Io qui son costretto a fare il vigliacco. Nella bieca solitudine mi arrabatto. Lassù ai piani alti prendono decisioni per tutto l'universo, ma d'intorno non sanno manco di che colore è la mia voce, nè di certo si curerebbero di ascoltarla se almeno sapessero che esistesse. I miei prodi amici son tutti dispersi o peggio andati per sempre nelle notti acide di paesi stranieri. Erano forti e si facevano sentire quando all'improvviso avevano qualcosa da dire qualsiasi era il posto che aveva l'ardire di ascoltarli, ma erano bravi pure e volevano un bene sincero a tutta la città. Ora siamo tutti dispersi e nessuno più si cura di noi. Nessuno più con cuore sincero si cura della città. Riunioni su riunioni e tutti son solitari come lupi a badare al loro saccheggio.
Ma io pure vago solitario nel mio campo di carte e inchiostro, pianto poesie e raccolgo cicorie selvatiche. Mi tengo estraneo a qualsiasi rissa di cortile dove sempre mi accusano di essere un bambino. Ma io preferisco essere un bambino con i suoi antichi giochi che un gigante da nulla sempre alle prese con le casse d'oro degli altri. Mi piacciono i sorrisi e le comiche, piuttosto che questo pandemonio dell'orrore dove si gioca a far più male possibile a chi ti viene a tiro, chiunque sia e comunque si chiami...
Io son d'un'altra razza, chiamatemi orante di tempi persi, se volete, non m'offendo mica...
G. D'AMBROSIO ANGELILLO
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