martedì 31 marzo 2015
UTOPIA MILANESE
mi sono adottato di mia spontanea volontà
a questa città di nome Milano
che una volta
si chiamava
"che me ne importa a me?".
c'erano una volta
le chiavi nella toppa
di un oscuro manicomio.
i pioppi e navigli scuri
che mai si stancavano di scorrere
come la nostalgia nell'anima.
i reggimenti dei soldati
che sparavano al popolo
austriaci o piemontesi
che
fossero
i riposi di pomeriggio
perchè la notte
si passava tutta
in piedi
a cammalare in cerca
di chissà
che.
duellanti nella nebbia
che mai nessuno
che una volta
avesse
mai
conosciuto l'altro.
fosse per una donna
un soldo
un diavolo
mai s'è saputo veramente.
andiamo, lampioni,
è l'ora dell'ubriaco,
quell'uomo pazzo
che sempre è innamorato
di voi
chissà
perchè.
l'utopia generosa
i fratelli che ti aiutano
e che ti accompagnano alla metrò
con te
che te ne vuoi partire
per sempre
per l'India
per la Buona Novella
per l'Isola che non c'è.
Ridi,
narri,
ricordi.
ti becchi nella crapa tante di quelle mazzate
ancora.
non cambia
mai
Alessandro
che sbarca
e compra confetti
in Siria.
la bottega dei miracoli
dove vennero a sparare
alla saracinesca
e ai libri di Dostoevskij.
dimmi, nino,
chi morì in fondo al vicolo?
nei cortili delle case popolari
muore sempre qualcuno ammazzato,
una moglie
una madre di 3 figli,
un drogato
un balordo
un demente
uno che non ce la fa proprio più
un cane
un gatto che attraversa la notte.
spari,
macchine a fuoco,
autombulanze di matti.
io dopotutto sono uno straniero,
mai capita a fondo questa città
senza paradisi
con tutti gli inferni
disponibili
sul mercato.
sono uguale
a me stesso.
son fatto di cemento.
mi affeziono
son fedele
come un monumento.
son qui
Milano
è
il
mio
gran
teatro.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento