a Vito Abrusci
Quando di domenica hai mangiato
e di pomeriggio non hai niente da fare,
prendi la macchina e fatti un giro a Curto Martino,
in compagnia di un vecchio amico o con i tuoi soli sogni,
il cielo è altissimo su quelle colline
e ti vien voglia di volare su un aereo di terra che non ha motori
e là comunque ci sono di guardia possenti trulli
forti come castelli secolari,
c'è pure un'entrata da quelle parti
che noi ragazzini una volta chiamavamo la Grotta del Lupo.
A strapiombo crollano tutti gli orizzonti
e ti inoltri nel segreto del sottosuolo
che confina con il cuore puro della vita dei campi arati: l'acqua.
L'acqua bella e cara di Acquaviva.
Acquaviva delle Fonti, l'acqua che se ficchi un dito nel terreno
sgorga fuori come un miracolo.
Capisco da quassù,
sul capo di roccia del vero ceppo dell'esistere,
perchè in molti al nord mi invidiano
il fatto di essere nato in questo paese.
Da lontano i litorali baresi lucidati come manici di padelle,
e i mandorli in fiore
come fanti di legno in parata
a profumare verso il mare ogni parola detta
non detta, soltanto pensata.
Come si fa a leggere a fondo questo paesaggio della nostra stessa anima?
Qui ogni fondamento e ogni vanità si fermano
e fanno punto.
Acqua, terra, cielo. Passato, presente, futuro.
E il fuoco lento della nostra immobilità
che ci brucia tutti fin nella nostra più minuscola malinconia.
Una specie di divenire naturale e metafisico allo stesso tempo.
Giuseppe D'Ambrosio Angelillo
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