regala Libri Acquaviva

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venerdì 25 aprile 2014

BREVE AUTOBIOGRAFIA CON GATTONE NERO di Giuseppe D'Ambrosio Angelillo


La vita è felice
per un poeta squattrinato
e pressocché sconosciuto.
Vagabondo per la città
come un campione da romanzi,
frequento i perversi della poesia
di tutte le salse e di tutte le misure,
sfoglio il giornale del centro
e poi mi abbasso per i fogliacci delle periferie,
sono un oriundo di quel della Magna Grecia,
quasi un greco antico travestito da italiano bamba,
sempre letta "la Repubblica" di Platone
e fatti i campeggi con quel cane di Diogene,
cercando l'uomo
e trovando sempre la carogna.
Penso di essere Pinocchio
quando il Gatto e la Volpe gli rubano
i 4 soldi,
il Naviglio Grande
è la mia Pietroburgo,
scarpe del tennis
e biciclette rubate e comprate,
comprate e rubate,
anche da dietro la porta e 4 catenacci forti,
giornalista di fonderia
operaio di rivista,
autista di notte,
infanzia in campagna
a portare sulla via le pietre dopo lo scasso
per piantarci una vigna
di vino viola tosto primitivo.
F 104 sul cielo di Puglia
e incrociatori da battaglia nel golfo di Taranto,
una folla sterminata di santi e madonne
al mio paese,
cassette di colori rubate
e portate indietro
alla scuola elementare,
panettiere di vie secondarie
licenziato per andare a fare il bagno a Trieste,
per piantare un alberello a Venezia,
a dormire con le tedesche 
sulle scale di una pensione antichissima.
Sbarcai una volta in Inghilterra
e l'invasi da solo
senza neanche la pistola,
il traghetto era di Napoleone però.
Normanni noi e gli Inglesi
e nessuno ne sa niente,
abitai da un filosofo indiano
con una dea per figlia,
e anche lì mangiai bistecche greche arrostite
e rose di giardino appena sbocciate.
Non leggo più niente,
è una vita che ho divorato biblioteche,
una dinamite in tasca
e una caravella fiorentina nel cuore.
Ho fatto il Risorgimento con Garibaldi
e lo spernacchiatore in un teatro di Napoli,
sono stato a Digione
e a Guadalajara
a dormire di notte sotto gli ulivi,
senza temere le stelle
e sperando di tornarci.
Ho visto a Londra
una processione di poveri lunga 3 kilometri,
e un accattone a dormire su un altare
quasi fosse il santo
a Westminster Chatedral.
Con tutta Milano allo stadio a battere le mani
a Bob Marley.
Torno sempre comunque al mio paese
per mangiarci torte di cipolle forti,
e ragù di asino
per sentirmi in forma.
Ho sognato Atene in India
e in India di annegare nel Gange,
mi salvò un corvo
che poi mi rubò i pantaloni con il portafogli dentro. 
Ma io avevo la mia vita
e me ne fregai alquanto,
anzi scoppiai a ridere
e me ne andai al ristorante
a farmi offrire da mangiare
da una bambina che poteva essere mia figlia.
Sono sempre stato solo
anche quando l'Italia vinceva il campionato del mondo
e si metteva a vorticare intorno con le motociclette.
Ho messo tenda a Milano
un pò lontano dal miracolo del Duomo,
praticamente è un esilio
ma l'Italia è fatta così,
era straniero in patria anche Garibaldi
che l'ha fatta.
Bukowski mi deve 30 dollari
e anche Fedro 10 mine d'argento.
Mia madre m'ha sempre detto
che avrei dovuto fare il generale
o in mancanza almeno il medico all'ospedale.
Ho preferito la poesia
per far lo spiantato squattrinato
di professione.
Vendo libri per strada
nella babilonia milanese
senza più risotti nè ossi buchi
senza più Navigli nè chiesette nè osterie.
La folla dei poveri
l'han cacciata dalla città,
e io resisto solo perché ho un permesso speciale 
di Don Chisciotte.
Ho incontrato Federico Fellini, Dario Fo e Alda Merini,
son stato loro amico
con le mie scarpe rotte
e i miei pantaloni sdruciti.
Non tutti gli uccelli conoscono il grano
e di certo anch'io sono uno di quelli.
Faccio il campanaro notturno
con la tuta del falegname,
affitto sedie a sdraio all'inferno
e vendo birre fresche in paradiso.
Conosco centinaia di metropoli
ma il mio treno si ferma solo a Milano,
pianto libri come ulivi,
poi faccio un olio antico
che vendo per un caffè molto speciale,
ho visto tanti monumenti di eroi
e masnadieri
ma il più bello era quello di Charlot
a Leicester Square in quel della londinesa città.
E la locomotiva caduta dal balcone della stazione
penzolante nell'aria a Berlino
e il travestito da donna che fa la rapina
alla Banca d'Inghilterra
lasciando tutti a bocca aperta,
non l'hanno mai preso
e mai hanno saputo chi diavolo era,
se non proprio il diavolo.
E gli Americani a cavallo
là nella campagna di Norimberga
che puntavano dritto al castello
con la sigaretta in bocca
e le tasche piene di cioccolata,
ridendo come dei cartoni di pietra
che mai saranno sconfitti dalla filosofia.
E i comizi di Ezra Pound alla radio italiana
che raccontava di liberarsi di tutti i liberatori
per essere veramente liberi
ma con il rischio di essere già schiavi,
là con le capre di mio nonno Salvatore
tra i campi d'erba di Acquaviva 
a saltare sui trulli
e tornare a casa
a mangiare pane con la ricotta ancora calda.
E i cori serali di canzoni blues
sui testi di san Paolo
o di Giovanni l'Evangelista,
quello dell'Apocalisse visionaria,
con i missili sbaraccati dai nostri nuovi campetti di calcio
e le casse di arance di Krusciov
mandate per sbaglio a Aldo Moro
che a Acquaviva fondò 50 scuole,
piantò 100 alberi di pini neri
e diede a me una bandiera italiana immacolata,
che avevo appena 7 anni.
E l'occhio di Dio che ci guardava
dalla facciata della Cattedrale fiorentina
e finalmente ci faceva trovare
le voci di tutte le ragazze che ci piacevano
dagli elenchi telefonici
della cartoleria Tria,
lì proprio a fianco del bar del Polacco,
dove una volta il mediano Corazza
affondò in un boccale di birra
per aver vinto il campionato di calcio
della regione Puglia Centrale.
E tutti quei lavori
a contare le foglie d'erba di Walt Whitman 
e le furie di William Faulkner,
famoso fondatore di 1000 scuole di romanzi universali.
Ecco: qui sono io,
raramente sui giornali,
con la mia faccia di Marx
o di Dostoevskij all'occorrenza.
Seguace fedele di Thoreau
e di Ginsberg,
di Toro Seduto e Cavallo Pazzo.
Terzino di sfondamento gambe
nella squadra di calcio del liceo,
atterratore pure di arbitri
sulla baleniera del capitano Acab.
Col disegno nell'ascensore del Bassini
con me che mi facevo da dietro la Resuscitata,
fatto da chissà chi con una biro
e calcato forte,
mai mi fecero disegno così somigliante di me.
E le manifestazioni del '77
in via Orefici
e che mai ci fecero entrare in Piazza Duomo
per pregare la Madonnina
che ci facesse cadere a faccia a terra Godzilla,
famoso traditore dei suoi stessi amici.
E gli scontri che ci furono, tutti sbagliati,
e quelli che non ci furono
perché poi tutti i nostri capi
si impiegarono in banca
o in televisione
o in carica ai giornali migliori
della vituperata (a parole) borghesia.
E l'arruolamento conseguente
nelle armate del sud di Milano
dei sottocani,
che i posti dei sottouomini erano già tutti occupati
a leggere i flussi di coscienza
del dottor James Joyce
e non cavarci mai una bottiglia
della centrale del latte della città ormai in disuso.
Per le stradine di Parigi
ho letto 100 gialli metropolitani
con macchine piene di assassini
con buste piene di donnine rovinate,
ho fatto il lattaio ambulante
in servizio per me stesso,
che pacchia a Londra per un italiano amante del latte buono,
operaio di pizzerie polacche nell'East End
e portiere d'albergo
nel libero stato di Brera di notte,
quando i pittori si vendono i palazzi
e si comprano due colori originali
per dipingere un vagabondo
in stato di estasi a comiziare su maghe di medioevo
e dittatori di piantagioni bananiere,
domande da cento pistole
risposte da un milione di dollari,
mai visti senza un fucile
mai fatti senza un inganno,
nascosto o palese tanto è lo stesso.
Scrittura automatica
e felicità a buon mercato,
quasi gratis,
tanto la natura non si accorge mai di niente
