La magia del romanzo poggia essenzialmente sul fatto che un singolo autore riesce come per potere soprannaturale a creare dal nulla tutto un intero mondo. Un mondo dove vanno a riversarsi i ricordi, che narrati diventano inspiegabilmente precisi e circostanziati, i sogni, che anche questi narrati diventano anche loro inspiegabilmente come se fossero per davvero vissuti. E poi il presente, che, narrato, va a cristallizzarsi anche lui inspiegabilmente come qualcosa di perenne. Il romanzo unifica sogno e realtà e fa, come in una porta girevole, andare l'uno e l'altro da una dimensione all'altra, il sogno nella realtà e la realtà nel sogno, in un andirivieni vorticoso che può dare le vertigini solo a chi non è abituato alle cose stesse della vita.
Il romanzo cerca il senso di una vita e anche se non lo trova inspiegabilmente si accontenta di almeno cercarlo, e gli viene l'incredibile dubbio che proprio quello è il vero senso della vita di ognuno: questo folle cercarsi e non trovarsi, intuendo però misteriosamente che ciò che così furiosamente cerchiamo è già da bel fracco di tempo nelle nostre stesse mani.
Il romanzo insomma cerca sempre un inesprimibile che non si trova mai, ma nel frattempo trova un sacco di altre cose, in primo luogo un se stesso che cerca e che stranamente non si dà mai per vinto.
E se non si dà per vinto una certa qual vittoria segretamente lo soddisfa.
Il romanzo insomma spiega un mondo inspiegabile appunto non spiegandolo ma semplicemente raccontandolo.
Ecco proprio qui volevo arrivare: il romanzo è lui stesso il senso del mondo e quindi non ha bisogno in definitiva di cercare alcunchè.
Il mio romanzo personale per ora si intitola: "BETTY PAGE", PSICOROMANZO DI UN FOLLE.
G. D'AMBROSIO ANGELILLO
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