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mercoledì 11 febbraio 2009

SPINOZA SE NE VA IN TERRA SANTA romanzo di Giuseppe D'Ambrosio Angelillo

GIUSEPPE D’AMBROSIO ANGELILLO

SPINOZA SE NE VA IN TERRA SANTA

Romanzo

INCIPIT

1

Quando a uno gli tocca la fortuna, gli tocca la fortuna e quando a uno gli tocca il castigo, gli tocca il castigo. Non c’è niente da fare, non c’è argine, non c’è muro, non c’è fortezza che possa tenere. Non serve la logica, non serve l’intelligenza, non serve la forza, non serve niente di niente. Bisogna soltanto pregare che arrivi la buona sorte e poi cercare di far scoppiare il fegato a tutti gli altri, tanto il giorno che sale, la notte che scende non serve a un bel nulla, serve come tutti gli orologi che segnavano l’ora l’anno scorso.
Non si può far niente contro la cattiva sorte, non si può leggere cento libri e trarne una dritta. Non si può fare niente di niente. Ti può mettere anche a scorciare la tua stessa pelle, puoi anche andartene all’inferno a bruciarti ai fuochi eterni, puoi anche scendere al manicomio e ripassare tutte le pazzie del mondo, puoi anche infilarti negli amici dello Stato o nei suoi giurati nemici, è sempre la stessa storia. Puoi anche non passare un minuto a dormire o puoi pure ronfare per tutto il giorno, il destino sembra che si prenda gioco di tutti noi e dove si arriva, si arriva, non serve né correre, né stare fermi, non serve né leggere Hegel, né leggere Platone, né leggere la Bibbia, né leggere il Kamasutra. Quello che viene, viene.
Bisogna soltanto pregare che ci sia la buona stella, altrimenti, o pregare Dio o pregare il Diavolo, è la stessa medesima cosa e poi potete mettere tutto sul mio conto spesa, ragazzi miei, qui certo non ve la tiro con i sommi sistemi, con le massime teorie sul perché una cosa è così e non cosa, sul perché questo è questo e quello è quello. Si arriva tutti al medesimo istante, questo stesso istante che stiamo vivendo, con la nostra circostanza circostanziata nella quale siamo affondati o in cui ci ergiamo, praticamente, la nostra situazione contemporanea, nostra ipse esistenziale, ciò che siamo noi, voglio dire, senza tirarla troppo per la manfrina.
Eh, ragazzi miei, tanto per intenderci, io vendo storie alla crema con un po’ di sarcasmo, sì, sono sempre io, quello là, Joseph K. con la K puntata, lontano parente di matti, lontano parente di saggi, lontano parente di fuori di comprendonio, anch’io c’ho il mio negozio, che volete farci? E diceva mio nonno: “Guai a chi non ha niente da vendere!”
Io spero che voi la mia mercanzia me la compriate e la fate circolare un po’ in giro, che arrivi alla mia parca borsa, squinternata e svuotata di tutta quella lira che mi permette di andare avanti e di continuare con le mie narrazioni. E così, belli miei, eccomi di nuovo qua, con un’altra storia, magari, senza principio, né fine, cominciando dal mezzo, come dice il mio amico, calandomi d’improvviso con i piedi nel piatto.
Ecco, son qua di nuovo, vogliatemi un po’ di bene, perché il male mi basta e mi avanza e tutti questi falsi amici che mi promettono mille cose e non ne mantengono neanche un pizzico di polvere, alla malora! Meglio star da soli, con questo secolo di solitudine che mi pesa sulle spalle, per gamba, direbbe un altro mio amico e al mio paese, nella bassa Terronia, gente di principio, gente con fede, con ideali, ma che ora, la televisione, il ramino e il cicchetto al bar, stanno guastando come dappertutto. Ma ci basta ancora un po’ di speranza e possiamo continuare ancora, possiamo andare avanti, tirarci le coperte su alla mattina, mettere i piedi a terra e calzarci di nuovo le scarpe e ricominciare, tanto, non abbiamo alternativa, non abbiamo più niente da fare e ricominciare ancora una volta.
Eccolo qui, il mio nuovo libro, ancora davanti, il mio tomo, che spero che vi duri almeno per una serata, a farvi compagnia e a mettervi un po’ di buonumore, ecco, la coscienza di tutti loda la bellezza, credo, e anche il mio fratellino di campagna se ne sta lì, zitto, e cerca sempre di fregarmi, là, questa creatura del bosco, che vedo e non vedo, sento e non sento. Ecco, ma non voglio andare fuori tema, non voglio perdermi nei mille rivoli che una narrazione può portare accanto e, come si dice, come si dice lì, sempre dalle mie parti, paese di contadini, gente onesta, senza bruma negli occhi, senza astio nel cuore, gente cortese e allo stesso tempo truce e veritiera, ci vuol poco a dir bugie, che volete che sia, passa il tempo e il risultato è sempre quello, passano gli anni e certo tutti vogliono qualcosa di più.
