1 NOVEMBRE 2014, pagine milanesi
E QUALCOSA RIMANE
Cinque anni fa ha salutato tutti dall’ospedale San Paolo e se n’è andata a riposare nel Famedio. Funerali di Stato e una casa museo dedicata dal Comune di Milano (mica male per una «pazza»). Alda Merini avrà sorriso vedendo passare davanti a sé le sofferenze di una vita e le gioie di un riscatto arrivato tardi, che può premiare soltanto chi sa aspettare. E lei ha aspettato, tanto. Tanto da invecchiare rimanendo giovane, nel cuore. Nessuno riesce a ricordarla vecchia e ammalata: la Merini è rimasta sempre quella dei vent’anni, quando scriveva la «Presenza di Orfeo», e quella dei 77 anni quando dettava le ultime lettere. Quanta gloria adesso.
Ma come la ricordano gli amici, quelli che con lei sono diventati grandi e ora la tengono in «vita»? Ognuno ha un ricordo speciale, insieme a un suo aforisma.«Ad Alda portavo la pastina e le uova sode», racconta Giuseppe D’Ambrosio Angelillo. È un piccolo editore di Milano, stampa a mano, in ciclostile, addirittura in fotocopia e fa miracoli sotto il marchio editoriale Acquaviva. «Alda mi chiamava alle dieci di sera, aveva fame. E io preparavo un fagotto con la tovaglia annodata alla vecchia maniera. Quando arrivavo, con il tram, lei sorrideva e mi chiedeva: Giuseppe, che cosa mi hai preparato?». L’aforisma del cuore, inedito, fa così: «nulla a questo mondo è più costoso della povertà».
Arnoldo Mosca Mondadori. invece, ricorda l’inizio delle improvvise telefonate di Alda «C’era un silenzio che sembrava una sospensione in attesa del getto poetico. Sentivo che entrava in un’altra dimensione. Poi in fretta dovevo cercare carta e penna per raccogliere la sua creatività. Tra gli aforismi di Alda ricordo queste sue righe: “l’arte è un mistero che ha ali di farfalla”». Giovanni Nuti la ricorda sul palco con Monica Guerritore in uno spettacolo in corso al teatro Menotti, «Mentre rubavo la vita», fino al 2 novembre. Dove la poesia diventa entusiasmo e musica. Racconta Nuti: «in casa sua ballavamo e ridevamo. Alda sapeva celebrare la vita e mi diceva: “quando mi vedi piangere, non essere triste, è allora che divento grande come una montagna”. Ricordo un suo aforisma: “il mio letto è una zattera che corre verso il divino”.
Alberto Casiraghi, in arte Casiraghy, editore di pregio di plaquette artistiche (Pulcinoelefante), dice della Merini: «un giorno mi disse che ero il più grande pastellista del mondo. Non ho mai usato pastelli per le mie opere, le risposi; non è che mi hai confuso con il più grande piastrellista? Le risate di Alda diventarono un ritornello. Mi dedicò un aforisma, questo: “la casa del Casiraghy è un grande manicomio privato”». Aldo Colonnello ha appena pubblicato per le edizioni Meravigli un libro che racconta una Merini privata, in casa: «Alda Merini, la poetessa dei Navigli». «Ricordo la volta che salutandola, sulla porta di casa, volevo darle un bacio: scorbutica e perentoria, allontanandomi, mi disse: “ci sentiamo domani”. Poi, mentre me ne andavo, come in un film, mi richiamò. “Allora, questo bacio”? Ho un suo aforisma nel cuore: “il peccato è la cosa più bella che ha creato Dio”.
Giuliano Grittini è l’uomo che di Alda conosce un’infinità di cose. Fotografo, l’ha accompagnata in giro per l’Italia a ricever premi. Una fatica autostradale durata anni. «Era una notte stellata», racconta Grittini, «e di ritorno da Recanati ci fermammo a un autogrill; lei rimase in macchina, io dentro al negozio a prenderle la sua Coca Cola. Da dietro il finestrino mi ordinò, a gesti, di comperare una grande mucca di pelouche appesa al soffitto. Erano le tre di notte e in quel bar eravamo soli io e il commesso che, stralunato, prese la scala e con fatica staccò il trofeo dal soffitto. Mi guardava come fossi un pazzo e Alda dalla macchina rideva. Ne aveva combinata un’altra delle sue. Le dedico questo suo aforisma: “la pistola che ho puntata alla testa si chiama poesia”».
MAURIZIO BONASSINA
"CORRIERE DELLA SERA",
Milano 1 novembre 2014
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