ALL'UMILE SE STESSO
DEDICA QUESTE SCARNE RIGHE IL POETA

Mia bella, cara scrittura,
tutto quello che mi passi mi piace e mi va a genio.
Tutta bruci nel fosco desiderio di farti luce,
a volte sei oscura invece come la notte.
Bruci nel mio destino
e spalanchi così la porta al mondo.
Non litighi con nessuno
ma telefoni ogni tanto al sarto
se per caso c'è una giacca per me al suo deposito.
Al custode del Comune a volte vai
a chiedere un salario di scalcagnato
anche per me,
come a un venditore di patate al mercato del Verziere.
Vivi d'amore
e ti sopportano in pochi,
gli altri sputano di lato
e mi apostrofano: mentecatto!
ambisci alla gloria con quel tuo naso a trombone?
con quella faccia paonazza di ubriacone?
Tu non replichi mai,
hai il permesso del Comune
perfino di stare in Piazza del Duomo.
Con un vecchio cappotto di marinaio
resisti al freddo, alle intemperie,
e ai brutti musi che ti sguerciano così torvi.
Non fai baccano,
non danneggi mai nessuno,
in cambio l'obolo del passante al mendicante,
tu ringrazi e sorridi di gusto.
Ed è tutta qui la tua balzana bislacca poesia.
Cara, bella mia scrittura,
corri lesta a ogni maratona,
anzi ne fai 4, una dietro l'altra,
e corri ancora, sempre come se niente fosse.
Hai molti dei, molte religioni,
e tutti li ringrazi,
come i miei lunghi anni.
Mi trovasti che ero un ragazzino,
lì ad Acquaviva, paese di contadini,
mi facesti una carezza
e mi portasti così lontano.
Mi sorridesti e mi prendesti per mano.
Mi rubasti tutte le vacche, le capre
e gli astuti senni di tutti i gatti miei.
Mi donasti una cetra,
e come vedi con quella ancora canto
ciò che vedo e il mondo dell'anima mia,
che come vedi resta sempre il mio unico vanto.
Cara, bella scrittura mia...
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO