Giuseppe se ne stava lì a guardare i locomotori a riscaldare i motori elettrici e pensare ai soldi che non aveva per comprare i biglietti. Era la sera di Natale e ognuno partiva per casa sua con il caldo incontrollabile della voglia di tornare. La gente si accalcava e si spintonava da tutte le parti, verso tutte le direzioni, e le luminarie di tanti alberi decorati e i miliardi di luci e lucine degli addobbi. Arrivati già da un giorno alla Stazione Centrale di Milano, se ne stavano lì a perdere tempo tra le sale d'attesa, i ricoveri degli accattoni e i caffè sempre affollati. E i treni arrivavano e partivano a miriadi per tutte le città d'Italia e d'Europa. Nessuno se ne stava lì a pensare a loro. A dir loro una parola buona o a portare un bicchiere di bevanda calda. Di uomini buoni non se ne vedeva nemmeno l'ombra là intorno, almeno in quei frangenti. Solo treni e treni che con fiati di mostri sputavano sibili e sbuffi da tutti i binari e da tutte le banchine. Tutti se ne correvano in giro con gran fretta e furia. Loro seduti in un angolo oscuro e freddo della stazione se ne stavano fermi e muti per ore e ore. Che ci faceva una donna incinta così bella alla stazione a tutte le ore nessuno se lo chiedeva. I poliziotti severi controllavano a caso documenti e facce di balordi e malviventi ma, caso strano, a loro non andavano nemmeno a dare un'occhiata, caso mai avessero bisogno di qualcosa. I ferrovieri si affaticavano a più non posso tra corridoi e spianate di piazza nella stazione, a parlare di orari, prenotazioni e biglietti. Nessuno si curava nè si occupava di una ragazza bellissima che lì nell'angolo aspettava di dare alla luce il suo bambino. Anche i preti non s'accorgevano di nulla e passavano a testa bassa pensando ai passi di un oscuro vangelo, facendo pure mostra di saperlo a memoria. I treni sferragliavano come titani meccanici, e il bambino aspettava ancora di venire al mondo. Le arcate metalliche della stazione erano gelate e oltre, verso le aperture gigantesche del fondo, turbinava furiosa una tempesta di neve che intirizziva pure le postazioni degli ambulanti che vendevano panini caldi e caffè bollenti. E la notte avanzava, la città si raccoglieva serena nella dolcezza della venuta santa del Natale. E sconosciuti si scontravano con sconosciuti nella corsa a prendere ormai gli ultimi treni in partenza. E lassù tra gli archi e la neve già arrivavano gli angeli e i pastori e i contadini e le pecore e i Re Magi.
Giuseppe prepara il giaciglio di paglia, maglie di lana e vecchi cappotti sistemati come un nido, il bue e l'asinello già sono là che soffiano i loro fiati caldi.
Maria finalmente dà alla luce il suo Santo Bambino, e i poveri e gli umili, come in un presepe, sorridono, danno quel che hanno, molto poco in verità, ma si chinano e offrono i loro doni, felici, e pregano che tutto vada per il meglio. Là, in un angolo oscuro e appartato della Stazione Centrale di Milano. I treni arrivano e partono come se niente fosse. Corrono sempre i ferrovieri alle loro incombenze, s'affrettano i passeggeri ai loro convogli, scrutano severi i sospetti i poliziotti. Passa perfino un prete con un vangelo aperto sotto il naso, leggendo, senza badare a niente.
E' nato Gesù Bambino quest'anno alla Stazione Centrale di MIlano, ma chi se n'è accorto?
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Giuseppe D'Ambrosio Angelillo
Natale 1979
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