Favellami la storia delle nostre mille moine,
quando da sempre scarrettavamo sui treni
con quelle valigie tutte infagottate di lacrime
e roba così ridicola che così tanti ci prendevano
per matti e anche più in là,
tipo corvi che battevano la strada dei cuori
per prendersi un pò di vino in curva,
quando si puntavano gli sguardi
sui nuovi orizzonti.
Favellami, miserabile,
di tutti quei nostri viaggi in treno
dove abbiamo passato la maggior parte
delle nostre deboli vite,
a rosicchiare pane e formaggio
come topi di campagna troppo furbi
da restare a zappare la terra.
Contami, bello,
di quando tornavamo ad Acquaviva
e il tavolo del comune
era sempre vuoto per noi
e tutti quei panciuti professori
che ci ridacchiavano dietro
per la nostra pocaggine.
E raspando voglie inesistenti
ci dicevano che la vita dopotutto
bisogna pur passarla da qualche parte,
in qualche dove bisognava pur
tirarla la notte.
E noi la passavamo in treno ancora una volta,
a tornare all'esilio dei nostri barattoli vuoti
e delle nostre facce stravolte.
giuseppe d'ambrosio angelillo
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