Io sono sempre il solito, il solito filosofo disoccupato, nessuno più mi compra le mie vedute su Nietzsche, o i miei prospetti sul futuro, forse appartengo a un’altra realtà, io, appartengo a un mondo alieno, ma che volete farci? Tutto sommato, son qua, senza una lira, senza permessi, con tutti i cani da guardia che mi rincorrono per cercare di cavare qualcosa pure da me, per fare andare avanti il governo, ma il governo dovrebbe darmi pur lui qualcosa, io dopo tutto, do quel che ho, i miei libri e se non c’avessi voi, cari ragazzi miei, sarei ben conciato, se non ci foste voi a mantenermi, potrei buttare tutte le mie penne dalla spazzatura e tutti i miei quaderni nel cesso.
Ma la vita me la scavo ancora, me la scavagno, me lo guadagno il tozzo di pane e tiro avanti fino a Pasqua e poi di là fino all’estate e m’arrangio fino all’autunno e con gran tormento arrivo a Natale, a Capodanno m’arrangio ancora e a paragonarmi agli altri non me ne viene neanche il buzzo, tutto sommato, credo di essere anch’io fortunato, ricco, certo, senza macchina e senza salotto, senza televisione, pure, Dio me ne scansi e liberi!
Ma le vacche non mi muoiono, proprio perché non le posseggo, così ora, anche con questa crisi, io i milioni di euro, non li perdo mica, perché non ne ho neanche un centinaio per arrivare a fine settimana, ma non voglio aprir bocca soltanto per dir stronzate, o scempiaggini sulla mia povertà, potrei raccontare anche qualche storia di crema, come vi diceva, di dolcetti, pasticceria minuta, certo, ma un po’ di zucchero per le vostre mani, un po’ di dolcezza per i vostri occhi e perché no? Tanto siam tutti qui a lavorare per qualcuno che non ci pagherà mai, perché, forse, questo è soltanto un paese di ladri, o meglio, i ladri che vanno lì, sulla prima e tutto il resto, lì, al seguito a cercar di campar con le briciole, come me stesso, io.
E così anch’io ogni pomeriggio mi reco al mercato, la mattina non ce la faccio proprio, perché sto alzato tutta la notte, appunto, per confezionarmi queste mie storielle e anch’io me ne vado al mercato, lì, a cercar di piazzare qualche quaderno, qualche disegnino, qualche ritrattino, venuto ora bene, ora male, ma dopo tutto, son contento di essere nato uomo e non cane, o peggio ancora, asino. E così, diceva sempre mio padre contadino, anche se poi, i suoi baiocchi se li teneva ben stretti, lì, dietro i mattoni del cortile, dietro il barile del vino e gli zuli dell’olio. Ma era un’altra sartoria, con un’altra sciancateria e non parliamo poi delle feste, sempre a lavorare anche quelle, ma dopo tutto, chi lavora è anche un imperatore. E non vi dico dove si dice, tanto tenetelo per certo.
Sì, ecco il mio paese un po’ sbandato, un po’ utopico, un po’ bellissimo, un po’ sciagurato, son qui anch’io a fare lo scrittore errante, il seguace di Spinoza, il filosofo a un giorno alla settimana e son io qua con la Bibbia nel taschino e la speranza legata allo spazzolino da denti. Questo Joseph K. che non la vuole smettere di fare il troviale, il logorroico, il grafomane, ma chi se ne importa? Tanto son qua a raccontarvi a voi, sì, cari ragazzi miei, a voi e con l’aiuto di qualche Dio benigno, so per certo che Apollo me ne vuole e forse anche Dioniso e qualche altro della combriccola, che mi fan campare da artista e non mi fan morire e lì, con gli auguri e le screanzate me la tiro la vita e lavoro come vi dicevo prima, certo, non come un operaio o un contadino, che v’assicuro, ragazzi, penano ancora di più nella vita.
Ma anch’io mi porto il mio bagaglio, la mia pena e il mio tormento e ne ricavo qualcosa per voi, così abbiate un po’ di pietà di me e non scandalizzatevi troppo se nelle mie tasche ci sono soltanto 50 centesimi non è soltanto per una pasterella alla crema e poi, bene o male, troverò il modo d’infilare tra queste righe e di rioffrirvela a voi. Che gli dei benigni ci aiutino e che tutti noi abbiamo fino a sera una cena con cui tirare avanti e riempirci la pancia! Perché, certo, non siamo bestie, amici miei, siamo anche noi uomini, non siamo cani, siamo anche noi figli di uomini e forse anche figli di Dio, anche se, certo, qualcuno vuol scaricarci via tutto il santo giorno e tutta la santa notte. . . .
.......
.......
continua....

in uscita aprile 2009

1 commento:

Highlander ha detto...

lamento non potere escribir in l' italiano correctamente peró me llenaron de asombro las palabras d' Ambrosio...nunca ho letto parole tantti profundi. Si no es mucho atrevimiento me gustaría recomendarte la lectura de los romances de Jorge Manrique, tal vez tu non capisce molto il lenguaje (espero que si, si no puedo scrivette in english) puedes decirme de qué época é spinoza se ne va in terra santa?
gratzie mile
bacchio
Firenze di Uruguay