure come scansereste per strada
una turba di cani rabbiosi
con una gran fregola di attaccar rissa proprio con voi...
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

giovedì 15 settembre 2016

C'è chi predica il bene e poi fa tutto quello che gli pare,
e chi pratica il bene e non dice nemmeno una parola,
neanche a se stesso.
Una mollica di bene concreto
vale più di mille volumi di arte dialettica
a questo mondo,
di mille discussioni inutili,
di grida incomprensibili lanciate nel nulla,
perché se il cuore è giusto
anche il povero si mette a cantare contento
per quel poco che gli basta.
La logica non cercare
se tutti intorno a te hanno cattiva memoria,
e quasi sempre si perdono in un bicchier d'acqua,
non pensando mai
che la stessa vita è un grande onore
da mostrare fieri come la più bella delle bandiere.
Nell'ipocrisia stessa del malvagio taroccato
che si vanta della sua ingiustizia gabellandola per dura necessità
poi puoi trovare infine la prova più vera
della superiorità del buono
sul cattivo.
Segreti non ce ne sono,
chi vuole bene a qualcuno
gli fa del bene
e se ne sta zitto.
Al massimo gli sorride soltanto
e l'accarezza.
Le ciarle infinite nascondono solo una mala intenzione.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO



cari figli miei.
sempre così poveri,
poveri come me.
ma come ce la facciamo?
con un sorriso,
un bacio sulle mani,
una carezza data sempre
con così tanta naturalezza.
tutte quelle risate
che fanno pure piangere,
ma che fanno pure
così tanto ridere.
la vita è cara sempre, amici,
non si può mai, manco per sbaglio,
non ascoltare la sua dolce voce
che ci saluta subito
appena svegli la mattina.
poveri poveri
non si è mai del tutto,
cari figli miei...
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO
e bravo Federico!
sei nato alla chetichella
senza farlo sapere a nessuno,
come di solito fanno le persone intelligenti.
da domani le bollette,
i dazi e i resoconti
diventeranno più pesanti
per tuo padre e tua madre,
ma per il resto come diventerà tutto
più leggero
con le tue ali di angelo
che li faranno volare così alto
nei cieli chiari
di tutti i loro pensieri per te.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO
(a Federico, figlio di Giuseppe,
primo nipote di Vito Petrelli, dell'Edicola vicino il Bar del Polacco...
Auguri! Auguri!...Auguri a tutti voi!...)
Se pensate che la scuola costi troppo
e che c'è bisogno di risparmiare sull'educazione e la cultura,
provate a calcolare quanto costa una scuola che non funziona
o funziona male
e che prezzo carissimo ha l'incompetenza e la brutalità
nella nostra società oggigiorno.
GDA
in certi palazzi superiori bisogna consegnare l'anima all'entrata,
lasciarla all'usciere come un cappello ingombrante,
bisogna togliersela dalla tasca
come un amuleto importuno,
consegnarla al guardaroba
come un cappottone incomodo,
è che c'è bisogno di essere amorfi,
piattamente fatalisti, preferibilmente zitti,
senza sentimenti, quasi morti,
come un libro non scritto
che proprio per questo non interessa nessuno,
ma gli uomini ne hanno scritti di libri,
da qui fino alla luna e ritorno,
perfino Dio ne ha scritto uno bello grosso.
anche il nostro sguardo è un libro aperto lunghissimo...
da dove, dai nostri bassifondi più inferiori,
fa sempre e comunque capolino la nostra anima,
così debole, così squinternata, così oscuramente determinata...
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

