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lunedì 10 novembre 2014



    LA TAVOLOZZA DI CHAGALL

    Dopo i primi anni della Rivoluzione in Russia l'Arte di Chagall, prima apprezzata e valorizzata, non piace più. Ci vuole il realismo, il verismo, l'incitamento alla produzione e alla propaganda. Ma Chagall, come ha fatto sempre nella sua vita, non vuole assolutamente rinunciare a se stesso, alla sua originale maniera di dipingere.
    Si reca al Cremlino per un ultimo tentativo di farsi accettare o in alternativa se il rifiuto persiste di chiedere il permesso di tornare a Parigi.
    Vede Trotzskij scendere da una vettura, con il suo naso rossoblu e gli occhialetti di maestro.
    Va da Lunaciarsky, ministro della cultura del governo bolscevico, gli porta a far vedere un pò della sua ultima produzione.
    Il ministro, prima suo grande estimatore nei primi suoi anni a Parigi, arriccia il naso.
    "Non c'è bisogno di questa roba ora. Ora c'è bisogno di incitare il popolo alla produzione, al lavoro, alla militanza politica", gli dice.
    "Se non c'è più bisogno di Chagall, datemi allora il permesso di poter tornare a Parigi", dice Marc.
    Era molto pericoloso chiedere questo tipo di permessi a quei tempi. Prendevano la via di Parigi i nobili, i controrivoluzionari, i borghesi ricchi a quei tempi.
    Ma per le sue antiche amicizie e i suoi meriti artistici non di poco conto durante la Rivoluzione, il permesso gli viene accordato.
    Chagall torna a Parigi.
    E dopo Vitebsk e l'Ebraismo, la Russia e i contadini, Chagall si mette a dipingere con Parigi e la sua libertà sulla  tavolozza.
    Dice:
    "Se mi amerà l'Europa, forse un giorno mi amerà pure la mia Russia".
giuseppe d'ambrosio angelillo

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