regala Libri Acquaviva

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venerdì 31 ottobre 2014


UN MIO RICORDO SU ALDA MERINI

    Ieri sera il giornalista de "il Corriere della Sera"  Maurizio Bonassina mi ha telefonato e mi ha chiesto un mio ricordo su Alda Merini, perchè domani è il quinto anniversario della sua morte. Io stavo già con alcune cose di Alda tra le mani perchè me ne stavo  pensando per conto mio di questa triste ricorrenza. Un ricordo, una parola!, io ne ho 150.000 ricordi su Alda, come fare a sceglierne proprio uno? Poi la dritta me l'ha data lui stesso dicendomi di una mia vecchia storia che gli avevo raccontato e che lo aveva colpito particolarmente. Così il ricordo che era venuto a me, per ragioni di spazio giornalistico lo racconto qui, per voi... A lui non ho avuto proprio il tempo neanche di accennarglielo...
    ... Stavo proprio scrivendo in questi giorni un librino su un altro mio grande maestro, Marc Chagall, lui aveva dipinto fino all'ultimo giorno della sua vita... così mi sono ricordato che anche Alda aveva fatto la stessa cosa: aveva scritto poesie fino all'ultimo giorno della sua vita anche lei. Grandi artisti che sono così legati alla loro arte come se fosse quasi un tutt'unico con la loro stessa vita...
    Era la penultima notte della sua vita, e io come mi capitava spesso in quel periodo, la stavo assistendo all'ospedale San Paolo di Milano. Avevo pazienza con lei. Come non averla? Le volevo bene da anni e anni, e sapevo da semplici suoi cenni cosa desiderava. Ma quella notte era particolarmente nervosa, stava male, pensava forse a quel che succedeva, e certo lei, con la sua coscienza così vigile e attenta, intuiva cose che non aveva manco voglia di confessare a lei stessa.
     "Alzami il lenzuolo, abbassami il lenzuolo. Dammi da bere. Alzami, coricami, alzami di nuovo. Coprimi, scoprimi", e così sempre di seguito.
    Io stavo seduto davanti a lei su una poltrona notturna, di quelle che danno in ospedale ai parenti quando bisogna assistere i propri congiunti particolarmente gravi. Per dormicchiare un pò, riposarsi, passare la lunga notte il più comodamente possibile. E così anch'io mi alzavo, mi sedevo, tornavo a sedermi, mi alzavo di nuovo.
    A un certo punto Alda sembrò rendersi conto di questo forsennato movimento avanti e indietro, e così sorridendo quasi della sua idea mi disse:
    "Giuseppe, stiamo qui senza dormire e senza fare manco niente. Dai, lavoriamo un pò".
    E così mi disse di recuperare dei fogli e di mettermi a scrivere, lei mi avrebbe dettato, come d'altronde aveva fatto nei numerosi e lunghi anni della nostra amicizia, delle poesie.
    E così fece, ispirata e dolce. Mi dettò, una di seguito all'altra, 5 poesie sul Cristo sofferente. Dove la sofferenza di Cristo era la sua stessa... così trafitta nelle mani dagli aghi dell'ospedale, in quel letto duro che forse a lei sembrava una vera croce, le medicine amare e aspre dei medici come l'aceto, le infermiere che la sorvegliavano come soldati romani, e io che come un discepolo fedele cercavo di tenerle compagnia in quegli estremi momenti...
    Quando terminò di dettarle, sospirò tutta tranquilla e si assopì quasi contenta. La Poetessa era riuscita a creare anche in quelle impossibili condizioni...
    ... Le sue ultime parole furono: "Vi ho amato tutti. Tutti. Tutti."
    Dopo non parlò più per le dosi di morfina che le furono somministrate in dosi sempre più massiccie...
    Ma fu vigile fino alla fine. Quando verso mezzogiorno del primo novembre venne apposta apposta per lei da Venezia un frate cappuccino dell'Ordine di Padre Pio. Quel frate disse che, avendo appreso dalla tv che Alda Merini stava male all'ospedale San Paolo di Milano, aveva sentito una voce interiore ordinargli di raggiungerla. Cosa che egli in effetti fece, per darle la sua benedizione.
    Alda era una grande devota di Padre Pio, e come a farlo apposta sul suo comodino campeggiava un ritratto abbastanza grande del Santo...
    Il frate, Giuliano Grittini e io recitammo tante volte l'Ave Maria su invito del sacerdote.
    Il frate disse poi: "Io non ho mai visto una persona sedata dalla morfina così cosciente come Alda Merini".
    Io verso le due del pomeriggio la salutai stringendole un piede da sopra le lenzuola andando via:
    "Ciao Alda, ci vediamo stasera".
    Lei mi sorrise debolmente e mi fece cenno di sì.
    Io ero a piazza Cordusio, con la mia bancarella a vendere i miei librini per le solite impellenti necessità della vita, quando sul telefonino mi arrivò un messaggio: "Sono la nipote di Alda, la nonna è morta ora". Erano le 17 e 15. Io proprio in quel momento avevo dato a un ragazzo un suo libro intitolato "Io dormo sola". Non riuscii a dire al ragazzo neanche più una parola. Avevo gli occhi pieni di lacrime e un nodo in gola che mi impediva di dire alcunchè. Il ragazzo mi guardò strano e se ne andò via senza dirmi più niente.
    "Io dormo sola", questa sua poesia era ormai vera per sempre...
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

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