ma in compenso sa sempre tutto.
Russia, poesia, follia
con un passaporto di un poeta fallito
nei parchi di tutta Europa
con mille lire al mese
per assoluta fantasia.
Son diventato quel che sono
perché già ero quel che poi son diventato,
migliaia di progetti per il passato da rifare,
per il futuro già sparito,
per il presente sempre latitante.
3 lire per oggi
3 lire per domani,
3 lire spese anche l'altro ieri.
Incassi incerti dal negozio di Speranze
là nel vicolo dei Lavandai,
a piantare racconti
e a raccogliere pomodori.
Son bravo, buono e forte
come il gattone nero
che mi accompagna nei libri
fin da quando ero ragazzo.
"Quell'uomo è un mistero",
diceva di me sempre Franz,
"E' una finestra aperta",
diceva sempre invece il vecchio Charles.
I miei errori mi son sempre piaciuti
e non ho mai vinto a lotto proprio per questo.
Mi specchio nell'acqua della vita
e vedo solo un idiota molto ridicolo
che pensa di essere un genio
e è invece solo molto ubriaco.
Vivo in un casino senza punteggiatura,
sedie rotte a tutto spiano
letti a terra dove dormono le bambine.
Sono un matto
sotto al sole su una collina piena di cicogne,
sogno come Chagall
che mi vuole bene come a un suo piccolo fratello,
mi firma sempre i miei libri
all'ultima pagina
per farmi coraggio.
Il linguaggio è la mia coscienza
e dico parolacce
perché sono un uomo libero,
chi parla con la sintassi in mano
è uno sgrammaticato dell'anima
che non sa per nulla la sua stessa lingua.
Bob Dylan suona l'armonica tutti i giorni per me,
sbuca fuori dalle nebbie di New York
e passa tutta l'estate sotto la pioggia
come fosse in India
a raccogliere filosofie d'amore dimenticate e perse.
Céline suona il piano in incognito per me,
l'han fregato perché era il più forte,
mi dice sempre: "Sta' nascosto, pirla,
sennò ti spaccano la testa
pure a te".
E io nascosto sto,
se viene un giornalista gli dico bugie,
come poi lui le dice su di me.
Mi copiano in parecchi,
anche i tassisti,
e poi dicono che sono io che copio loro,
fossero almeno belli
ma sono brutti come il debito
o il demonio.
Non ho mai visto Gesù
nè Marx
nè Tutankhamon,
ma come un folle perfetto
sento le loro voci
e rischio un corto circuito in casa
con i leoni a far la siesta giù nel cortile.
Afrodite invece l'ho vista
come pure Ares
e Zeus nel pieno delle sue forze,
mentre si mangia i serpenti
che gli mise nella culla suo padre.
Vado al mare a San Francisco,
a bere birra a Tubinga,
mi piace molto la Francia
perché è venuta a piantare l'Albero della Libertà
fin nel mio paese di buzzurri,
laggiù in SudItalia
dove vengono pure gli Inglesi
a dar da mangiare alle volpi
pane e mortadella tutte quelle poche volte che nevica,
che son guai pure per i merli
e le cornacchie.
Faccio una vita felice
perché son poeta e non combino mai nulla,
gioco con le parole
e sono un'autentica schiappa a far soldi
con i miei piatti di maccheroni arrostiti,
ho letto Sartre e non ci ho capito niente
ho letto Bloch e spero senza fine,
perché l'autentica sapienza
è proprio quel che speri
e hai la fortuna di mai dimenticare.
Son fanatico e fesso,
odio la chiacchiera e l'oblio
anche se in fondo vivo anch'io sia di chiacchiere che di oblii.
Son quel che sono
e non me ne pento,
non ho un soldo
ma milioni di libri,
son ricco anch'io
ma non m'invidia nessuno,
i miei vicini di casa
non la guardano nemmeno
quest'isola del tesoro
dove accumulo tutti i miei quaderni
di appunti e poesie.
Sono un poeta pazzo,
come forse ce sono tanti,
ma abito nel mio quartiere di matti
più in alto di tutti,
e mai nessuno che sappia
chi veramente io sia.
Sono un cuore vivo
che è pure parecchio felice.
(E ora che lo dico
per pura scaramanzia
mi tocco le balle
e così sia.)
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

(da "I PAZZI" 11 poesie, Acquaviva, 2014)

i libri di GDA sono on Google play:
http://goo.gl/cRqtvl



    

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