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mercoledì 8 aprile 2015


FRANCO FERGNANI

Fergnani, il più grande professore di filosofia di Milano,
abita da una vita in via del Fusaro,
là dietro, dalle parti di piazza Napoli.
E certo, comunque,
non vive lì sempre del tutto.
L'altra mattina, in un caffè del Ticinese,
davanti a due forti Campari Bitter,
gli ho chiesto qualcosa circa la tragedia,
e lui che è un maestro del pensiero tragico
mi ha guardato,
ed era come se guardasse attraverso me,
e con gli occhi umidi
mi ha dato una risposta lunga circa 5 ore.
E non era come se lui,
un maestro dell'esistenzialismo,
leccasse e arrotondasse all'infinito
il suo lungo treno di parole,
solamente cercava di rendere chiara e comprensibile
la sua risposta,
senza equivoci o incertezze.
Guardavo la sua faccia
e le sue mani,
con i pollici acrobati
e seguivo da presso l'ombra del suo discorso,
sempre con vagoni stracolmi di pensieri secondari
a rimorchio,
non meno importanti
non meno necessari.
Guardavo un residuo di schiuma da barba
arroccato a seccarsi dietro una basetta,
e seguivo la sua angoscia
come un bambino può seguire un fagiolo magico
in crescita oltre il cielo.
E così mi sono messo a immaginare
di punto in bianco,
come lui allora passasse la notte.
E l'ho visto stranito,
andarsene perplesso verso il suo letto.
Fermarsi davanti
a mettere la piega del lenzuolo sopra le coperte,
guardare il risultato,
mettere la piega del lenzuolo sotto le coperte,
guardare il risultato,
mettere di nuovo tutto come era prima.
Poi l'ho visto infilarsi veloce nel letto
e voltarsi da una parte e dall'altra
per almeno due ore,
per almeno tre ore,
per almeno tutta la santa intera notte.
L'ho sentito tossire,
tossire,
tossire e starnutire
tutta la santa intera notte.
All'alba finalmente s'è alzato
s'è accesa una sigaretta
e è andato in cucina a farsi un caffè.
Alla fine ho capito
che lui voleva soltanto spaccare in mille pezzi
l'oscurità maledetta della vita.
E che stanco del lavoro dell'intera notte
alla fine si riposasse
e facesse colazione.
Un caffè triplo,
un pezzo di pane sciocco,
un sorriso triste a guardarsi per l'ennesima volta
la cicatrice sopra la mano,
quella che si fece spaccandosi un bicchiere tra le dita
litigando con la madre
una lontana mattina della sua gioventù.
Lui, un vecchio di 77 anni,
la madre la ama ancora
con tutto il suo povero inquieto cuore,
io me ne accorgo
vedendo che ogni volta che occasionalmente ne parla,
gli occhi gli si inumidiscono di potente nostalgia.
Sebbene tutte le storie degli uomini
siano delle favole leggere e alquanto ridicole
ognuna pure contiene
un senso profondo
e un'altissima poesia.
Quando io qualche volta gli chiedo qualcosa
lui, il più grande maestro di filosofia di Milano,
mi fa un sorriso triste di bambino
e mi parla per 5 ore di fila
di un aspetto trascurato
del geniale pensiero di Sartre.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

Milano, aprile 2004

da "L'Arte di amare la vita" poesie di saggezza comune, ACQUAVIVA 

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