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venerdì 6 marzo 2015


LA CASA DEI MORTI
la casa dei morti. al secondo piano. seconda porta a sinistra. il padrone, un architetto proprietario di 7 palazzi a milano, murava le porte della gente che sfrattava. la casa pian piano si trasformò in un grande agglomerato di loculi di cimitero. così io la chiamai alla fine: la casa dei morti, con implicito e surrettizio riferimento al mio Dostoevskij. che proprio in quegli anni andavo forsennatamente e mattamente assimilando. che mi fregava? quando a sera tarda tornavo a casa, con le lampadine dei corridoi sempre spente o fulminate, mi sembrava di essere Raskolnikov che tornava al suo infame tugurio. 
ci salvano sempre cose scritte secoli prima, i contemporanei quasi sempre non hanno invece nessuna pietà. l'inferno sono gli altri, e te ne accorgi quando li incontri nei loro tremendi labirinti dove si sono irrimediabilmente persi e che invece di addolcirsi continuano a tramare alle tue spalle le peggiori nefandezze. quella casa era piena di gente pazza, di prostitute di infimo prezzo, ex-galeotti, ubriaconi, vecchie e vecchi abbandonati da tutti, soprattutto dai loro parenti, figli o fratelli che fossero. ogni porta aveva un Gesù appeso dietro la porta, i più facinorosi avevano un ritratto di Marx appiccicato con la colla alle fracide pareti. qualcuno persino Siddharta o Toro Seduto. quando veniva sera una tempesta di polvere prendeva a bersaglio l'anima di tutti. io scrivevo a mano i miei romanzi, come sempre. i verbi tirati da sotto al pozzo del cortile, dai mucchi della spazzatura, dove sostavano in permanenza i gattoni randagi del caseggiato. che risse furibonde per gli avanzi dei pezzenti! vinceva sempre un gattaccio guercio che io chiamavo il Brigante. era furibondo per le ciccie d'avanzo, prima doveva sbafare lui e dopo almeno un dieci minuti tutti gli altri, dopo che avesse finito pure le sue lunghissime pulizie di lavate di faccia e di muso e di zampe.
il fato ti sbatte sempre dove meglio gli garba a lui. l'infinito se ne fotte assai di quel che capita a tutta questa massa di fuori di testa che sono gli uomini. tutta gente che prende persino il denaro come acqua santa per benedirsi le incessanti malefatte di cui è ben capace. poi si autoassolve come fedele seguace delle sue stesse assurde cazzate.
solo l'arte salva gli uomini ogni tanto. e il puro cioccolato nero dell'Ecuador.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

Cartoline di Milano, 2015

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