Se ne stava là davanti a lui
come il punto nero centro dell'universo intero,
mallevadore di un marasma di sogni.
Lui una fortezza di canzoni
irta di cannoni a lunghissima gittata,
il camino acceso,
una decina di coltellacci appesi al muro.
Le ombre di tutti i suoi amici giocherelloni
tutt'intorno,
con tutti i suoi morti a sorridergli
e a salutarlo come a una festa di mietitura,
in quei giugni in fiore
con quegli anni di rivoluzione,
quelle infuriate a puntare l'orizzonte
per cambiargli le nuvole
e le luci,
e all'occorrenza pure i connotati.
.
Ma il gatto, il gatto era davvero superbo
in quel suo sguardo di marinaio
uso a qualsiasi precipizio,
a qualsiasi burrasca d'alto mare,
quello sguardo di antica saggezza
a lisciare a un tempo con lingua raspa
inferno e paradiso,
inzuccherato di sonno,
a sapere tutto di campagne e metropoli,
fintamente a fare le fusa.
Mentre l'Italia intera fa da musa
a quel canzoniere greco-emiliano,
amico stretto di Omero,
che all'incrocio della vallata
aspetta il segnale che un giorno
gli profetizzò la sua prima donna.
.
E così, stanotte, in TV
difronte alle torte di ciliege di Vincenzo Mollica
se ne stava il gattone nero di Francesco Guccini,
quell'antico ribelle benedetto,
che meditava sulla vita e sul mondo,
come fosse la risata e la contentezza
della sua ultima canzone ancora da cantare
in faccia a tutti,
guardando ognuno come sempre
fieramente
dritto negli occhi.
Con fiacca indulgenza e acuta ironia.
.
Giuseppe D'Ambrosio Angelillo
.
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