giovedì 9 aprile 2015
IL CESTINO DI PIAZZA DEL DUOMO
Me ne ero andato a sedere al gradino sotto un lampione in piazza del Duomo, al sole, proprio di fronte al miracolo, tutto bianco e candido sotto la forte luce del giorno primaverile. Ero lì ad aspettare che arrivassero le due del pomeriggio e potessi andare a fare i permessi per andarmene in giro per Milano con la mia bancarella di libri.
Me ne stavo lì rilassato, a godermi quel grandioso spettacolo che è la folla che vortica attorno a uno dei più bei monumenti d'Italia. Fotografi abusivi, venditori di cianfrusaglie, turisti, lestofanti...
poi guardavo di nuovo il Duomo e dicevo a me stesso: "E' un miracolo. E' davvero un miracolo..." Ed ero felice di poterlo vedere tutte le volte che mi garbava.
A un tratto mi accorgo di un ragazzo male in arnese, con un cappuccio in testa, tutto sporco, nero di polvere di marciapiede, un cespuglio di capelli ricci in testa, una lunghissima barba rossa, gli occhi spiritati. Vedo che va dritto al cestino dell'immondizia del comune, proprio più in là di dove sono io. Ravana all'interno, col chiaro proposito di trovare qualcosa da mangiare. Rovista a lungo, con calma, con dovizia di attenzioni.
Io penso:"Ma che minchia di schifo potrà mai trovare in quella spazzatura?"
Ma quello imperterrito continua a raspare nel luridume. Con somma mia sorpresa qualcosa trova: un cartoccio quasi intero di gelato privo di contenuto ma ancora gocciolante di un liquido rossastro. Lo addenta con voluttà, se lo sgranocchia quasi golosamente. E soddisfatto del frutto della sua ricerca, se ne va via. Tutto sbrindellato, coi vestiti sfilacciati e strappati. Col cappuccio lurido se ne va, a perdersi nella folla là intorno. Lo osservo meglio, è proprio un ragazzo molto giovane e bello, se non fosse per la lordura che lo impregna tutto. E' un bel pezzo che noto che i mendicanti giovani sono aumentati di moltissimo in città. Quasi normali a prima vista, ma poverissimi e laceri.
Ritorno lento ai miei pensieri. Mi metto a guardare una gru colossale che poggia lastre di marmo passando fin sopra le guglie del Duomo, con grave pericolo di scassarne qualcuna. Ma anche se fosse? Che ci vuole a ripararla? Così balordi come sono diventati ultimamente gli italiani? Ma non ci sono gli ascensori? No, no, con una gru venuta apposta dalla Germania si fa più in fretta, più preciso.
Sul sagrato altri operai scassano la pavimentazione e ne mettono un'altra nuova, più ordinaria, più madornale. Fanno una polvere della miseria. Si spicciano: l'Expò è a un tiro di schioppo.
Ma ecco che vedo qualcuno armeggiare di nuovo attorno al cestino del comune della spazzatura. E' una spazzina. Piccola, minuta, carina. La guardo meglio, è truccata sapientemente con rossetto di marca e ombretto, rimmel e fondotinta. Sembra davvero una pin-up, solo un pò in miniatura. Alza il coperchio del cestino, prende il sacchetto nero dei rifiuti e l'accartoccia, l'annoda, ne mette dentro uno nuovo e vuoto, adagia quello pieno accanto al cestino, abbassa il coperchio. Con la sua bicicletta fatta apposta se ne va via. Ha una pettinatura appena rifatta da un parrucchiere sapiente. Solo il vestito la fa ricadere tra noi comuni mortali, altrimenti davvero può essere scambiata per una attricetta di Cinecittà, o una figurante di qualche spettacolo televisivo. "Cazzo, quella se ne va in giro a raccattare la spazzatura come se se ne andasse a un appuntamento galante!", mi dico.
Fa caldo, un poliziotto con il giubbotto antiproiettile suda vistosamente, mi osserva con attenzione da lontano un pò più avanti del suo numeroso drappello di colleghi. "Ma che cazzo ci fa quello lì senza far niente da così tanto tempo?", sembra chiedersi. Non sa il mister che uno scrittore lavora anche quando sembra che non faccia niente, anzi soprattutto allora. Tiro fuori dalla mia borsa nera i miei quaderni e lui cambia mira di attenzione. Accanto a me un grasso turista tedesco, due turisti indiani che si stanno facendo taroccare le foto in piazza da un loro compaesano.
La gru ancora si avventura con i suoi carichi pericolosi tra le guglie così fragili. Un vecchio abbraccia una ragazza carina magra e con lunghissimi capelli rossi. Fanno un lungo giro della piazza e poi tornano vicino a me. Poco più in là un piccione maschio striscia la sua ruota di penne a terra e fa "gru gru" alla sua piccioncina, che fa le viste di fregarsene altamente.
Son le due, è meglio che non mi faccia aspettare a chiedere i permessi nell'ufficio. Mi faranno certo penare. La vita in strada per un artista è una guerra. Nessuno ci pensa mai. Ma l'arte a volte è proprio un mestiere di merda. Ma qualcuno lo deve pur fare, come dicono sempre quei tre taroccati lì.
Mi alzo e mi avvio come un cammello stralunato dietro l'Arengario.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO
da "CARTOLINE DI MILANO", Acquaviva, 2015
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