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venerdì 25 luglio 2008

Rivoluzione

Giuseppe D'Ambrosio Angelillo, a 17 anni

"Oh, amici miei... Non potete immaginare quale tristezza e quale rabbia invadano tutta la vostra anima, quando di una GRANDE IDEA, che voi venerate già da lungo tempo e come cosa santa, s'imadroniscono degli ignoranti e la trascinano sulla strada verso gente altrettanto stupida quanto essi stessi, e la incontriate improvvisamente al mercato degli stracci, irriconoscibile, nel fango, male esposta, di sbieco, senza proporzioni, senza armonia, zimbello dei fanciulli sciocchi! No! Ai nostri tempi non era così, e non era a questo che noi miravamo. No, no, assolutamente non a questo. Io non riconosco più nulla...




Il nostro tempo verrà di nuovo




e di nuovo avvierà su una strada sicura tutto ciò che oggi vacilla.




Altrimenti che sarà mai?"




Dostoevskij












ROMANZO SUL 1977








Sogni Utopie e grandi Speranze di un ventenne che credeva con tutto se stesso in un Mondo Migliore...




Guai, sconfitte e capitolazioni di una Meglio Gioventù che voleva portare la Fantasia al Potere...




e che invece se ne cadde a faccia a terra...








(edizione illustrata).








Una recensione di Highway5:

“RIVOLUZIONE” DI GIUSEPPE D’AMBROSIO, EDIZIONI ACQUAVIVA, MILANO, OTTOBRE 2007.


A leggere “Rivoluzione” di Giuseppe D’Ambrosio si corre proprio il rischio di farsi travolgere da una grande ondata creativa, politica ed esistenziale, libera da qualsiasi schema, struttura, griglia semantica e interpretativa.
E il modo migliore per vivere questa esperienza in pieno è proprio lasciarsi andare e trasportare dal continuum, dal flusso del suo linguaggio corporeo, vivo, sensuale, pulsante.
La punta più aguzza e la cifra di “Rivoluzione” sta nel fatto che “la Gioventù sarà sempre più potente di tutte le antiche sapienze”, perché “Gioventù è lotta, sempre…è l’orgogliosa estasi di poter fare a meno di tutto e di tutti, anche di toccare la terra con i piedi”!
E l’autore, l’ultimo “cavaliere libero e selvaggio” nel nostro asfittico panorama letterario ci aggancia da subito con il racconto estremo e trasognato del suo viaggio personale di ragazzo del sud all’assalto di una Milano spossante e fumosa di asfalto e misteriosamente labirintica, per farci la Rivoluzione.
È in questo sfondo metropolitano con i suoi personaggi disperati e le sue donne ammaliatrici e irresistibili che incomincia la caccia furiosa all’abbattimento del limite, nonché la scalata al cielo di un ragazzo che “vuole tutto”.
In ogni incontro, in ogni esperienza il nostro protagonista è come se gustasse estatico e senza ritegno la felicità assoluta dell’estremismo, scatenato come un funambolo assolutamente incosciente che gioca in contemporanea sulle tre corde, le uniche sue coordinate di viaggio, la libertà, il sogno-utopia e la speranza.
E devo dire che, forse, senza rendermene conto questo è il libro che aspettavo da molto, perché tratta per noi, ragazzi del ’77, degli anni più belli che ci sia stato dato da vivere, della modifica radicale del nostro vissuto, dell’utopia, del bisogno di giustizia, della rivoluzione sessuale.
E la sfida avendo a che fare con questo “materiale” è quella di raccontare senza definire, senza cadere nelle trappole dell’ideologia, senza la costruzione di mappe e geometrie, in un territorio in cui i vecchi orientamenti non tengono e non devono tenere più.
Forse si tratta di narrare attraverso frammenti con una scrittura che tagli – cut up – circoscrivendo ogni frase, lasciando parlare il più possibile le differenze.
“Rivoluzione” non è propriamente una storia, ma un percorso, un continuo e pressante incitamento, sollecitazione a “perdersi”, a gustare con l’autore l’ebbrezza estatica, dionisiaca, la felicità e la ricchezza di quegli anni irripetibili per cercare anche di capire in questo modo così unico le ragioni di una lunga primavera di intelligenze.
Nello stesso tempo, il resoconto immaginifico delle battaglie sociali del proletariato è un contro canto incalzante al diffondersi di determinati spunti della libertà.
A Milano si svolge l’epopea alla scoperta dei meandri stranianti e sorprendenti della città vissuta parecchio di pancia, con tutti i 5 sensi ben accesi, senza perdere nessuna occasione di godimenti meravigliosamente reichiani, non tralasciando il racconto dell’oppressione capitalistica, della comunità resistente, della rivolta che serpeggia ed esplode, della controcultura inarrestabilmente underground.
Il parlato è essenziale continuamente rimixato con un ritmo a volte di puro rap antesignano, furibondo hip hop da marciapiede, il lavoro è di uno smontaggio e rimontaggio a combinazione dove il materiale verbale pre-esistente alla scrittura vera e propria è di una potenza emotiva ed autenticità di sapore inconfondibilmente dostoevskijano.
Eppure gli anni della Grande Rivolta, ciò che li rende così affascinanti è che sono come un tempo che non ci vuole lasciare, e quello che D’Ambrosio sperimenta fino in fondo nel suo romanzo è questa capacità, qualità speciale di permanenza di quel periodo per chi lo ha vissuto.
La sua scelta linguistica incisiva e coraggiosa arriva a conquistare una musicalità, una sonorità espressive immediatamente riconoscibili tramite l’utilizzo di codici diversi uniti dalla tensione interiore di questa epica fuori dai canoni del buonsenso e del senso comune.
La sua maniera è calda, forte, energetica, fisicamente spudorata.
Trovi premonizione, intuito, istinto, senso della corrente, lui è dentro al farsi stesso della corrente metropolitana, dove navigano a vista le sue donne un po’ puttane e i suoi re clochard bevitori impenitenti, lui è come un surfer che partecipa a ogni evento, a ogni scontro non restandosene mai fermo a guardare dalla spiaggia.
Ha questo fiuto quasi animalesco, senso della strada, istinto di riconoscere fra tutte le onde quella che fa per lui, la sua onda, quella assolutamente da cavalcare, lungo giornate vissute senza schemi, senza regole da rispettare, senza conti da far tornare, qui è tutto Rivoluzione, tutti i parametri non funzionano più, è un black-out generale, un tilt a ripetizione come gli orgasmi delle sue belle.
Siamo in una situazione di frontiera avanzata nella quale le mappe convenzionali non tengono più, non ci servono più a niente e vi consiglio anzi di buttarle, perché si tratta di sviluppare l’istinto del pioniere.
D’Ambrosio ha indubbiamente aperto con questo libro un grosso spazio comunicativo, di grande potente energia, mescolando azioni, gesti, oggetti, parole, pensieri e cose tutti insieme fino a produrre un’alchimia artistica sempre più esplosiva.
Ecco perché vi suggerisco di fare questa esperienza lasciandovi trascinare fino in fondo in questa grande, gioiosa, estatica Rivoluzione.

Maria Theresa Venezia.












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