martedì 13 settembre 2016

Giuseppe D'Ambrosio Angelillo STRACCIONI raccontino ACQUAVIVA

Giuseppe D'Ambrosio Angelillo
STRACCIONI
raccontino
ACQUAVIVA, 2016


   Facevo parte di una vera folla di straccioni che stazionava in una piazza enorme di querce davanti alla stazione ferroviaria di una grande città.
   Si mettevano delle grosse bottiglie di birra sopra i tetti dei numerosi chioschi delle edicole della piazza e poi a turno si andava a bere.
   C'erano anche delle gran tavole dove c'erano numerose scatole di fagioli lessati e anche lì si andava a mangiare.
   I nostri abiti erano lerci e laceri, si puzzava tutti un po' di odori nauseanti e insopportabili.
   Si parlava tutti del più e del meno offendendoci a vicenda il più pesantemente possibile.
   Si bighellonava per la piazza di qui e di là, non facendo assolutamente niente ma dandoci arie come se fossimo le persone più importanti della città.
   Molte volte ci atteggiavamo a rivoluzionari e gran ribelli internazionali, certe volte a laidi reazionari e retrogradi.
   Il più delle volte semplicemente non capivamo niente di tutte le questioni, visto il degrado assoluto di tutte le nostre condizioni esistenziali.
   C'erano nella stessa piazza parecchi sbirri che ci venivano a controllare caso mai tra noi si nascondeva un gran ladrone matricolato che usava l'espediente di vivere per strada per il semplice motivo di sfuggire alla giustizia.
   In verità vivevamo un po' tutti nei nostri cappottoni pesanti e luridi e lì menavamo la nostra esistenza nel luridume e nell'accattonaggio più becero. 
   Una volta venne da me uno di loro e mi disse:
   "Vai al tetto di quel chiosco, c'è una birretta di vetro bevuta a metà, prendila, fai finta di bere e lanciala in mezzo alla folla, cerca di prendere qualche testa e di spaccarla".
   Io feci quel che mi disse, non potevo far la figura del vigliacco, nessuno l'avrebbe tollerato e mi avrebbero emarginato di brutto, cosa che d'altronde facevano già, perché per oscuri motivi mi malsopportavano, pensando forse che non ero dei loro fino in fondo.
   Andai al tetto del chiosco e trovai la bottiglietta di birra mezza bevuta e con fare guardingo la presi. Feci finta di assaggiarne il contenuto, sapeva di gazzosa dolce vomitevole, e aspettai il momento buono di gettarla sulla testa della folla. Mi accorsi che due poliziotti mi osservavano da lontano, avendo intuito che stavo per commettere qualcosa di losco dal mio atteggiamento cialtronesco e circospetto.
   Tentennai nel mio gesto.
   Ma uno di loro si avvicinò e mi apostrofò:
   "Ehi bamba, e allora? La lanci o no la bottiglietta?"
   Era gente molto cattiva, se non avessi ubbidito me l'avrebbe fatta pagare atrocemente.
   Allora mi cercai un nascondiglio dietro una macchia di querce e quando fui sicuro che nessuno mi avrebbe visto nel mio gesto di teppista, lanciai la bottiglietta proprio dove ero sicuro che non avrei colpito nessuno della folla di passanti che senza posa attraversavano la piazza.
   La bottiglia s'infranse in uno spiazzo deserto e nessuno si accorse della mia furbizia.
   Solo un rockettaro decaduto e fallito mi venne a dire:
   "Ehi, fai il furbino eh?"
   Allora andai a sedermi davanti a una tavola di fagioli, piena di scatole aperte e mezze mangiate.
   Me ne stetti là per un lungo tempo, facendo finta di voler mangiare.
   Gli straccioni passeggiavano attorno a me in maniera indolente e stanca, continuando a offendersi a morte tra di loro. Andando avanti e indietro senza meta.
   Allora io presi una scatola con un fondo di fagioli che facevano schifo a vedersi, dopo un po', sempre con la scatola tra le mani, me ne andai tra di loro, che andavano tra i chioschi a comprarsi per pochi nichelini bottiglie di birra di tutte le dimensioni.
   Con fare indifferente andai via dalla piazza, prendendo i fagioli con le mani e buttandoli per strada.

   Andai a finire davanti a una fila di studenti che facevano ressa davanti a una porta dell'Università ciarlando e facendo parecchio disordine.
   Facevano la fila per fare domanda di dottorato perché volevano diventare tutti professori emeriti nell'Ateneo.
   Io mi feci largo in mezzo a loro dicendo:
   "Devo consegnare la mia ricerca di dottorato! Si intitola: 'L'Occhio', aspetti filosofici e scientifici".
   Stranamente mi credettero nonostante il mio aspetto indecoroso e ladronesco.
   Entrai e mi intrufolai nell'Università.
   Notai subito della camera a forma di vasca, gigantesca, piena zeppa di libri, impilati a occupare tutto lo spazio possibile e immaginabile. Si potevano notare solo le copertine dei libri di superficie, poi dei libri sottostanti non si poteva notare null'altro.
   Una vasca enorme era tutta piena di libri di critica letteraria di letteratura inglese.
   Un tizio diceva:
   "Non vanno di moda sempre gli stessi libri. Ma un po' uno, un po' l'altro. A caso. Non si possono per niente fare previsioni. Ora va alla grande Tennyson, ora Boswell... Non si possono fare assolutamente previsioni... Tutto dipende dal caso e dal destino... Quindi tutto quello che posso fare è augurarvi buona fortuna a tutti voi..."
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

da "LA BOTTEGA DELLA FAME", racconti inediti

sabato 10 settembre 2016

"Che stupido il panettiere", pensa l'usuraio. "ha il pane e non lo dà in prestito".
GDA
cari figli miei,
sempre così poveri,
poveri come me.
ma come ce la facciamo?
con un sorriso,
un bacio sulle mani,
una carezza data sempre
con così tanta naturalezza.
tutte quelle risate
che fanno pure piangere,
ma che fanno pure
così tanto ridere.
la vita è cara sempre, amici,
non si può mai, manco per sbaglio,
non ascoltare la sua dolce voce
che ci saluta subito
appena svegli la mattina.
poveri, poveri
non si è mai del tutto,
cari figli miei...
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO